Il cane da guardia del potere. Il ruolo della stampa per Thomas Jefferson doveva essere quello di controllare il governo attraverso un’azione costante di informazione dei cittadini. Accuratezza nelle gestione delle notizie proprie di una stampa libera da condizionamenti di tipo economico-finanziario, politico e governativo. Il giornalismo quale contropotere, bilanciamento tra le forze che governano la società e lo stato in un quadro di “pesi e contrappesi” che fu la vera ossessione laica dei padri fondatori degli Stati Uniti, impegnati ad evitare che il potere politico e decisionale risiedesse in una sola figura istituzionale e in un solo luogo. «Ambizione che contrasta l’ambizione», l’ideale madisoniano applicato al ruolo dell’informazione e all’equilibrio dei poteri in modo che nessuno mai prevalga tantomeno in forma permanente.

Nelle parole di Jefferson «la stampa non necessita blocchi di tipo legale», che è poi la funzione del dissenso, vero elemento distintivo rispetto ai regimi autocratici ove l’espressione di opinioni divergenti rispetto a quelle del “potere” non è consentita. Ossia, quanto scolpito nella Carta costituzionale italiana (art. 21): «La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure».

Giornalisti sotto scorta in Italia

Nel Rapporto annuale di Reporters Sans Frontières emerge però un profilo non proprio edificante per l’Italia, in cui «la libertà di stampa continua ad essere minacciata dalla criminalità organizzata, soprattutto nel sud del paese, nonché da diversi gruppi estremisti violenti».

Nella classifica per tasso di libertà di stampa l’Italia si colloca al quarantunesimo posto (su 180), con oltre 250 giornalisti che vivono sotto vigilanza, di cui 22 sotto scorta. Una conferma arriva ancora dal Rapporto sulla libertà di stampa secondo cui i giornalisti italiani a volte cedono «alla tentazione di censurarsi, sia per conformarsi alla linea editoriale della propria testata giornalistica, sia per evitare una causa per diffamazione o altre forme di azione legale, o per paura di ritorsioni da parte di gruppi estremisti o della criminalità organizzata». Una situazione complessivamente democratica, ma certamente non rosea. In questo contesto si aggiunge anche la recente legge (cosiddetta bavaglio) che agisce sulla diffusione delle informazioni, introducendo il divieto di pubblicazione “integrale o per estratto” del testo dell’ordinanza di custodia cautelare.

Al di là delle posizioni politiche sul tema, è cruciale che i cittadini siano più consapevoli, con lettori e lettrici informati che potranno decidere meglio. Cittadine informate sull’azione del governo proprio attraverso la stampa, che però versa in condizioni assai gravi, quanto a diffusione e lettura.

I dati di Accertamenti diffusione stampa presentano un quadro inquietante che non accenna a migliorare da almeno vent’anni. Se i principali quotidiani (Corriere e Repubblica) vendevano oltre 600mila copie a fino agli anni Novanta, oggi faticano a giungere a un terzo di quel valore. L’accesso via web non ha invertito la tendenza alla fiacca lettura e anzi ha esasperato meccanismi di accattonaggio telematico con la diffusione di accesso gratuito a rassegne stampa spesso illegali che sottraggono risorse preziose alle testate e, dunque, ai giornalisti, vero anello debole del settore.

Temi sollevati in varie occasioni dall’Associazione nazionale della stampa e dai sindacati di categoria. Il tema della scarsa lettura in Italia è articolato e complesso e rimanda a vari concomitanti fattori ricadenti non solo nel mondo dell’editoria giornalistica, la quale tuttavia è maggiormente esposta al declino e ai cambiamenti sociali anche in virtù dei ridotti margini di guadagno degli edicolanti.

Oggi in Italia ci sono circa 12mila edicole, ma nel 25 per cento dei comuni non ve n’è nessuna e il 30 per cento dei centri abitati ne ha solo una (fonte Agi). In quattro anni, secondo una ricerca di Unioncamere-InfoCamere, ne sono sono scomparse quasi 2.700 in tutto il paese: una perdita secca superiore al 16 per cento. Il rischio è quello di una desertificazione sociale e informativa.

Non basta l’accesso, potenziale, all’online anche in considerazione del digital divide, della disuguaglianza cognitiva/tecnologica/informatica che investe soprattutto i piccoli centri, il sud e la popolazione anziana.

Un appello per la stampa

Pertanto, sento di lanciare un appello per una grande mobilitazione a favore di librerie e edicole, aperte fino a mezzanotte in una giornata simbolica quale il 21 marzo. La primavera della lettura, in cui i quotidiani potrebbero uscire in edizione speciale, promuovere incontri con giornalisti (nelle edicole), dove ciascun quotidiano potrebbe adottare un’edicola (meglio se di periferia), un edicolante (meglio se giovane e donna), in cui ciascun cittadino potrebbe fotografarsi con il quotidiano preferito in mano, lasciare un “giornale sospeso”, meglio se a favore di un giovane o di un disoccupato.

Dare fiato alla fantasia con azioni di promozione di diffusione e lettura dei quotidiani, regalandone una copia, acquistando una rivista, sottoscrivendo un abbonamento. I politici potrebbero recarsi in edicola, pagando una copia del quotidiano in cartaceo senza accedere alla rassegna stampa della Camera che tanto nuoce nella sua diffusione gratuita abnorme.

Tra la miriade di misure economiche ad hoc, spesso per biechi interessi di categorie legate a politici portatori di interessi di puro lobbysmo, sarebbe utile riuscire a intervenire su sgravi fiscali per la distribuzione, l’azzeramento per due anni delle tasse per gli edicolanti soprattutto se operanti in centri con meno di 3.000 abitanti, proprio con l’obiettivo di avere una edicola in ogni comune.

Del resto durante il Covid, gli edicolanti, insieme agli infermieri e ai medici erano tra le categorie osannate per il loro lavoro nel mantenere vivo il senso di comunità. Lo ricorda sempre Thomas Jefferson che la «nostra libertà dipende dalla libertà di stampa la quale non può essere limitata senza essere perduta». Andiamo in edicola.

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