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Il discorso pubblico è pervaso da un’immagine positiva della guerra, chi parla di negoziati è delegittimato. Ma questo ragionamento pone le premesse per altri conflitti.
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Dal 1961 la marcia Perugia Assisi diventa un appuntamento centrale del movimento nonviolento. Il suo appello universalistico e valoriale riflette l’aspirazione ad un mondo diverso ma si tiene un passo indietro rispetto alla politica.
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Solo la piccola componente dei radicali di Marco Pannella adotta la nonviolenza come un progetto politico e la concretizza sia con la richiesta di una legge per l’obiezione di coscienza, sia con le marce antimilitariste, “contro tutti gli eserciti”, come risuona nei suoi slogan, che si snodano lungo un percorso che tocca gli insediamenti militari più importanti, da Trieste ad Aviano.
Il discorso pubblico è oggi permeato dall’immagine positiva della guerra. Per la prima volta dalla fine del conflitto mondiale il riferimento dominante non è quello della pace, della nonviolenza, del dialogo, della coesistenza pacifica. Hanno perso di valore questi concetti, sommersi dalla fiera marcia dei sostenitori dell’unico linguaggio possibile, quello delle armi. Vi sono state, invece, nel nostro paese marce di tutt’altro segno che hanno marcato il terreno con una visione alternativa a



