Negli ultimi anni Laurie Anderson, vedova di Lou Reed, ha lavorato per poter tornare a collaborare con il suo defunto marito. Insieme a un’università australiana ha sviluppato un sistema di intelligenza artificiale in grado di scrivere in tre stili: Anderson, Lou Reed e una combinazione Anderson/Reed. 

«Non ho certo l’illusione di scrivere canzoni con il mio defunto marito, ma il suo stile è lì dentro. Tutte le sue musiche e i suoi testi sono caricati nel sistema, insieme ai miei: è la cosa più vicina ad una collaborazione», ha detto intervistata da Repubblica.

A novembre dello scorso anno è stata pubblicata Now and then, “nuova” canzone dei Beatles realizzata grazie al supporto dell’intelligenza artificiale.

Chiamiamoli esperimenti, alchimie da laboratorio. Dopo averla privata dello spazio rendendola “liquida” – nonostante il culto nostalgico dei vinili ormai possiamo ascoltare quello che vogliamo dove vogliamo – ecco il tentativo di privare la nostra musica dell’altra dimensione fondamentale: il tempo.

Ma se è abbastanza evidente che può esistere una musica senza tempo – al diciassettesimo posto della classifica settimanale della Federazione industria musicale italiana (Fimi) degli album più venduti nel periodo 29 dicembre 2023-4 gennaio 2024 c’erano i Pink Floyd con The dark side of the moon – c’è una domanda che forse vale la pena porsi: può esistere una musica senza “il” tempo?

Storia e storie

E non è evidentemente una questione di pentagrammi, battute, quattro quarti o sei ottavi. Il tempo è quello della storia che, come spiega bene Stefano Mannucci nel suo ultimo libro Batti il tempo (editore Castello), è segnato da momenti di musica.

Dopotutto il sottotitolo, «la musica nella storia, la storia nella musica», è già di per sé un obiettivo programmatico. Così come i nomi degli artisti e dei gruppi protagonisti del libro: da Miles Davis a Frank Zappa, passando per Beatles, Rolling Stones, Pink Floyd, Bob Dylan, Aretha Franklin, David Bowie, Genesis, Janis Joplin, Robert Wyatt, Neil Young, Joni Mitchell, Nick Drake e Johnny Cash, per citare i principali. «Un tuffo letterario nei grandi fatti della storia raccontati attraverso la musica, e nei grandi momenti della musica ispirati dalla storia», per dirla con alcune delle parole che presentano l’opera.

Non è la prima volta che Mannucci si misura con la storia della musica. Lo aveva già fatto nei precedenti libri Il Suono del Secolo e L’Italia Suonata. Quasi a dire che la sua è anzitutto una missione educativa, un tentativo di tramandare ai posteri le vicende di uomini e donne che, col passare degli anni, rischiano di essere dimenticate, rimosse.

Un’operazione da boomer, da nostalgici dei tempi andati? Forse c’è chi la vede in questo modo. Ma quanti oggi ricordano da dove è nata Ohio di Crosby, Stills, Nash & Young, il contesto culturale e politico che ha portato a quel grido di protesta e l’impatto che ha avuto sulla vita delle persone? A ben vedere non è solo nostalgismo. 

Certo, per dirla con Francesco Guccini, nessuno pensa che «a canzoni si fan rivoluzioni». Non sempre, almeno. Ma sarebbe sciocco non chiederselo davanti all’annuncio che Elvis Presley tornerà presto sul palco, e in tour, grazie a un ologramma e allʼintelligenza artificiale: che musica è quella a cui viene tolto “il” tempo?

Probabilmente una musica più scialba. Un sottofondo incolore per accompagnare le nostre giornate. Una brutta canzone dei Beatles che lascia in noi un dubbio: siamo proprio sicuri che quello sia il suono con cui John Lennon avrebbe interpretato il nostro tempo? Ma questa è un’altra storia. 

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