Caro direttore,

Il disagio dei cattolici mette il piombo sulle ali del Pd. Si cerca un rimedio e non lo si trova nel camuffamento del problema. Si è rotto un meccanismo delicato, quello che univa le motivazioni ideali e le scelte organizzative. D’altronde, ritornano in discussione i principi e la politica ne subisce giustamente il fascino.

Anche l’avvento di Elly Schlein si spiega in questa logica, perché fa leva sulla domanda di un orientamento valoriale, a forte impatto pubblico, che dovrebbe qualificare un nuovo riformismo radicale. Non è il tentativo di rifacimento della vecchia casa socialista, bensì l’ambizione che mira a reinventare la sinistra, andando oltre la sua stessa tradizione. È un salto nel buio. La spinta a rifondare il Pd si traduce nella dissolvenza dei motivi di genesi e sviluppo di un partito pluridentitario in cui pesava, del resto, l’apporto del cristianesimo sociale. Ora si delinea un’impostazione diversa, forse più spigliata, e però lesiva del pluralismo originario.

Cosa sia il Pd della Schlein resta poco chiaro. Si capisce quale scomposizione possa determinare, non quale sintesi voglia prospettare: vi è solo la certezza che tutto ciò che appartiene alla sfera dei diritti individuali fornisca il materiale di una politica più corrispondente alla fluidità di aspettative e desideri. Sembra quasi che i doveri non esistano e anche farvi cenno risulti disdicevole.

E così il peccato originale della sinistra, che il vecchio Maritain imputava all’irrealismo come prodotto della filosofia di Rousseau, dove la preferenza va sempre a ciò che non è rispetto a ciò che è, torna a manifestarsi pericolosamente. È inevitabile, allora, che la cultura delle alleanze e della mediazione ceda il passo a una rivendicazione costante della propria superiorità, pratica e morale. Invece di alleanze occorre parlare, se non si vuole che la destra si consolidi nel ruolo di governo.

Accade dunque che i cattolici democratici e popolari scontino una sensazione di profonda estraneità rispetto alla sostanza e alla dinamica di questo partito a vocazione radicale.

Che fare? Tirare in ballo il principio di “non appagamento” come divisa del cristiano impegnato nel mondo appare scarsamente persuasivo. Certo, Aldo Moro vi aveva fatto ricorso parlando nel 1973 al XII congresso della Dc, ma con quel riferimento non aveva rescisso il legame con il concetto di responsabilità personale e collettiva, insito nella politica d’ispirazione cristiana. L’equilibrio dei valori, specialmente nella dialettica tra diritti e doveri, costituiva infatti la preoccupazione più viva dello statista democristiano nella fase culminante della stagione del post Sessantotto, fino alle tragiche imprese del terrorismo, che lo vollero vittima sacrificale.

Risulta improbo, dunque, l’adattamento in extremis a questo Pd. Il cattolicesimo democratico non si può ridurre a metodo, né a pura intuizione del possibile in politica; difficile estrapolarlo dalla storia, ignorando il suo essere connaturale alla lunga esperienza democristiana; incongruo separarlo, infine, dalla sua funzione precipua di innervamento della posizione “di centro”.

Per questo c’è bisogno di restituire ad esso l’abito dell’autonomia e predisporlo a un lavoro di rimobilitazione di un grande segmento sociale ed elettorale, venendo incontro a una nuova esigenza di rappresentanza. Serve un programma perché il centro torni ad essere vitale, con pieno beneficio di una più equilibrata e credibile alleanza democratica.

* Associazione “Tempi nuovi-Piattaforma popolare”

© Riproduzione riservata