Lo studioso di letteratura, critico, saggista e romanziere, premio Strega nel 2013, Walter Siti, dal suo saggio Contro l’impegno, al suo ultimo libro C’era una volta il corpo, si interroga sui comportamenti dell’uomo
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Finzioni, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Pochi autori, oggi, possono permettersi di dire e scrivere quello che vogliono. La maggior parte vive nel terrore di scivolare fuori dai confini del discorso accettabile, alienandosi un pubblico che si aspetta una conformità rassicurante. Ma la reputazione è anche ciò che distingue i molti dai pochi: quelli che possono essere deflagrati da una parola fuori posto e gli altri, “venerati maestri”, ai quali nessuno oserà rinfacciare un eccesso di libertà. D’altronde in che modo, senza infrangere qualche interdetto, sarà possibile indagare le verità più inconfessabili?
Walter Siti è oggi in Italia uno dei pochi - diciamo pure l’unico, diciamo pure l’ultimo - che può scrivere quello che vuole: studioso di letteratura, critico, saggista e romanziere, premio Strega nel 2013, autore di un saggio Contro l’impegno, Rizzoli, a settantasette anni ha appena pubblicato per Feltrinelli C’era una volta il corpo. E cosa c’è di più inconfessabile della verità del corpo? Il corpo che invecchia, si ammala e muore, il corpo che si compra e si vende, il corpo che desidera e seduce, per citare i titoli di alcuni capitoli di questo saggio, che corona un'opera che in tre decenni ha messo a nudo le zone più oscure e spesso taciute della fisicità, mostrando come il corpo non sia solo un contenitore, ma anche uno specchio delle nostre paure, dei nostri fallimenti e delle nostre ambizioni inespresse, il teatro più autentico dell’esistenza.
Colui da cui viene lo scandalo
L’autore osserva il paradosso: “Mentre nelle città si moltiplicano le palestre e i centri estetici, se di una persona pubblica osi dire che ha troppa pancia o le orecchie a sventola vieni bollato come retrogrado violento”. Siti ha sempre scritto in modo ossessivo di corpi, almeno fin dal romanzo che lo ha fatto conoscere nel 1994, Scuola di nudo. In questo esercizio di autofinzione, il narratore confessava la sua attrazione - anzi la sua devozione - per i corpi maschili muscolosi, facendone addirittura una specie di teologia.
L’esibizione del desiderio per i corpi esibiti tradiva un altro desiderio, ovvero quello di porsi al di fuori dal perimetro della “buona educazione” che ci si sarebbe attesi da un professore universitario di mezza età. E se i capitoli successivi della sua saga autofinzionale hanno continuato a raccontare amori omosessuali, spesso transclasse e transgenerazionali, deve anche essere apparso via via sempre più evidente a Siti che la sola omosessualità non bastava più a épater les bourgeois.
Mettendo il tema della pedofilia al centro del suo romanzo del 2017 Bruciare tutto, lo scrittore si era consapevolmente gettato in un altro ginepraio, dal quale tuttavia è ancora una volta uscito indenne. A scandalizzare il campo letterario, oggi, sono le sue posizioni contro il politicamente corretto, il suo pessimismo - “il sesso e il male del mondo vanno insieme" - e le ironie su donne, minoranze, convenzioni linguistiche, valori democratici, che ad altri sicuramente non verrebbero perdonate.
Se prendiamo il suo ultimo romanzo, I figli sono finiti, Rizzoli, e lo sottoponiamo a PCorrector, l’intelligenza artificiale che vaglia l’inclusività, è allarme rosso: nel libro ci sono “pornografia”, “riferimenti alla degradazione sessuale” e “commenti cinici sulla società moderna”. Di fronte a una comunità di lettori che poco a poco dimentica come si distingue l’autore dal narratore dai suoi personaggi, che cosa sono le cornici e registri, l’opera di Siti suona sempre più “problematica”.
Contro l'impegno
Lo scrittore, in effetti, non crede che le parole possano raccogliere efficacemente “l’ingrato compito di porre rimedio alle cose”. Come scrive in C’era una volta il corpo, “se l’orizzonte lessicale è coperto dalle preoccupazioni per il body shaming e cerca il sereno nella body positivity, la cosa migliore è che del body si taccia del tutto – come nella tivù bernabeiana si raccomandava di non accennare alle gambe di un tavolino o si suggeriva a un insegnante di trigonometria di trovare una perifrasi decente al posto del seno di un angolo acuto”. Ma così, il corpo scompare, e con esso scompare la verità del mondo.
Siti ha difeso la sua poetica nel pamphlet Contro l’impegno, più recentemente in un intervento sulla rivista online Snaporaz e in un’intervista pubblicata su rivista Studio, nella quale ha dichiarato di sentirsi tra gli ultimi reduci di “una cosa che non interessa più a nessuno, cioè una letteratura dove lo stile personale dell’autore è il contenuto più importante dei suoi libri”. Nel suo ultimo romanzo un personaggio afferma che “scrivere in uno stile che non esiste ancora” è quel che “fanno i veri scrittori”.
Non è Siti, però, ad avere detto: «Pare che la sinistra sia condannata a una letteratura di propaganda in cui ogni parola serve a edificare il lettore», bensì oltre mezzo secolo prima uno dei personaggi dei Mandarini di Simone de Beauvoir, che raccontava i dilemmi etici ed estetici degli intellettuali parigini nei primi anni del secondo Dopoguerra; il che ci dà un’idea di quanto sia vecchio, e ricorrente, il dibattito. Si dovette aspettare Roland Barthes per rivalutare lo stile contro il contenuto, ovvero contro una sinistra che voleva far fucilare il fascista Celine.
In C'era una volta il corpo, Siti rivendica ancora una volta il fatto che la letteratura è prima di tutto una voce singolare, un’espressione irriducibile della propria visione del mondo. Tornando a scrivere del corpo, “sempre dimenticato e sempre risorgente”, lo scrittore si confronta con la realtà che più resiste all’impegno. Per dirlo con le sue parole: “Non possiamo imporci di desiderare un corpo piuttosto che un altro solo perché sarebbe politicamente più corretto: se il prognatismo facciale, mettiamo il caso, ci ripugna, o troviamo ridicola l’effeminatezza, non c’è considerazione culturale che possa provocarci un’erezione o qualunque altra forma di entusiasmo fisico.” L’estetica del corpo e quella della letteratura rispondono in fondo a una stessa logica, che si fa beffe di tutte le nostre buone intenzioni.
Un necrologio per il corpo
Perché il corpo, appunto, è il luogo di tutte le verità più scabrose: sesso, nascita, morte, violenza, malattia, fluidi, odori. “Siamo ancora troppo animali”, dice ancora un personaggio dei Figli sono finiti.
Nel suo saggio, però, Siti si concentra su come da questa animalità ci stiamo allontanando attraverso la tecnologia. D'altronde “il corpo umano e la techne non sono mai stati due entità contrapposte ma hanno sempre formato un sistema interattivo”. Oggi, secondo lo scrittore, le prospettive del transumanismo aprono a una transizione definitiva verso la corporeità aumentata, simulata, virtualizzata: “Il sesso sarà sempre più online, le differenze genitali avranno sempre meno importanza culturale, l’allungamento della vita fino a centocinquant’anni e la buona salute tecnologicamente garantita consentiranno esperimenti audaci; muterà il rapporto tra principio di piacere e principio di prestazione, tra i corpi vivi e i morti sarà difficile distinguere grazie all’intelligenza artificiale.”
Sopravvive il desiderio, come già nella fantascienza houellebecchiana della Possibilità di un'isola. Ma è un desiderio mediato dagli schermi, dalla chirurgia e dalla farmacologia, un desiderio anch'esso transumato nella transumanità, progressivamente cancellato dai suoi simulacri più efficienti ed eccitanti. Non si desidera più il corpo naturale - lo si è mai desiderato davvero? - ma una costruzione culturale fatta di proiezioni e superfetazioni.
C'era una volta il corpo, appunto: il titolo annunciava un necrologio e Walter Siti c'è lo consegna in una formula lapidaria: “Forse il corpo umano è il frutto di una hybris di specie, un monumento troppo ambizioso per non finire come la Torre di Babele”. Una rovina, una reliquia.
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