Davide Maria De Luca ha scritto “Sovranismi, da Salvini" a Orbán, un libro con illustrazioni di Onofrio Catacchio, pubblicato da Centauria.

Quando parliamo di sovranismo dobbiamo fare i conti con una scomoda verità: questa parola serve più a nascondere che svelare. Chi sono i sovranisti, infatti, se restiamo alla definizione ufficiale di questa parola? Sono coloro che chiedono un rafforzamento della sovranità, quindi del potere dello stato, a discapito delle organizzazioni internazionali e di tutte le altre influenze esterne che possono limitarlo.

Ma allora perché sovranisti come l’ungherese Viktor Orbán e i polacchi del partito Diritto e giustizia non sembrano minimamente intenzionati ad abbandonare l’Unione Europea, l’organizzazione internazionale che, almeno sulla carta, dovrebbe rappresentare il nemico numero uno di tutti i sovranisti? Come mai il sovranista per eccellenza Matteo Salvini non ha mai messo in pratica le sue minacce anti europee e, anzi, oggi flirta apertamente con la possibilità di avvicinarsi al Partito popolare europeo, lo stesso in cui siede l’arcieuropeista Angela Merkel?

Sovranismo o destra radicale?

La verità è che per chi chiamiamo e si fa chiamare sovranista, i temi del sovranismo sono come minimo secondari. Ben più importante per la loro agenda è la creazione di una società gerarchica e ordinata. Deve esserci un capo autorevole e magari anche autoritario che non deve essere contestato. Gli attuali rapporti di forza devono essere protetti, non rovesciati. Il posto che la tradizione assegna a uomini e donne non va modificato. Minoranze, persone LGBT, stranieri e immigrati devono accontentarsi di ciò che il resto della società decide che è giusto per loro.

Sono questi i temi che definiscono i sovranisti, molto più della lotta senza quartiere per la liberazione dello stato dalle influenze esterne. In altre parole, il sovranismo come lo intendiamo di solito è praticamente sinonimo di un movimento politico ben più antico di questa parola comparsa solo di recente nel lessico politico: la destra radicale. 

Ma se per quest’ultima, sovranismo è solo una parola più presentabile di altri termini che il senso comune giudica oggi inaccettabili, o come minimo controversi, dove potremmo trovare i veri sovranisti?

Magari dal lato opposto dello spettro politico: a sinistra. Forse qui si possono individuare movimenti e partiti che pur mettendo al centro la liberazione dello stato dalle influenze esterne, lo fanno partendo da una filosofia egalitaria ed inclusiva, secondo cui gli uomini sono fondamentalmente simili e le differenze tra di loro andrebbero limitate.

Come si capisce facilmente, coniugare sovranismo e sinistra non è facile. Essendo egualitaria, la sinistra è per costituzione almeno “tendenzialmente” internazionalista. Se gli uomini sono fondamentalmente uguali, è difficile giustificare che quelli nati in un certo paese hanno diritti congeniti superiori a quelli degli altri. Per questo, spesso la sinistra sostiene che i confini sono costruzioni artificiali che andrebbero abolite. Come coniugare il ritorno al centro dello stato nazionale con questa storia di apertura e cosmopolitismo?

Il caso del Venezuela

Sembra impossibile nel mondo di oggi, eppure ancora oggi esiste un paese che si definisce “socialista”, dove lo stato controlla gran parte dell’economia, fa la guerra ai ricchi e redistribuisce ai poveri quello che raccoglie con tasse e sequestri e dove, allo stesso tempo, il presidente mette in guardia il suo popolo dalle influenze che arrivano dall’estero, facendo appello al loro sentimento patriottico e chiedendogli di difendere la nazione dai suoi nemici.

Si tratta del Venezuela, un piccolo paese del Sudamerica, ricco di petrolio, ma pieno di problemi. Dai primi anni Duemila, il paese è governato dal Partito socialista, fondato da Hugo Chavez, presidente del paese fino alla morte nel 2013. Sotto il suo governo, il paese ha adottato ampie misure per redistribuire il reddito e aiutare i più poveri.

Ma è anche entrato in una dura rivalità con gli Stati Uniti. Si è alleato con Cuba e con altri governi di sinistra sudamericani. Prima Chavez e poi, ancora di più il suo successore Nicolas Maduro, hanno attaccato l’opposizione e messo sotto controllo i media in nome della difesa della patria contro le interferenze esterne. Nel frattempo, il paese è entrato in una difficilissima crisi economica, per la quale i leader hanno incolpato la “guerra economica” che gli avrebbero scatenato contro gli Stati Uniti.

In Venezuela socialismo, populismo e sovranismo hanno insomma trovato una sintesi quasi perfetta. Ma questa sintesi è dovuta in gran parte alla particolare situazione storica e politica locale. Difficile che questa ricetta abbia molto successo nel resto del mondo.

Sovranismo e sinistra in Europa

Chi ci ha provato, altrove, ha incontrato un successo soltanto parziale. I sovranisti di sinistra europei, ad esempio, attaccano i vincoli di bilancio imposti dall’Unione Europea che impediscono di finanziare sussidi per contrastare la povertà. In altre parole, i sovranisti di sinistra attaccano le istituzioni internazionali non perché mettono limiti alla sovranità degli stati, ma perché mettono limiti alla capacità degli stati di lottare contro le diseguaglianze. 

Due famosi partiti che hanno adottato alcuni temi del sovranismo di sinistra sono lo spagnolo Podemos e la coalizione greca Syriza. Si tratta di due partiti molto critici nei confronti dell’Unione Europea e in particolare delle sue regole di bilancio (non hanno invece molti problemi con la libertà di spostamento delle persone, che invece non piace per nulla ai sovranisti di destra). In Francia, un altro partito di sinistra, La Francia indomita, ha spesso adottato una retorica sovranista (a partire dal nome), chiedendo addirittura l’uscita dall’euro della Francia. Nel nord e nel centro dell’Europa, il sovranismo di sinistra ha invece un’accezione che è più simile a quella del sovranismo di destra: l’ostilità agli immigrati. Le ragioni con cui i sovranisti di sinistra si oppongono ai “confini aperti” sono diverse da quelle che siamo abituati a sentire. Secondo loro gli stranieri non distruggono la cultura locale o i valori tradizionali. Ma sono invece delle vittime, sfruttate dal sistema industriale. Non farli arrivare nel paese, quindi, è un modo per proteggere allo stesso tempo loro e i lavoratori locali. Un gruppo politico che dice apertamente queste cose è il movimento tedesco Aufstehen (che significa “rialzarsi”) il cui obiettivo è spostare a sinistra il dibattito politico tedesco, ma allo stesso tempo lottare contro la politica dei “confini aperti”. In Danimarca, il Partito Socialdemocratico ha da tempo posizioni politiche sull’immigrazione simili a quelle della destra radicale e quando nel 2019 è tornato al governo non ha cancellato le leggi discriminatorie approvate dal governo precedente. 

Tutti questi partiti, però, hanno avuto meno successo e in meno paesi rispetto ai sovranisti della destra radicale. In Italia, ad esempio, i sovranisti di sinistra sono praticamente inesistenti. In Spagna, Podemos ha praticamente abbandonato ogni aspetto realmente sovranista e mantiene un moderato euroscetticismo, così come la coalizione greca Syriza. La ragione è che forse il sovranismo, con la sua ideologia esclusiva, nazionalista e divisiva, non può essere a lungo un vero compagno di strada della sinistra? Difficile prevedere il futuro, ma fino ad oggi le cose sembra che siano andate proprio così.

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