Lo confesso. Per un attimo, quando a pochi giorni dal voto ho visto Damiano Tommasi fare quelle lunghe passeggiate per le vie di Verona per dare volantini, per avvicinare e convincere – uno ad uno –  i suoi concittadini, ho pensato fosse un alieno.

Da una parte, l'immagine di lui e di quella coda di ragazze e ragazzi per le vie della città che instancabilmente raccontavano la possibilità di dare a Verona il volto di un ragazzo che ha fatto dell'umanità e della solidarietà una ragione di vita.

Dall'altra, la bolla della politica e le sue polemiche. Giornali e talk pregni di litigi incomprensibili ai più, toni esasperati su chi fa più o meno schifo (in base ovviamente al proprio giudizio personale), le pernacchie sul "campo largo", dissertazioni infinite sulle paroline magiche “centro”, “riformismo”, “agenda Draghi” (come se per gli elettori fossero sininomi di pane, lavoro, diritto allo studio. Spoiler: non lo sono, anzi, nella maggior parte dei casi messa così non frega niente a nessuno).

Guardavo la campagna di Tommasi e non riuscivo a non pensare alla distanza siderale tra quelli che in maniera roboante ti spiegano sempre tutto (salvo perdere sempre nelle urne) e quel ragazzo che, senza mai dire una parola fuori posto, consumava le suole delle scarpe per parlare con i suoi concittadini.

La sua corsa non era semplicemente un confronto tra destra e sinistra. Riguardava il modo di intendere la politica e il rapporto con gli elettori, anche dentro il campo progressista.

Per questo era importante ce la facesse. Per affermare che puoi farcela con la fatica e il sudore dell'impegno, non perché qualcuno ti regala titoli sui giornali in modo inversamente proporzionale al consenso reale che tieni nel Paese.

Che giorni stucchevoli sono stati nel circuito della politica. E che lezione grande viene dalle elezioni amministrative.

Perché il tema non è solo la vittoria del centrosinistra. Il tema è il tipo di vittoria. Che non vale solo per Tommasi e Verona, ma per tutte le altre città – in altri e diversi modi – in cui si è vinto. Certo, le elezioni politiche saranno ben altra cosa. Ma queste elezioni amministrative raccontano molto su come si può e si deve vincere.

Dimostrano, intanto, che la partita è aperta. L'Italia non è ancora nelle mani di Salvini e Meloni, cioè della peggior destra d'Europa, e non è affatto detto che ci finirà.

Dimostrano che quando riesci a mettere insieme candidati appassionati e credibili, una proposta forte e una coalizione larga, unita, solidale, si può vincere ovunque.

Le prove pratiche

Così il centrosinistra ha saputo vincere e convincere in Lombardia, Piemonte, Veneto. Cioè in terre tradizionalmente roccaforti della destra. Ha saputo parlare ad elettori che in passato non era riuscita ad avvicinare. E lo ha fatto perché ha costruito candidature convincenti – da personalità civiche a giovani dirigenti di partito – sostenute da coalizioni larghe e coese. E, sopratutto, senza l'eterna paura di apparire troppo radicali o polarizzanti.

Non solo. A Piacenza vince la storia di una sindaca che parla da sola di umanità e competenza, a Cuneo viene eletta la prima sindaca donna della storia della città.

A Catanzaro, lo straordinario successo di Nicola Fiorita. Cioè la Calabria che vuole dare una sterzata, uscire dal cono d'ombra in cui una vecchia politica l'ha cacciata. Fiorita vince dopo anni di lavoro sul territorio, unendo forze civiche e politiche.

Giovani, donne, civismo. Le punte di diamante di coalizioni che a differenza del quadro nazionale hanno saputo parlare più con gli elettori che con i media.

Certo, la partecipazione al voto è un elemento su cui riflettere. Ma non per svilire l'oggettiva schiacciante vittoria del campo progressista, semmai per continuare a innovare e persuadere anche chi oggi si sente distante e deluso dalla politica.

Per questo, mi permetto un consiglio, anche alla mia comunità politica: smettiamola di pensare che le persone si convincano in base a chi ci alleiamo. È una considerazione superficiale, figlia di una scarsa conoscenza delle problematiche che le persone vivono ogni giorno.

Non convinceremo nessuno parlando di alleanze, né tanto meno di chi vogliamo o non vogliamo in coalizione. Le persone vogliono "il pane e le rose", cioè la concretezza che la propria vita possa migliorare e il sogno di una società migliore.

Certo, bisogna essere inclusivi e unitari. Perché le allenze sono funzionali all'obiettivo. Ma quando le parole di un politico sono destinate sempre a nominare altri e mai a proporre, significa che non ha niente da dire di concreto.

Per questo ha ragione Enrico Letta nel ricordare che il campo largo è il perimetro di tutte e tutti coloro che vogliono cambiare l'Italia, non la somma algebrica di forze politiche litigiose.

Il segretario del Pd è il vincitore delle amministrative, senza dubbio. Ha avuto la pazienza di non farsi trascinare nel gorgo del rumore di sottofondo del politicismo e di rimanere ancorato alla realtà. Mentre gli altri davano interviste e riempivano i talk, lui era nelle piazze per ribadire ai cittadini - alle prese con l'aumento delle bollette e la perdita del lavoro - soluzioni, temi e proposte. Continuava testardamente a voler includere, evitando di farsi coinvolgere in questa ridicola convention ad excludendum tra gli attori del centrosinistra.

Per vincere in politica serve unità, candidati credibili e una proposta politica convincente. Senza uno di questi tre elementi, è sconfitta certa.

Il resto sono scorciatoie politiciste. Ogni volta bastonate dalle urne, come accaduto – anche per il nostro partito – nel recente passato.

E allora che sia campo largo, con al centro l'Italia e la società. E chi se ne tira fuori, ne risponda in base ai contenuti.

Spieghi perché considera vantaggioso per il paese dividere il campo dell'alternativa e favorire le destre, anziché battersi insieme per alzare i salari e per definirne un minimo legale, per dare le tutele che i precari italiani non hanno mai avuto, per consentire un uso strategico dei soldi del Pnrr.

Spieghi come può essere giusto dividere il fronte di chi avversa coloro che si sono alzati in piedi ad applaudire in modo sguaiato mentre veniva affossata la legge Zan, a pochi giorni dal suicidio di Cloe Bianco, insegnante bullizzata dopo il suo coming out.

Spieghi quale ragione può essere così importante da non compattare il campo dell'alternativa sulla transizione ecologica e finire per fare il gioco di chi vuole la conservazione, favorire la rendita e premiare chi inquina anziché chi innova.

C'è in corso una pandemia e una guerra. E questo impone alle forze politiche la responsabilità di un progetto alto e condiviso di società, che punti a fare dell'Italia un Paese moderno, in cui nessuno rimanga indietro e in cui le sfide della contemporaneità vengono affrontate con radicalità e senza paura.

Questo ci hanno detto le amministrative. Si vince se uniti, con le porte aperte alla società e con la testa e il cuore rivolti al futuro.

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