Il Partito democratico ha deciso, per impulso dei suoi dirigenti e sospinto dal coro dei media, che, di fronte al risultato del 25 settembre, doveva cambiare tutto.

E’ stato difficile spiegare agli osservatori stranieri perché il secondo partito italiano, depositario di un quinto degli elettori e rimasto allo stesso livello delle elezioni precedenti, fosse precipitato - e fatto precipitare - in una tale crisi esistenziale.

E perché lo si ritenga spacciato per il solo fatto che i sondaggi oggi lo vedono (ovviamente) in calo. Il solito melodramma italiota.

In Germania, due mesi prima delle elezioni, la Spd era accreditata del 16 per cento: poi sappiamo come è andata a finire.

Il dibattito in vista del congresso, anzi delle primarie, potrebbe consentire di fare il punto su cosa è stato e vuole essere il Pd.

Questo partito è nato con un accordo tra ex Pci ed ex Dc più qualche altro elemento sparso per sconfiggere il berlusconismo.

E’ nato in negativo, sull’onda di una emergenza democratica. Di conseguenza la confusione regnava sovrana fin dagli esordi, come Marco Damilano ha raccontato su Domani.

Ora, chiusa l’ennesima donazione di sangue al sistema con l’appoggio incondizionato a Draghi, come prima a Monti e al Conte 2, per salvare il paese da guai catastrofici, è tempo che il Pd si dedichi a sé stesso. Iniziando da un presupposto: che il Pd è un membro della famiglia socialdemocratica.

Questo è il punto dirimente che il partito deve assumere con piena coscienza. Chi appartiene a questo ceppo ideologico ha un obiettivo storico e identitario: rappresentare gli interessi delle componenti più disagiate, di chi non ha lavoro o viene sfruttato, di chi ha i diritti negati, su ogni piano, di chi fatica a condurre una esistenza degna di un paese civile. 

Con la consapevolezza che per togliere dalla loro condizione di fragilità e indigenza i ceti sottoprivilegiati vanno costruite coalizioni a largo spettro includendo quelle componenti borghesi sensibili e simpatetiche all’aspirazione a una società più giusta.

Il Pd, e anche i suoi antecedenti, avevano perso di vista questo obiettivo spostandosi del tutto sui ceti medio-alti.

Al punto che la leadership di Renzi, espressione compiuta di questa mutazione, si è potuta affermare a mani basse. Quindi, per rientrare convintamente nell’alveo del socialismo democratico vanno riconosciuti e rimossi gli errori compiuti in quel periodo.

Il Pd ha lunghi anni di opposizione di fronte a sé e non ha concorrenti che lo possano ostacolare. Il M5s non costituisce un problema: ci vuole ben altro che una foga demagogica, pur giustificata dalla difesa degli ultimi, per rappresentare una alternativa.

Semmai, al Pd manca quella vena tribunizia che animava la sinistra d’un tempo e oggi troppo appannata dal mantra della responsabilità.

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