Mia figlia, dieci anni, mi guarda e dice: mamma, voglio fare la skincare. Lo fa scandendo la parola come se fosse una formula magica. La vedo uscire dalle sue labbra, prendere forma, condensare in sé l’essenza stessa del suo desiderio. Skincare, penso: un sapone e una crema.

Io, madre che non si trucca, a mille anni luce di distanza da dove si trova lei adesso – in un grande negozio di cosmesi, a riempire cestini con prodotti di cui ignoro l’esistenza – la porterò in una erboristeria del centro, dove cercherò la complicità della commessa chiedendo qualcosa di leggero – mi sorprenderò a scandire l’aggettivo come fosse la mia parola magica. E poi mi volterò verso di lei, mia figlia, e sul suo volto leggerò lo sforzo di contenere la delusione. Ignorerò lei, la sensazione di inadeguatezza in cui mi ha fatta precipitare e sorriderò alla commessa, il cui sguardo, ora, non mi sembrerà più così complice. Mi vede per quello che sono: l’ennesima che ha fallito nell’intento di essere insieme madre, amica e sorella maggiore – la più leggera, ho chiesto, illudendomi di renderla felice facendole spalmare il nulla sul suo viso fresco e pulito di bambina – e invece sono l’unica a non sapere che due settimane dopo mi ritroverò in un grande negozio di cosmesi, sola e quasi smarrita con un cestino colorato in mano, a leggere il dettaglio di maschere monouso al cocomero e al mirtillo, per scegliere le più carine per il suo pigiama party, solo per dimostrarle che non sono la madre sfigata che pensa.

Figlie che odiano le madri

Nel giro di pochi mesi il bagno si riempie di prodotti, la succursale di un centro estetico, per contenerli arriva un enorme beauty case: creme per il viso, per il corpo, per le mani, per i brufoli, maschere esfolianti, idratanti, purificanti, creme e maschere per le mani e per i piedi. Per le labbra ci sono scrub, balm, maschere a forma di bacio. Come fai a sapere come usarle? Le chiedo curiosa. I video su TikTok. Tu non hai TikTok, replico per sentirmi ribattere: visto che non mi prendi il telefono li guardo su YouTube. Vado a guardare anche io: centinaia di milioni di visualizzazioni di video di bambine creator, un intero segmento di mercato destinato a loro, già uscita la definizione: cosmeticoressia.

Ogni volta che viene un’amica si chiudono in bagno per ore, il nuovo tempio della felicità. Fortuna che ne abbiamo due, penso. Io la imploro: non esagerare, ti fanno male, non ne hai bisogno. Mi sembra che mia madre si sia impossessata del mio corpo, che parli attraverso di me per farmi dire le cose esatte che odiavo sentire da lei. A conferma di questo, mia figlia mi guarda con disprezzo. Vorrei riavvolgere il nastro, fermarmi, tacere ma non ci riesco, addirittura rilancio: se inizi ora, alla mia età cosa farai? Lei mi fulmina: non schifo come te. Porta della camera che si chiude. Sipario. Mi vuole punire, penso. Lo fa perché non mi trucco, non ho i capelli perfetti delle madri delle sue amiche – perché non sei come loro? Mi ha chiesto una volta – e il mio angolo skincare si riduce a un sapone e una crema antirughe. Siamo a quel punto lì, penso, a quello in cui si odia la madre.

Iniziano prima, oggi, mi aveva avvertita un’amica sorseggiando un gintonic alle sei del pomeriggio, lo sguardo svuotato di chi è abituata a perdere ogni scontro. A me non succederà, mi ero detta. Oggi mi chiedo: perché pensiamo di essere un’eccezione? Perché non accettiamo che le nostre figlie saranno stronze esattamente come quelle degli altri?

Specchio riflesso

Mia figlia cresce e si avvicina sempre di più a quella che ero io un tempo (l’immagine di me giovane e proiettata verso un futuro ancora indefinito) mentre io sono sempre più vicina a come era mia madre – sempre lì quando la cercavi, a volte stanca, a volte felice. Sembra di essere in un parco giochi, dentro le case con gli specchi deformanti: rivedo me stessa ragazzina vergognarmi delle ascelle non depilate di mia madre. Gli abiti smanicati, i peli neri che uscivano. Perché non sei come le altre mamme? La sensazione, per me allora incomprensibile, che non gliene fregasse nulla.

Oggi, trent’anni dopo, penso: la mia prima lezione di femminismo. Grazie, mamma. Poi la botta di consapevolezza: dovrò aspettare i miei settant’anni per essere capita da mia figlia. Mi immagino anziana, in un bar a prendere un caffè, lei ha l’età che ho io ora, potrebbe avere dei figli. Forse, dico forse, ha capito quanta fatica si fa per arrivare a quel punto lì, quello in cui eserciti la libertà di essere te stessa. Per la prima volta, il suo sguardo si poserà su di me e non sarà giudicante ma comprensivo.

Penso a tutto questo mentre la aspetto fuori dalla palestra, il tempo infinito dello spogliatoio. Il suono delle risate acute anticipa l’apertura della porta, lei e un’amica si avvicinano, il loro sguardo mi attraversa e mi si piazzano accanto, come se non esistessi. L’amica dice: spero che mia madre non si sia messa i pantaloni leopardati che mi fa vergognare. Mia figlia guarda verso l’ingresso del cortile poi risponde: amo, li ha.

Sento un cheppalle sussurrato. La mamma si avvicina, ci salutiamo, è esattamente come mia figlia vorrebbe fossi io: abiti alla moda, trucco, sopracciglia disegnate, messa in piega. La saluto e le sorrido amichevole, in fondo siamo tutte sulla stessa barca. A quel punto sento la voce di mia figlia dirmi: ah, sei qua.

Tuffo nel passato

Inizia a parlare di skincare coreana. Per non sembrare fuori dal mondo fingo di controllare le mail e la cerco su Google: trovo l’immagine di una piramide a 11 step per avere una pelle da sogno. Deglutisco mandando giù saliva e risentimento verso una ragazzina – mia figlia – che nel frattempo avrà compiuto 11 anni e la cui giornata ruota intorno alla beauty routine.

Ripenso a me alla sua età: io e le mie compagne di classe, nello spogliatoio, a farci la ceretta alle gambe con lo scotch, il dolore di quei quattro peli sottili che venivano strappati via, la delusione nello scoprire che più di così non potevamo ottenere. In fondo, penso, loro hanno solo accesso a più informazioni. Le avessi avute anche io, non avrei cercato un modo migliore di far sparire i brufoli che spremendoci sopra un limone? Sì, mi rispondo onesta, lo avrei fatto.

Nel pomeriggio mi scontrerò con il karma, che avrà preso la forma dell’algoritmo: sui social mi compaiono le promo delle marche più famose di skincare coreana, box da sei prodotti a prezzo scontato. Sono a mezzo secondo dal comprarli. Scorro sperando di farli sparire e trovo un post della pagina Instagram Sapore di male, che sotto la cover di un vecchio numero di Cioè scrive: «È il 1997. Corri in edicola perché c’è la lacca flou e i nuovi poster di Leonardo di Caprio da ritagliare. Costa 4000 lire ma te li hanno dati, sanno che ci tieni. La Seconda Repubblica è iniziata da pochi anni. Ci sono anche gli adesivi con Geri, la tua preferita. Non sai ancora che da lì a poco lascerà le Spice, avviando un processo che le distruggerà. Va tutto bene. Sei felice». Nel 1997 avevo 15 anni, leggevo Cioè ignorando il disgusto dei miei genitori, usavo la lacca flou, volevo essere bella come una pop star, odiavo mia madre ed ero felice. Con che diritto immaginavo che mia figlia costruisse la propria identità senza passare dalla mia disapprovazione?

Ritrovarsi in un bagno

Poi l’ho fatto. Una noiosa domenica pomeriggio, mentre lei leggeva un manga sul divano, ho disegnato lo spazio di una tregua domandandole: mi fai la skincare? Ha sollevato lo sguardo dalle pagine, mi ha osservata stupita per qualche istante e poi, impassibile, mi ha risposto: sarà uno spreco di soldi perché non hai speranza, ma tanto paghi tu. Io ho fatto la faccia triste, lei ha riso e mi ha portata in bagno tirandomi per la mano.

Lì, seduta sul water, l’ho sentita vicina come non succedeva da un po’, mentre mi puliva il viso con due prodotti diversi, mi posizionava il tessuto fresco di una maschera purificante e per quindici minuti mi ticchettava con le sue dita instancabili la pelle, spalmava un siero energizzante e poi la mia crema antirughe recuperata dall’altro bagno. Alla fine avevo la pelle tesa e lucida.

Lei mi ha guardata soddisfatta e il mio cuore si è riempito di una gioia insensata quando, recuperando da qualche parte la sua voce dolce di bambina, ha detto: sei bella, mamma.

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