È nelle città che risiede la maggior parte delle persone e sarà così anche in futuro: per l’Onu entro il 2050 ci vivranno i due terzi della popolazione mondiale. Anche in Italia è nelle aree urbane che vivono oltre l’80 per cento dei cittadini. Ecco perché è strategico agire sulle città per accelerare la transizione verso una società e uno sviluppo sostenibili. Una delle partite fondamentali si gioca proprio a livello territoriale e anche se l’Italia è ancora lontana dalla sostenibilità economica, sociale e ambientale, fa sperare l’uso crescente dell’Agenda 2030 come chiave di programmazione delle politiche territoriali da parte delle regioni e delle città riscontrato dall’Asvis con il suo rapporto «I territori e gli obiettivi di sviluppo sostenibile».

L’iniziativa di Fraccaro

Per questo, credo e spero, l’articolo 94 della Legge di Bilancio (attualmente all’esame della Camera) istituisce la Fondazione per il futuro delle città con il «compito di promuovere il progresso della ricerca e dell'alta formazione basata su soluzioni prevalentemente vegetali, al fine di garantire lo sviluppo del sistema produttivo nazionale in relazione alla transizione verde». Come ha spiegato a Domani il professore di neurobiologia vegetale, Stefano Mancuso, coinvolto dall’esecutivo per la fondazione, le città «sono il motore della nostra aggressione all’ambiente».

Il nuovo ente ispirato dal sottosegretario Fraccaro riuscirà effettivamente ad accelerare, attraverso ricerca, consulenze e formazione, la conversione ecologica delle città? Lo spero, ripeto. La sua efficacia dipenderà anche dalla capacità che dimostrerà di entrare in sinergia con gli altri enti e istituzioni che si occupano di ricerca e ambiente, a cominciare dall’Ispra. Credo, infatti, che il sistema Italia abbia bisogno di maggiore dialogo, a tutti i livelli e in tutte le sue articolazioni. Per il progresso delle città sarebbe molto utile anche un coordinamento tra le 14 aree metropolitane del paese: un luogo di dialogo, confronto, risoluzione in comune di criticità condivise e “apprendimento reciproco”. Occorre sfruttare al meglio le opportunità del Recovery Plan per spingere la transizione dei nostri centri urbani, avendo cura di monitorare i risultati che si conseguono in corso d’opera.

Non è un caso se i 74,3 miliardi destinati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza alla rivoluzione verde sono suddivisi in quattro aree di intervento -  impresa verde ed economia circolare, transizione energetica e mobilità locale sostenibile, efficienza energetica e riqualificazione degli edifici, tutela valorizzazione del territorio e della risorsa idrica – che interessano le città.

Servono politiche coerenti

Perché per accelerare la transizione alla green economy, servono politiche adeguate e coerenti, occorre orientare l’innovazione verso l’efficienza e il futuro, spingere sulla finanza verde e, appunto, agire sulle aree urbane. Che sono i luoghi dove tutti i processi si svolgono in maniera più veloce e per questo le considero una naturale piattaforma di trasformazione dove le politiche possano conoscere finalmente un'armonizzazione e una accelerazione così necessarie.

Sostenere le città nella conversione ecologica sarebbe anche un modo per migliorare la qualità della vita delle persone, a partire dalle fasce sociali oggi più svantaggiate. Sono i servizi e il welfare locale, infatti, che rendono una città più o meno vivibile. Servizi efficienti, di qualità e attenti all’ambiente rendono più semplice e piacevole la quotidianità.

Penso al trasporto pubblico: liberare i centri urbani da traffico e smog realizzando un sistema di mobilità locale intermodale accessibile e sostenibile, fatto di tanti vettori diversi, come bus, metro, treni pendolari, auto bici e monopattini elettrici condivisi, in cui i cittadini sono liberi di muoversi secondo le modalità che preferiscono. Sarebbe una conquista soprattutto per i più giovani e per quanti non possono permettersi un mezzo di proprietà. Al miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici, che taglia sia le bollette che le emissioni aiutando contemporaneamente cittadini, ambiente e lavoro. Alla corretta gestione del ciclo dei rifiuti in un’ottica di economia circolare. Che significa anche dotare i territori degli impianti necessari soprattutto a trattare la frazione umida, riciclo e riuso dei materiali, rafforzando un sistema in cui i cittadini, facendo bene la differenziata, possano diventare fornitori di materiali ed essere protagonisti della rivoluzione circolare. Un sistema che andrebbe sostenuto anche attraverso una fiscalità che premi i comportamenti virtuosi e penalizzi lo spreco. Strategie che possono essere sostenute dal Recovery Plan e che andrebbero completate con piani di foreste urbane e verde pubblico, come già prevedono la legge per gli spazi verdi urbani (la n.10/2013) e il più recente decreto Clima. Tutti interventi che andrebbero in direzione di una riduzione dell’inquinamento, creando occupazione e migliorando non solo la qualità dell’aria, ma anche la qualità della vita e la salute. A dimostrazione del legame stretto tra sostenibilità ambientale e sociale, tra economia green ed equità, tra giustizia sociale e giustizia ambientale. 

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