Se c’è qualcosa che invidio ai francesi, oltre ai croissant, la gentilezza dei dipendenti di Cityscoot e Vanessa Paradis che canta Joe le taxi, è l’attore Omar Sy. «Se fossi inglese vorrei fare James Bond, siccome sono francese voglio essere Lupin», aveva dichiarato in un’intervista. Solo questo mi è bastato per accettare l’invito di Netflix all’anteprima romana della terza stagione della serie Lupin. Nato nel 1978 a Trappes, nell’interland di Parigi, da genitori senegalesi, sono fan di Sy dal film Quasi amici che gli è valso il premio César come miglior attore. Il primo episodio della serie per cui sono stata invitata nella Capitale è stato girato di notte al Louvre e Sy ha detto che l’esperienza di vedere la Gioconda in solitudine è stata una delle più forti della sua vita. Altra dichiarazione che mi ha fatto innamorare di lui. Omar Sy è tutto quello che non abbiamo e che rende i francesi migliori di noi, l’integrazione che aggiunge a tutti, promuovendo la dignità dell’individuo. E che in Italia non c’è.

L’area cani

«Siamo solo in ritardo», mi rassicurava l’altro giorno una signora all’area cani di Via Benedetto Marcello, in zona Porta Venezia, a Milano, dopo avermi accennato al palazzo in stile Brutalista in cui ha scelto di abitare il figlio col fidanzato. «Prima o poi l’integrazione sarà necessaria, lasciando alle spalle il populismo che ci fa perdere tempo e denaro», spiegava mentre metteva il guinzaglio al suo spinone. Ci troviamo a pochi metri dalla Stazione Centrale, protagonista di servizi tv che mostrano gli arrivi dei clandestini. Ma le opinioni dal vivo non sono le stesse gridate in certi programmi. Nessuno desidera retate o sindaci-sceriffi. «Non possiamo lasciarli dormire per strada: troviamo loro sistemazioni, allestiamo docce. E obblighiamo i loro figli ad andare a scuola», aggiunge la proprietaria di Alaska, rendendo l’area cani il luogo in cui mi sento più rappresentata.

Il bar delle spie

Passare qualche ora a Roma è sempre un’esperienza. Dopo la prima di Lupin, sono andata a cena Da Dante, ristorante in zona Rai. «Qui si mangia fino a tardi», sostenevano le mie esperte commensali Valeria, Martina e Antonella, mentre ci accomodavamo all’esterno. Tardi davvero, visto che a mezzanotte è arrivato Francesco Totti con Noemi - nel frattempo però usciva Flavio Insinna - e verso l’una si presentavano, a caccia di una carbonara, due amici autori accompagnati dalla mitologica Simona Luciani.

Il giorno dopo per un caffè ho visto l’amico cronista Giacomo Amadori da Dagnino, bar Anni 50 a due passi dal Quirinale: «Sembra un luogo dove si incontrano le spie», ha detto lui facendomi ricordare, con terrore, la nostra prima trasferta insieme a Pechino, per le Olimpiadi del 2008. Ai tempi, mentre io dovevo occuparmi della vita notturna degli olimpionici - «non scrivere che fumo», è la frase mantra che porto con me - lui si occupava dei conflitti interni al partito comunista.

Al punto che una mattina sparì il suo zaino con l’agenda e i numeri di telefono. Le nostre strade si separarono quel giorno, quando io accettai l’invito in discoteca della nazionale di pallanuoto e lui era in una caserma cinese a fare una denuncia che durò un’eternità. A pranzo poi ho raggiunto l’esperta di comunicazione politica Antonella Madeo all’Osteria del Sostegno, ristorante della prima repubblica. A tavola con noi c’era il giornalista Massimiliano Lenzi - che su Rai Radio 1 cura il programma Il Rosso e il Nero con Storace e Luxuria - e nell’attesa di trovare un taxi per tornare alla stazione, mi sono ubriacata con gli amari. E sono tornata a piedi.

La madre di Elodie

Elodie ritratta da Milo Manara

Ieri sera ho fatto tardi, perché sia Tommaso Paradiso che Elodie hanno festeggiato i loro progetti musicali. Il primo al Beda House dove ha suonato il pianoforte e cantato le canzoni dell’album Sensazione Stupenda. Finiti i free drink mi sono diretta al Red Room, locale solitamente adibito a lap dance, ma affittato da Elodie per la festa del suo Red Light, sette brani mixati senza pausa. «Chi verrà ai miei concerti dovrà tornare a casa stanco», spiegava lei. E poi: «Il corpo è mio e mi esprimo come voglio», ha aggiunto a chi le chiedeva del suo nudo in copertina. L’open bar è stato deleterio, ricordo solo di aver lasciato la festa quando in pista c’erano ancora Marco Mengoni, Elodie e sua madre che ballava perfino meglio della figlia. Deve essere stato in quel momento che ho capito fosse meglio andare a casa.

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