La necessità di un maggiore supporto finanziario rispetto al passato per i bisogni climatici dei paesi vulnerabili e in via di sviluppo sta diventando sempre più pressante all’avvicinarsi della COP26 di Glasgow del prossimo novembre, presieduta dal Regno Unito e co-ospitata dall’Italia. Nonostante la pressione internazionale, e i recenti nuovi impegni di Regno Unito e Stati Uniti di raddoppio della finanza per il clima impegnata alla Cop21 di Parigi nel 2015, l’Italia non ha ancora presentato alcun nuovo impegno.

Non solo, secondo le ultime stime l’Italia presenta un gap di 1,5 miliardi di dollari (al 2019) rispetto al suo impegno di mobilitare nel corso di 6 anni 4 miliardi di dollari tra il 2015 e il 2020. Anche considerando la rendicontazione per l’anno 2020 prossima ventura e una media annuale mobilitata di 500 milioni tra il 2015 e il 2019, l’impegno dell’Italia non sarà mantenuto, con un possibile gap finale di almeno 1 miliardo di dollari.

Tutto ciò alla luce del fatto che l’Italia, insieme al Canada, sia già fanalino di coda dei G7 per volumi impegnati e molto distante dagli altri grandi paesi donatori. La Germania, ad esempio, si è impegnato a versare un volume 8 volte superiore all’Italia, raggiungendolo e addirittura superandolo (con oltre 5 miliardi mobilitati nel solo 2020).

Mentre il supporto internazionale e nazionale cresce di giorno in giorno. A inizio maggio, il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres ha invitato ciascun paese G7 a raddoppiare i livelli passati di finanza pubblica per il clima e allocare almeno il 50 per cento per l’adattamento entro o al vertice G7. Richieste simili sono giunte dalla società civile internazionale, dalla comunità scientifica e dai paesi più vulnerabili come le piccole isole del pacifico e caraibiche.

A livello nazionale una coalizione della società civile tra le associazioni ambientaliste e quello dello sviluppo richiede la stessa cosa. Come le grandi fondazioni italiane, insieme alle controparti britanniche, in una lettera ai Capi di Stato Mario Draghi e Boris Johnson.

Un nuovo sondaggio per i paesi G7 mostra che c'è un sostegno pubblico schiacciante in tutti i paesi G7 per dare più risorse finanziare per il clima: il 66 per cento dei cittadini dei paesi G7 è favorevole, con l’Italia in testa con l’85 per cento del pubblico italiano a favore di una maggiore azione governativa sul fronte finanziario e tecnologico. Nonostante la pandemia, il 62 per cento degli italiani ritiene che il governo debba mantenere le sue promesse ai paesi in via di sviluppo per affrontare le conseguenze del cambiamento climatico. E la stessa percentuale ritiene che sia nell'interesse dell'Italia aiutare i paesi più poveri a transitare dai combustibili fossili verso l'energia pulita.

Sostenere i paesi in via di sviluppo

La Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici dell’ONU (Unfccc), di cui fa parte l’Accordo di Parigi, include l’esplicito impegno da parte dei paesi sviluppati di sostenere i paesi in via di sviluppo nell’attuazione della Convenzione. L’Accordo di Parigi, il cui “libro delle regole” sarà finalmente (e auspicabilmente) concluso alla COP26, riprende nel suo articolo 9 questo impegno da parte dei paesi sviluppati, che devono anche “guidare” lo sforzo collettivo di mobilitare la finanza per il clima assicurando un aumento delle risorse rispetto al passato.

Questo sforzo collettivo dei paesi sviluppati, ovvero di mobilitare 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020 preso dieci anni fa alla COP16 di Cancùn, ha un ruolo chiave per il consenso multilaterale alla base dell’Accordo di Parigi e per la solidarietà internazionale. Gli ultimi dati disponibili al 2018 mostrano ancora un gap di oltre 20 miliardi. Inoltre, alla COP21 di Parigi i paesi donatori si sono impegnati a mantenere il livello di 100 miliardi l’anno fino al 2025, finché un nuovo obiettivo non sarà concordato.

Il sostegno ai paesi vulnerabili e in via di sviluppo riflette così sia la necessità/solidarietà di supportare l’azione climatica (mitigazione, adattamento, risposta a perdite e danni) tenendo conto delle diverse capacità di far fronte ai bisogni reali e agli impegni comuni, sia la responsabilità storica/giustizia ambientale che i paesi sviluppati hanno rispetto al riscaldamento globale.

Cosa può fare l’Italia?

L’Italia, in quanto paese donatore ed economia sviluppata, contribuisce all’azione per il clima nei paesi in via di sviluppo attraverso la propria cooperazione allo sviluppo, il contributo a fondi multilaterali come il Green Climate Fund e il contributo alle banche multilaterali di sviluppo.

È chiaro che il peculiare contesto internazionale del 2021, che pone l’Italia in prima linea nella guida dell’azione per il clima insieme al Regno Unito attraverso la COP26 e le Presidenze di G20 e G7, richiede un’iniziativa forte per colmare il gap esistente e poi incrementare, in modo ambizioso ma realistico e sostenibile, la propria finanza per il clima adeguata ai bisogni reali e alle richieste internazionali e nazionali.

Sulla base di analisi e scenari possibili che abbiamo elaborato con il nuovo think tank Ecco, l’Italia potrebbe raggiungere e superare nei prossimi anni gli impegni finanziari del passato. Tutto dipende dalla volontà politica del Governo Draghi. L'Italia avrebbe più di un’occasione nel ricco calendario internazionale del 2021, partendo dal G7 in Cornovaglia fino alla Cop26 passando dagli appunti del G20. Ne va della credibilità internazionale del paese e della fiducia e solidarietà globale.

È necessario innanzitutto colmare il deficit stimato di almeno un miliardo di dollari rispetto all’obiettivo pre-2020 e impegnarsi a raggiungerlo entro la fine 2021 attraverso un impegno di almeno 500 milioni di nuova finanza per il clima da annunciare ben entro la COP26 (i rimanenti 500 milioni verrebbe dalla pianificazione vigente). Il G7 in Cornovaglia sarebbe l’occasione giusta.

In secondo luogo, l’Italia dovrebbe impegnarsi a raddoppiare la finanza per il clima pubblica rispetto alla media annuale del periodo 2015-2019, con l’obiettivo di mobilitare un miliardo di euro l’anno tra il 2022 e il 2025. Il Vertice G20 di Roma di ottobre sarebbe l’occasione più adatta. Raggiungere l’obiettivo è possibile in vari modi. Considerando che l'Italia spende solo il 16 per cento dei suoi aiuti bilaterali allo sviluppo per il clima (dato 2018), ponendo l’Italia agli ultimi posti dei paesi Ocse, si dovrebbe puntare a raggiungere una quota del 30 per cento nel 2023 e del 50 per cento nel 2025, ovvero livelli già raggiunti da Francia e Germania pre-2020. Per ottenere ciò, serve un’allocazione e una pianificazione delle risorse pubbliche più mirata e incisiva per il clima. Le prossime leggi di bilancio e pianificazioni della cooperazione internazionale dovranno integrare gli obiettivi climatici e dedicare volumi specifici maggiori per il clima.

Anche la finanza privata per il clima potrà e dovrà giocare un ruolo molto maggiore se saremo bravi a mobilitarla, monitorarla e rendicontarla. Come parte dell'impegno del miliardo annuale allora, si potrebbe istituire un nuovo “Fondo per il Clima” presso Cdp con una dotazione annuale pubblica di 250 milioni di euro l’anno tra il 2022 e il 2025 e l’obiettivo di mobilitare la finanza privata con una leva di 1:3.

Infine, mobilitare la finanza per il clima non sarà sufficiente per rispondere alla sfida climatica senza terminare tutti i finanziamenti pubblici ai combustibili fossili. In questo senso, dovranno essere considerati impegni precisi per l’esclusione di nuovi investimenti in combustibili fossili attraverso tutti i canali pubblici, compresi i flussi bilaterali e multilaterali e le agenzie pubbliche di Cdp, Simest e Sace.

Impegnarsi a incrementare i propri impegni finanziari e a raggiungere, e a oltrepassare, l’obiettivo collettivo dei 100 miliardi, costituiscono pietre miliari del multilateralismo e della diplomazia climatica. Insieme ad assicurare l’equità dei vaccini, una maggiore finanza per il clima rappresenta oggi la condizione necessaria per la fiducia e la solidarietà internazionale per il successo del G20 di Roma e della Cop26 di Glasgow.

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