Gli esseri umani giustamente amano la figura dell’uomo o della donna “del destino”, sto parlando di quella persona che ogni tanto appare in una società, che emerge come un diamante prezioso, unica in grado di compiere un’azione positiva considerata fino a un attimo prima inattuabile.

L’azione positiva può essere avvicinare le persone alla scienza o all’arte, può essere attirare l'attenzione su un problema sociale, rivoluzionare una situazione politica, porsi alla guida di un pensiero nuovo. Quello che conta è che esiste questa persona dotata di capacità speciali, derivanti da una combinazione di carisma e impegno, e spesso da uno stato di grazia.

A lei si dà spazio e voce. I problemi grossi, però, non sono sempre risolvibili del tutto grazie a un singolo, e il tempo di una vita non basta quasi mai: tutto è sempre più complicato e laborioso, e le rivoluzioni sono difficili e lunghe, e soprattutto avvengono anche grazie a molteplici condizioni silenti e misteriose, di contorno.

In realtà sappiamo che le soluzioni definitive ai problemi difficili si trovano perlopiù lentamente, quando una comunità sviluppa gli insegnamenti delle persone carismatiche, e li trasforma, negli anni, in una progettualità utile, in grado di restituire risultati duraturi: le soluzioni, insomma, nascono dalla cooperazione fra le persone, a sua volta amica del tempo e della collettività.

Riflettevo su queste cose poco prima che mi si presentasse, intollerabile, la notizia della scomparsa di un’intelligenza come quella di Michela Murgia. Una mente di stampo cooperativo che ragionava volentieri sulle correlazioni positive. Come ha scritto Chiara Valerio, «niente di umano le è stato alieno». Mi chiedo cosa saremo in grado di portare avanti. Per il momento assistiamo a una perdita culturale grave e pericolosa.

Che cos’è la cooperazione

Parliamo spesso e volentieri di comunità, di partecipazione, ma cosa significano questi concetti? Per capirlo può essere utile, come spesso accade, partire da un principio opposto, e cioè dalla competizione. La competizione si basa sul fatto di credere in una correlazione negativa fra i nostri risultati e quelli degli altri: un obiettivo si considera raggiunto solo se gli altri non lo raggiungono. La cooperazione, invece, si basa su una correlazione positiva, ovvero sul fatto che un obiettivo è raggiunto solo se tutti lo raggiungono. Esempi di cooperazione esistono in natura, per esempio i rapporti di simbiosi fra gli animali, ma anche le strategie dei branchi, dove si caccia in gruppo per essere più efficaci. L’amicizia è una forma di cooperazione, e non è un caso che sia rara e che la confrontiamo spesso con l’amore romantico, trovando differenze significative (l’amore romantico è talvolta velenoso).

La cooperazione può nascere in modo spontaneo, quando le persone si trovano a condividere un problema da risolvere, e mettono insieme le forze, sviluppando un senso di comunità solo per il fatto di affrontare insieme una difficoltà. Ma la cooperazione può anche essere una semplice regola sociale di buona creanza, immaginiamo i favori scambiati fra vicini di casa: se vado in vacanza mi annaffi le piante, tu farai poi lo stesso per me, cose del genere.

Nel mondo del lavoro si hanno forme di cooperazione di vario genere, per esempio le specializzazioni professionali, che sono il risultato di una lunga storia della tecnica e dell’organizzazione del lavoro. Conosciamo poi, naturalmente, il fenomeno della cooperazione internazionale, che porta – piaccia o non piaccia – alla globalizzazione.

La cooperazione, come tutte le cose veramente interessanti, non è priva di ombre: pensiamo ai fenomeni come la mentalità di gregge, che spinge le persone a comportarsi in un certo modo solo perché gli altri lo fanno. Anche questa è cooperazione, e il comportamento del gregge avrà poi delle conseguenze. Non sempre positive.

La cultura è una forma di cooperazione: la condivisione dei saperi e di un clima intellettuale. Le istituzioni sono una forma di cooperazione, e qui mi viene da ricordare quanto la fiducia o la sfiducia nel sistema diano un sapore diverso: rispetto per gli enti che organizzano le nostre vite o disprezzo per il carrozzone istituzionale.

Vi è poi la cooperazione fra gli umani e le macchine, e pure qui troviamo dell’oscurità, quando osserviamo come l’intelligenza artificiale sfugga alla nostra comprensione. La cooperazione, a differenza della competizione, non aspira infatti a essere perfetta, ma ci fornisce uno strumento potente e ci chiede di usare la testa. Non bisogna credere che sia semplice. Usare la testa non lo è mai.

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