Il 16 luglio scorso ha avuto inizio la fase di consultazione pubblica della proposta del Pitesai. il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee. Lo strumento è previsto dall’art. 11-ter della L. 12/2019 e vincola Ministero della Transizione Ecologica e Governo ad individuare in quali aree, su terra ferma e in mare, sarà possibile svolgere o continuare a svolgere “in modo sostenibile” attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi.

Secondo il Mite, il Pitesai non è un piano per lo sviluppo dell’upstream, bensì di razionalizzazione del settore; è anche «una misura di carattere prevalentemente ambientale, preordinata e necessaria per il perseguimento di una efficace transizione energetica».

In realtà la proposta di Piano elude il dettato legislativo; non limita affatto il potenziale di crescita dell’upstream e, pertanto, non contribuisce al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione del sistema economico.

Votando l’art. 11-ter il parlamento ha chiesto a Mite e Governo di definire un «quadro territoriale … rispetto al quale pianificare lo svolgimento di tali attività, valorizzando la sostenibilità ambientale, sociale ed economica … che deve tener conto di tutte le caratteristiche del territorio, sociali, industriali, urbanistiche e morfologiche»; a questo il Mite ha risposto definendo un quadro di riferimento opaco in cui la Pubblica Amministrazione potrà decidere se accordare o meno permessi o concessioni sulla base di criteri “ballerini”.

Nuove estrazioni

Se la proposta di Piano passerà così com’è, in Conferenza Unificata le Regioni dovranno esprimersi non sulla base di una cartografia con aree idonee e non idonee ben definite, bensì sulla bontà di una serie di criteri a geometria variabile. Approvati questi, negli eventuali contenziosi Regioni, Comuni e Provincie si ritroveranno a combattere con le armi spuntate, lasciano i territori saranno alla mercé delle società Oil&Gas.

Vista l’estrema concentrazione della produzione di gas, riconducibile per l’81 per cento a sole 17 concessioni produttive che non vengono messe in discussione dalla proposta di Piano e, al contempo, la possibilità che vengano presentate nuove istanze di permessi di ricerca anche in aree già aperte alle ricerche ma oggi prive di titoli minerari, la sola conclusione logica a cui si perviene è che il reale obiettivo del Pitesai è assicurare prospettive di crescita – o quanto meno stabilità - al settore upstream nazionale senza alcun riguardo per gli impatti ambientali e climatici delle estrazioni.

Il metano è un problema

Il “peccato originale” del Pitesai è il medesimo del Piano nazionale integrato energia e clima: rischia di stimolare la ripresa della ricerca e della produzione di gas che, come ha ribadito il report dell’Ipcc di recente, è un potente gas serra con un potenziale di riscaldamento globale 28 volte più potente della CO2.

Come potrebbe dunque il Pitesai contribuire al processo di decarbonizzazione del sistema? Di quali modelli previsionali dispongono al Mite per affermare l’esatto contrario?

Ma questa non è l’unica singolarità della proposta di Pitesai. La seconda si manifesta all’interno del parlamento: fatto salvo il caso di un’interrogazione sul CCS nell’off-shore ravennate, non si sono finora levate voci di dissenso rispetto al merito della proposta di Cingolani.

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