Ma che disco ho appena ascoltato? Venezia. È domenica mattina, mi sono appena alzato. Faccio una veloce colazione e decido di andare a fare una passeggiata in spiaggia. È una giornata stupenda, il cielo è limpido, non una nuvola, la luce del sole ineludibilmente invernale, fa freddo sì, ma perché stare a casa.

Mi vesto bene, e in borsa ci metto Cesco e il grande tossico, il nuovo romanzo di Luca Pakarov, che forse comincerò a leggere al primo bar di fronte all’imbarcadero dove attracca la motonave; deve ancora uscire, l’editore me l’ha spedito in anteprima, e mi incuriosisce. Alla prima occhiata m’è sembrato di un realismo, come dire, avvincente.

Portafogli, telefono, chiavi di casa, sigarette e una bottiglietta d’acqua. Poi ci metto le cuffie, quelle serie. Detesto ascoltare musica con il telefono, non lo faccio mai, ma questa volta è diverso.

Perché in anteprima ho anche La mia patria attuale, il nuovo album di Massimo Zamboni. Non l’ho ancora ascoltato, ma il Canto degli sciagurati e Gli altri e il mare le avevo già sentite, e visti i video. Canzoni graziose, mi dissi, ma niente di nuovo.

Seguire un consiglio

Ora che ci penso, forse stamane ho deciso di andare ad ascoltare il disco in spiaggia proprio perché nel videoclip de Gli altri e il mare è lo stesso Zamboni che passeggia pensieroso lungo il bagnasciuga. Forse, voglio dire, me l’ha consigliato lui, Massimo.

È come se mi avesse suggerito non di chiudere gli occhi e concentrarmi, canzone per canzone, ma di rilassarmi, una buona volta, di dimenticare gli affanni quotidiani, le nostalgie, i piccoli rancori, i rammarichi, le necessità economiche, i cattivi pensieri insomma, le assurdità di ogni giorno – direbbe Majakovskij – e di guardare il mare, l’immenso mare, stamane così calmo che sembra laguna, cangiante in verde, azzurro e uno spruzzo di rosa sbocciata, e di lasciarmi andare, brano dopo brano, senza pretendere più niente se non un po' di pace. E così ho fatto.

Supero il BlueMoon, l’entrata pubblica fra gli stabilimenti, e affondo i mocassini nella sabbia. Camminando con passo incerto tolgo le cuffie di borsa, ne inserisco il jack nel telefono e le indosso, e appena raggiunta quella sabbia umida di recente marea che rende più stabile e sicura la camminata, premo play.

L’aria è calma, fresca e pungente, e come al solito mi fermo, di tanto in tanto, a raccogliere una conchiglia. Quando ne vedo una più colorata e più grande non resisto. Ce ne sono milioni, forse miliardi. E milioni di miliardi di frammenti, sempre più piccini, che diventano sabbia. È stupefacente, penso.

Nemmeno me ne accorgo e sono già a Ora ancora. La riseleziono. «Dovremo avere più coraggio, per non vivere in ostaggio dei torti e delle offese, e non accontentarsi di andarsene via, per non tornare», e mentre soffio in un piccolo paguro per liberarlo dalla sabbia, rifletto che anch’io ho sempre sentito il desiderio di fuggire, dall’altra parte del mondo magari, forse in America a fare fortuna, e invece sono qui, solo e un po’ sconsolato, cinquantatreenne, ma ancora un bambino, che raccoglie conchiglie. Non crescerò mai.

Il nemico

«Temporale in pausa pianto, tutti parlano del tempo, pagine lasciate in bianco non ne ho»… Hai capito!, mi dico tra me e me, Zamboni non scherza con le assonanze e le allegorie, anzi, ci sa proprio fare. Fin dal suo titolo, Italia chi amò, è uno strano oggetto, difficile da decifrare, non si lascia conoscere, come uno strumento, un dispositivo che non sai a cosa serva, e pertanto affascinante. Un’affabulazione? Un favoleggiamento?

E allora scopro, finalmente, che tutto l’album sembra una favola scura, tenebrosa, nella quale Il nemico – il titolo della quinta traccia – è penetrato nella mia, nella nostra terra, e non ce ne siamo neanche accorti. Penso allora a Pasolini, sotto il cui sguardo spietato poltriva quell’ingordo del capitalismo, la più eccelsa forma di tutti i fascismi. Erano decenni che delle canzoni non mi facevano riflettere così. Incomincio a stupirmi.

Tira un’aria sconsolata è una ballata giocosa, un susseguirsi di citazioni decifrabilissime che funzionano a meraviglia, un dileggio, un’irrisione, uno scherno nei confronti di un’Italia che ha voluto, con tutte le sue forze, dimenticare la sua stessa storia. Che ci frega. Nessun avvedimento all’orizzonte. I promessi sposi resteranno promessi, il Colosseo lo venderemo a rate, va il pensiero all’Enalotto. Geniale.

«Troppe vite si arrendono, e si estinguono dentro di noi» è l’incipit di Nove ore. Quanto hai ragione Massimo. Mi ricordi quel caro, carissimo amico che un triste giorno mi disse, incurante del ridicolo, che leggere i libri non ha senso, che la storia la scrivono i vincitori, non i popoli, che la vita è una truffa, e non vale più la pena di affrontarla. Fu l’inizio della fine della nostra amicizia. Perché niente mi irrita di più di un fratello che si arrende alle circostanze. È così facile arrendersi. Troppo facile, questo è il punto.

La musica pretende attenzione

Ed eccola, la title track, al posto giusto e nel momento giusto. «Grandi le città, e grande la bellezza offesa … onesta per metà, e per metà per male», La mia patria attuale è un inno al dolore di un paese che ha rinunciato a sé stesso. Un testo scarno, essenziale, come la voce di Massimo in tutto il disco, a volte spezzata altre sussurrante, mormorante, commossa e orgogliosa, ma sempre sostanziale, refrattaria al “bel canto”, ma non alla poesia. E meno male.

«Fermamente, collettivamente, abbiamo abbandonato i padri». I padri. La patria, appunto. Dimenticata. Davanti alla tv, a uno smartphone, un ipermercato, un autogrill. Ce la siamo scordata, sola, in lacrime. Non ci resta che tornare da lei, chiederle scusa, riportarla a casa e prendercene cura. Perché se non è mai troppo presto per sbagliare, non è mai troppo tardi per fare la cosa giusta.

Non è vero, me ne accorgo in una spiaggia semideserta di una domenica d’inverno, che Il canto degli sciagurati e Gli altri e il mare non sono che canzoni graziose. Perché sono bellissime, sì, bellissime e preziose, come murici spinose perfettamente integre nelle mani sorprese di un fanciullo. YouTube non ti chiede di ascoltare, ti ordina piuttosto di prestare orecchio, nulla di più, non si sa mai.

Vero è invece che certa musica pretende attenzione, ragionamento, interpretazione, intelletto, esattamente come è stato per Franco Battiato, della cui memoria qui sentiamo un’eco lontana ma ben distinguibile, che non si è mai accontentato né dei fasti passati, né di quelli a venire, e che ha sempre cercato il senso delle cose nel mondo e negli altri. Che Dio l’abbia in gloria.

C’è così tanta fanciullezza in queste canzoni così mature, adulte, coscienti e consapevoli, che ti viene voglia di rifarla daccapo questa Italia.

Canzoni che suonano le corde del cuore di chi le ascolta, e che, in punta di piedi, con un certo imbarazzo, bussano alla porta dell’amante antica, quella per cui perdesti la testa quando avevi vent’anni, e che non vuoi, non puoi dimenticare. La coscienza civile.

Ecco che disco ho appena ascoltato.

Chi non legge i romanzi, chi crede che la storia non sia scritta che dai vincitori, chi pensa che tutto sia perduto e non ci resti che accontentarci dei resti della festa, lasci perdere quest’ultimo album di Zamboni. Quell’attacabrighe di Pakarov sarebbe d’accordo con me.

Ah… prima che me ne scordi… La mia patria attuale è un album perfettamente confezionato. Produzione e missaggio sono di quel geniaccio di Asso (Alessandro Stefana), e sono ineccepibili. Ineccepibili tutti i musicisti coinvolti. Il mastering è perfetto, e ci credo… lo ha curato Giovanni Versari, fra i migliori ingegneri del suono in circolazione, e non da ieri.

Nella presentazione per la stampa, Massimo ci suggerisce che «patria non è parola leggera. Contiene in sé anche il mascheramento delle disuguaglianze, l’esercizio della violenza in difesa di interessi personali o di casta. Ma patria è ciò che abbiamo, che siamo, presenza immateriale che giustifica l’essenza profonda dei popoli». Qualcuno lo spieghi a quei nostri tribuni che, quando parlano di patria, chissà perché, pensano a un regime, gerarchi inclusi.


La mia patria attuale di Massimo Zamboni sarà in vendita a partire dal 21 gennaio 2022

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