L’Italia, la Francia e l’intero pianeta dipendono per la produzione di materie prime farmaceutiche da principi attivi prodotti nell’Asia meridionale e orientale. Le incertezze legate alla situazione internazionale ci costringono a riproporre la questione vitale della produzione farmaceutica in Europa.

È urgente ed essenziale gettare finalmente le basi pragmatiche per la produzione italiana, francese ed europea, almeno in parte pubblica, attraverso uno strumento industriale che consenta la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e una migliore reattività durante le crisi globali.

Nella primavera del 2020, gli ospedali francesi ed europei, saturati dalla prima ondata di Covid-19, hanno sperimentato forti tensioni nella fornitura di farmaci essenziali per la rianimazione. Gli standard di cura e di gestione del fine vita sono stati quindi influenzati.

Questa drammatica situazione ha reso visibile in Francia la questione centrale della dipendenza del nostro paese dai prodotti farmaceutici rispetto ai paesi asiatici. Perché se le fasi di “formatura” e confezionamento vengono talvolta svolte in Europa, gran parte delle materie prime farmaceutiche mondiali viene prodotta in Cina e in India.

Questi due paesi producono gran parte del “bulk” farmaceutico, o Api (ingrediente farmaceutico attivo), la prima fase essenziale di produzione di un farmaco derivante dalla chimica sintetica. Questa fase, molto restrittiva, perché molto inquinante, si svolge in parchi di produzione dedicati, in condizioni che sollevano anche problematiche ambientali e quindi etiche. L’80 per cento della massa destinata al mercato europeo viene prodotta in India e Cina.

A titolo di esempio istruttivo, il farmacologo Andrew Hill dell’Università di Liverpool ha indicato a fine marzo 2020 che per il midazolam, un potente ipnotico utilizzato nelle unità di terapia intensiva, c’erano solo 8 produttori di principi attivi nel mondo, tutti con sede in India.

La “delocalizzazione” privata o pubblica di parte della produzione farmaceutica in Europa, è stata per un certo tempo citata dai media e dai decisori politici. Una produzione, almeno in parte pubblica, consentirebbe già di rispondere alle sempre maggiori carenze strutturali.

In Francia, nel 2016, 403 tensioni o carenze nella fornitura di medicinali essenziali sono state segnalate all’Agenzia nazionale per la sicurezza dei medicinali (Ansm). Questo numero è aumentato a 871 nel 2018, 1504 nel 2019, 2446 nel 2020. Nell’ultimo anno, il 37 per cento di queste tensioni o carenze è stato causato da un problema con l’approvvigionamento di principi attivi. Secondo l’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco), il numero di farmaci in carenza è tra 2644. Questi dati mostrano la necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento e di rilanciare la produzione locale di Api in Europa.

La produzione pubblica garantirebbe inoltre una migliore continuità nella filiera, nel caso in cui un imprevisto la destabilizzi. Questa potrebbe essere un’impurità in un sito di produzione, che ad esempio ha causato una lunga carenza di un trattamento per la tubercolosi nel 2019 e nel 2020. Ma il fattore scatenante potrebbe essere anche la cessazione di tutta l’attività industriale in Cina nell’inverno del 2020, o la chiusura delle frontiere alle esportazioni in India nella primavera del 2020. Potrebbe anche essere la partecipazione di uno di questi paesi a un conflitto, le interruzioni delle esportazioni come misure di ritorsione: quanti più eventi è possibile prevedere nell’attuale contesto geopolitico. Cosa accadrebbe allora alla disponibilità di farmaci essenziali?

Il contesto globale ci obbliga ad accelerare la riflessione e le azioni concrete su questo tema. È inoltre essenziale che l’esecutivo non si basi solo sulle raccomandazioni delle società di revisione private di consulenza, né sulle decisioni prese dalle multinazionali farmaceutiche, che si riforniscono dagli stessi paesi e che sarebbero soggette alla stessa sorte nel caso di un’escalation nel conflitto attuale.

© Riproduzione riservata