Mentre siamo tutti presi dagli sviluppi della guerra, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, ci dice che abbiamo pochissimi anni per evitare la catastrofe della nostra Terra di cui oggi celebriamo la Giornata.

Il rapporto dell'Ipcc viene pubblicato all'incirca ogni otto anni mettendo in fila i contributi su base volontaria di migliaia di scienziati di tutto il mondo. La sintesi del rapporto 2022 è drammatica: per riuscire a limitare l'aumento della temperatura media globale a 1,5°C o, al peggio, mantenendola al di sotto dei 2°C, servono azioni immediate e terribilmente impegnative da parte di ogni paese.

La prima parte del rapporto rileva che il clima sta cambiando ancora più rapidamente di quanto finora previsto.

a seconda prevede i conseguenti peggiori effetti del cambiamento climatico globale sul mondo naturale e sulle popolazioni umane.

La terza illustra le azioni che tutti i paesi del mondo devono intraprendere per impedire che le temperature globali salgano entro la fine del secolo oltre livelli catastrofici e fa ipotesi sulle conseguenze di queste azioni sull'economia, sull'uso del suolo e sui comportamenti delle persone.

Cosa serve

Le conclusioni sono nette. Per avere una probabilità del 50 per cento di contenere in questo secolo entro i 2°C l’aumento del riscaldamento globale si dovrà raggiungere lo “zero netto” delle decarbonizzazione, cioè il pareggio tra emissioni di carbonio rilasciate in atmosfera entro il 2070.

Per l’obiettivo dell’1,5°C di aumento lo zero netto va raggiunto entro o poco dopo il 2050. Anche solo per l’obiettivo di limitare l’aumento a 2°C è necessario che le emissioni globali di gas serra siano ridotte di un quarto entro il 2030. Non un domani lontano, praticamente dobbiamo iniziare a farlo oggi!
Nonostante le promesse di quasi tutti i paesi di abbattere l'inquinamento, l'IPCC ha rilevato che l'aumento delle emissioni nette di gas serra medie annue tra il 2000-09 e il 2010-19 è stato «il più alto mai registrato».

La domanda che viene spontanea è: perché non agiamo? Perché gli interessi economici sono ancora legati a stretto giro all'uso di combustibili fossili e, brutto dirlo, ma non ci sono ancora state catastrofi naturali abbastanza rilevanti da accelerare i processi di transizione. Cosa aspettiamo, che Venezia o Ravenna vengano completamente sommerse dall'acqua?

L'Ipcc ci dice cosa fare concretamente per evitare il peggio. Entro il 2050 deve diminuire a livello globale del 95 per cento l'utilizzo del carbone, del 60 per cento quello del petrolio, del 45 per cento quello del gas. Non c'è spazio per nuovi progetti sui combustibili fossili. Occorrono invece importanti e immediate transizioni nel settore energetico, una diffusa elettrificazione, una migliore efficienza e l'uso di sistemi di alimentazione alternativi, ad esempio quelli basati sull'idrogeno verde.

La complicazione della guerra

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e le conseguenze sugli approvvigionamenti energetici stanno frenando le previsioni di decarbonizzazione e nel breve periodo rappresenteranno addirittura un peggioramento della situazione. Ma quanto sta accadendo può essere anche una spinta ad accelerare la corsa alle fonti rinnovabili e a cambiamenti nelle nostre abitudini. Larga parte della cittadinanza è pronta e ben disposta ad affrontare questa rivoluzione.

Siamo noi politici allora che dobbiamo essere più coraggiosi su questi temi e abbandonare la strada dell’immediato e facile consenso. La spinta decisa verso un cambiamento e una sensibilizzazione di massa può e deve arrivare anche dai sindaci, da chi ha ruoli istituzionali, sociali ed educativi anche in piccole realtà come Segrate. Occorre maturità e fermezza e soprattutto responsabilità verso le prossime generazioni.

Serve un’agenda nuova per la politica. Per la Terra.

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