In occasione della sua partecipazione alla Scuola di formazione politica organizzata da Italia Viva a Ponte di Legno (1-3 settembre), il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani ha dichiarato che «il mondo è pieno di ambientalisti radical chic», «oltranzisti» e «ideologici»: ambientalisti che «sono peggio della catastrofe climatica verso la quale andiamo sparati» e che «sono parte del problema».

Ciò che è necessario fare è mettere da parte le ideologie e guardare i numeri. E i numeri ci dicono che occorre aprire al nucleare di quarta generazione: una soluzione che dal punto di vista tecnologico non è ancora matura, ma che lo diverrà. Parole sue. Parole, a dire il vero, un po’ offensive e anche poco lungimiranti. Offensive perché il disastro climatico non dipende certo da chi ha a cuore la tutela dell’ambiente (e il futuro del paese); e ciò neppure qualora l’impegno degli ambientalisti fosse portato avanti con determinazione (è forse sufficiente mettere a tacere gli ambientalisti perché anche solo una parte del problema possa trovare soluzione? Direi di no).

Parole, inoltre, poco lungimiranti perché è lo stesso ministro a riconoscere che il disastro climatico è già in atto; e se una certa soluzione, quand’anche accettabile, fosse ancora di là da venire, la domanda che occorrerebbe porsi è un’altra: e nel frattempo che si fa? Investire in ciò che al momento non esiste e che dal punto di vista economico richiede finanziamenti ingenti, vuol dire prolungare l’agonia di quel disastro (che – diciamolo chiaramente – si chiama “crisi climatica”, giacché ha conseguenze drammatiche sulla vita delle persone); e significa sottrarre risorse che potrebbero concentrarsi su soluzioni alternative e maggiormente praticabili.

I problemi urgenti

È urgente risolvere il problema delle emissioni in atmosfera, degli impianti industriali che, come l’ex Ilva di Taranto, con la sostenibilità e la transizione nulla hanno a che fare, dell’inquinamento delle falde acquifere, ecc. Sono solo esempi di un problema immenso, che richiede azioni politiche immediate.

Un Ministro, a prescindere dalla sua specifica formazione, resta pur sempre un politico; e, in questa sua veste, dovrebbe discorrere meno di numeri e più di strategie. Anziché firmare decreti Via sulle trivelle e varare piani che solo apparentemente sono piani, come quello sulle aree idonee per le estrazioni (Pitesai), dovrebbe considerare la transizione ecologica per quello che è: una necessità sociale, che impone che si abbandoni un modello ormai vecchio e che si approdi a un modello maggiormente aderente alle esigenze attuali e future.

Il fine ultimo è chiaro (o almeno dovrebbe esserlo): ridurre gli squilibri esistenti perché sia possibile garantire condizioni di vita equivalenti tra i cittadini.

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