Le Conferenze delle Parti, o Cop, sono gli incontri annuali organizzati dalle Nazioni Unite per concordare efficaci politiche di contrasto al riscaldamento globale. A novembre 2021 in Scozia si terrà la ventiseiesima edizione, presieduta congiuntamente da Italia e Regno Unito. La Cop di quest’anno è particolarmente importante per due motivi: è la prima dallo scoppio della pandemia ed è chiamata ad aggiornare gli Accordi di Parigi, ovvero la più avanzata intesa mai raggiunta nella lotta alla crisi climatica. In questo spazio bisettimanale ci proponiamo di raccontare le notizie, i meccanismi, i retroscena dei negoziati per il clima. Siamo arrivati al secondo numero, a questo link trovi il precedente.

Al vertice internazionale si litiga per i soldi

Il 31 marzo è stata una giornata ricca per il mondo dei negoziati sul clima. Nel corso della mattinata, a porte chiuse, si è svolta la Climate and Development Ministerial, l’incontro tra i ministri degli esteri di decine di paesi da tutti i continenti e i rappresentanti delle più importanti istituzioni finanziarie del mondo - Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale compresi. Uno degli eventi preparatori in vista di Cop26.

Stando a quanto si legge nel report ufficiale, tutti i partecipanti si sono trovati d’accordo sui principi generali - ripresa post-covid da legare alla transizione ecologica, aiuti alle nazioni in via di sviluppo.

Sugli impegni a breve termine e sui trasferimenti di denaro si incontrano differenze tra le parti. I paesi più poveri - di solito anche i più colpiti dalla crisi climatica - lamentano l'insufficienza dei fondi per la riconversione e le difficoltà nell’ottenere nuovi finanziamenti.

Quella dei finanziamenti da parte dei paesi più ricchi alle nazioni del cosiddetto terzo mondo è una lunga storia di promesse disattese. Dal 2008, dalla Cop14 di Poznan, si parla di un fondo verde che aiuti a coprire i costi della transizione ecologica in Africa, America latina e parte dell’Asia. Col tempo si è arrivati a concordare su un finanziamento annuale di cento miliardi di dollari a partire dal 2020, coperto in parte da soldi pubblici e in parte da privati. All’incontro del 31 marzo i paesi beneficiari hanno chiesto che questo compromesso venga considerato un punto di partenza, non d’arrivo, e che le cifre promesse non solo vengano davvero stanziate, ma crescano nel corso degli anni.

Per ora si è concordato solo su un gruppo di lavoro promosso da Regno Unito e Fiji che «faciliti l’accesso alle linee di credito», ed è difficile che novità sostanziose in questo campo arrivino prima di Cop26. Nel frattempo anche un altro importante meeting internazionale, il G7 finanza, ha ribadito la necessità di stanziare ulteriori fondi.

Il report evita il più possibile di nominare le singole nazioni, attribuendo le diverse posizioni ad anonimi gruppi di paesi. Ma tra i pochi citati direttamente c’è l’Italia. Il ministro degli esteri, Luigi di Maio, si legge, ha insistito sulla proroga di Debt Service Suspension Initiative, l’iniziativa della Banca Mondiale volta a congelare il pagamento dei debiti dei paesi più poveri durante la pandemia. 

Un altro Net-Zero Summit

Nelle stesse ore in cui i ministri degli esteri si incontravano (online), l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea) riuniva in diretta streaming rappresentanti di tutti i paesi e delle principali aziende energetiche del pianeta per discutere di come raggiungere le zero emissioni nette al 2050. Net Zero, appunto. 

Chiariamo subito ogni ambiguità: emissioni nette zero non significa che non ci saranno più emissioni al 2050, ma che quelle poche ancora non eliminate verranno compensate in qualche modo.

Quali novità sono state annunciate? Poche, a dire il vero, o quasi nessuna. L’incontro è stato quindi un fallimento? Non necessariamente. In realtà la negoziazione climatica, come tutta la cooperazione internazionale, è una materia complessa, ed eventi di questo tipo per quanto poco seguiti dall’opinione pubblica hanno un ruolo importante. Sia ad uso interno, sia in ambito globale.

Un singolo incontro, o una singola Cop da sola, non basta a indirizzare l’andamento della cooperazione internazionale. La Cina ha ripetuto - per l’ennesima volta da quasi un anno a questa parte - il suo target di neutralità carbonica al 2060. Ribadire le proprie posizioni, serve per far valere la propria narrazione, per trovare alleanze trasversali su temi dove si hanno soluzioni comuni, per mostrare ai partner quali sono i punti di forza e su cui alle future negoziazioni si scommetterà con più convinzione.

Apettando la Cop26 di Glasgow

Novità interessanti arrivano dalla Banca Mondiale. Il presidente David Malpass ha illustrato al board dell’istituto i suoi piani per allinearsi agli Accordi di Parigi. «Il trentacinque per cento degli investimenti del gruppo nei prossimi cinque anni porterà a benefici per il clima, e il 50 per cento [..] supporterà l’adattamento e la resilienza» si legge in una nota. La Banca Mondiale già nel 2019 aveva annunciato di non finanziare più progetti legati a gas e petrolio. Ma diversi gruppi ecologisti, da ultimo il tedesco Urgewald, accusano l’ente di continuare a spendere per progetti legati ai combustibili fossili sfruttando l’alibi dell’aiuto ai paesi in via di sviluppo.

Nel frattempo la non-profit inglese Positive Money ha stilato una classifica delle banche centrali del G20 meno virtuose in campo climatico. Nessun istituto ha ottenuto un punteggio superiore a C (usando come riferimento il sistema di voto anglosassone che ha il suo massimo in A+ e il suo minimo in F). La classifica è guidata dalla Banca Popolare Cinese - la banca centrale di Pechino - seguita dagli omologhi brasiliani e francesi. La Banca Centrale Europea è quinta, mentre Banca d’Italia si piazza al sesto posto. Chiudono la classifica l’Agenzia Monetaria dell’Arabia Saudita e il Banco Central de la Repùblica Argentina, entrambi con una F.

Un nuovo sponsor per Cop26

Il Boston Consulting Group, uno dei più grandi gruppi di consulenze finanziarie al mondo, è diventato sponsor della Cop26. Si aggiunge ad una lista che comprende Sky, Hitachi, Sainsbury’s, Scottish Power, Sse, Reckitt, Nastwest Group, National Grid.

La presenza di grandi multinazionali tra i partner delle Cop - specie se attive in settori ad alta intensità di emissioni - è da sempre criticata da attivisti e ong. Nel 2019 alcuni gruppi giovanili provenienti da paesi diversi hanno lanciato la piattaforma internazionale Polluters Out, “fuori chi inquina”, una coalizione che chiede di escludere i grandi emettitori dai negoziati internazionali. Per ora, però, non sembrano esserci stati cambi di passo sul tema.

Biden invita il mondo alla Casa Bianca

Il 22 e 23 aprile, in occasione della Giornata mondiale della terra, il presidente americano Joe Biden ha invitato quaranta leader mondiali alla Casa bianca per discutere di clima. Tra i capi di stato e di governo contattati ci sono il cinese Xi Jinping, il russo Vladimir Putin, il francese Emmanuel Macron, la tedesca Angela Merkel, l’indiano Narendra Modi, il brasiliano Jair Bolsonaro, l’italiano Mario Draghi.

Dopo anni di negazionismo targato Donald Trump il nuovo presidente sta cercando di riportare gli Stati Uniti al tavolo dei negoziati per il clima - spinto in questo anche dall’ala radicale del suo partito e da un’opinione pubblica sempre più sensibile. L’attivismo in campo internazionale fa sperare nell'effettiva volontà della Casa bianca di fissare nuovi obiettivi. La difesa del fracking e di altre attività inquinanti un po’ meno. Il prossimo anno sarà cruciale per capire le vere intenzioni di Joe Biden.

Intanto la CO2 continua a crescere

Mentre i negoziati internazionali procedono con lentezza, la crisi climatica non accenna a fermarsi. L’osservatorio di Mauna Loa, Hawaii, ha rilevato un nuovo record di concentrazione della CO2 in atmosfera: 421.21 parti per milione. L’accumulo di anidride carbonica e altri gas climalteranti è direttamente responsabile dell’aumento delle temperature globali e, quindi, di tutti i peggiori effetti della crisi climatica: desertificazione, incendi, eventi meteorologici estremi, innalzamento del livello dei mari.

Gli Accordi di Parigi, la più importante intesa sul clima mai firmata, hanno fissato «ben al di sotto dei +2°C» l’aumento massimo accettabile di temperatura rispetto ai livelli pre-industriali. Ma la sempre maggiore concentrazione di CO2 in atmosfera, non frenata nemmeno dal lockdown, rende questo obiettivo sempre più difficile da raggiungere.

© Riproduzione riservata