L’arresto della giovane attivista di Fridays for Future India Disha Ravi, prelevata dalla sua casa a Bangalore per «aver collaborato alla stesura di un documento informativo sulle proteste dei contadini indiani» non può passare sotto traccia. Anche perché raccoglie in sé le grandi questioni politiche del momento.

È da diverso tempo che nel mondo si gioca una partita che vede in campo le vecchie democrazie contro le nuove democrature. Le prime, come le vecchie glorie del pallone, si presentano un po’ affaticate. Nate nel secondo novecento dall’esperienza drammatica dei regimi totalitari avevano fatto della libertà e del pluralismo i propri pilastri fondativi, salvo cedere un pezzo alla volta sotto la pressione del consenso, della semplificazione, a forme più o meno esplicite di censura, alla riduzione del dibattito e del confronto a uno scambio di insulti e slogan, al fastidio per il compromesso e per una certa necessaria lentezza della democrazia. Tra il 1989 e il 1991 sembrava potessero vincere le partite decisive del campionato. Ma era più una fiammata finale. Anzi. Proprio lì è iniziato il “gioco nuovo”, quello delle democrature. Che non si presentano più con il volto truce, hanno elezioni, persino il multipartitismo magari, diversi giornali e canali televisivi. Ma comanda sempre uno solo. E il potere non può esserne discusso. Questi nuovi campioni veleggiano e sono loro sempre di più a contaminare i primi. E non viceversa.

Come andrà a finire? La speranza non può che fondarsi sull’ingresso in partita di nuovi talenti. Che non possono che essere diversi dalle vecchie glorie. Motivati da un forte e trascinante paradigma.

È qui che giocano un ruolo chiave le tematiche ambientali. La crisi climatica e la tutela del pianeta hanno fatto emergere energie nuove. Si tratta dopo molto tempo dell’unico fattore davvero globale, coinvolge una intera generazione e lo fa su una visione di futuro. Ed è fortemente femminile, altro aspetto non marginale di un nuovo paradigma.

Una transizione verso la sostenibilità dello sviluppo in campo e energetico e sociale al tempo stesso, della qualità della vita, dei diritti, delle relazioni. Come fu per il 1948, il 1968, come fu per il movimento dei lavoratori.

L’India è al centro di questa grande narrazione. Democrazia continentale, sconfinatamente densa, piena di contraddizioni, fronteggia l’altro gigante asiatico che è oggi il campione assoluto delle democrature. Può guidare il campo della democrazia del terzo millennio o sedersi in panchina. E questo bivio oggi passa da una ragazza di 22 anni e dal suo destino, per sapere se la nazione di Gandhi è ancora pronta a sorprenderci, a svegliarci dal nostro torpore, a chiamarci a guardare il volto del futuro.

Noi le tendiamo la mano. E diciamo proviamo a rialzarci insieme. Partendo da Disha, passando per i diritti e le speranze degli agricoltori indiani, per attraversare le foreste cambogiane e vietnamite, entrare nelle case degli Uiguri, attraversare la Cina e la Russia passando per Hong Kong fino ad arrivare nelle carceri spagnole e catalane e in quelle del nostro Paese. Lo sterminio per fame, i genocidi dimenticati, le drammatiche urgenze ambientali. Un viaggio nelle contraddizioni, nelle ferite aperte, che dobbiamo sentire l’esigenza, l’urgenza di provare a sanare con tutta la fatica della democrazia, con tutta la bellezza della speranza di costruire ad ogni passo un futuro migliore.

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