La prima volta che ho sentito il termine “Biocrazia” avevo vent’anni. Stavo iniziando a studiare la sociologia moderna e incontrai la parola leggendo un difficile testo di metà Ottocento di Auguste Comte, Système de politique positive ou traité de sociologie instituant la Religion de l’Humanité, il padre delle scienze sociali.

Semplifico un po’ per intenderci: se controlli i corpi, e la loro salute, allora controlli i popoli. E soprattutto, se controlli la condizione fisica, controlli la vita concreta delle comunità.

Non mi era piaciuto molto come concetto. Forse non l’avevo nemmeno capito fino in fondo. Ma eravamo nella seconda metà degli anni Novanta, era caduto il Muro di Berlino, c’era un Presidente Americano che suonava il Sax. Insomma, il mondo sembrava divertirsi in un benessere senza pari, tanto che si vociferava nei circoli intellettuali per bene che la “Storia era finita”, perché il Novecento aveva portato a compimento ogni realizzazione possibile. Per cui, andai oltre quella strana idea che mi disturbava. E continuai a godermi gli anni Novanta e Duemila, anche se qualcosa di oscuro permaneva.

Il ritorno del termine Biocrazia

Da allora sono passati parecchi anni e il termine è rimasto nei comodini della mia memoria; per risvegliarsi proprio in questi ultimi giorni. Mi sono chiesto: perché adesso?

Sarà che abbiamo vissuto in questi mesi una pandemia. O magari perché abbiamo visto la débâcle di tutta la politica mondiale di fronte al virus. O, ancora meglio, per merito del nostro Governo che, in meno di dodici giorni, ha firmato tre DCPM per affrontare la cosiddetta seconda ondata. Dopo esserci convinti che un minimo di preparazione a valle degli eventi che ci hanno catapultati qui da febbraio 2020 l’avremmo avuta.

No, non è per questo. Oggi ho capito che ho ripensato al termine Biocrazia perché ho realizzato che sto che vivendo proprio lì, dentro una Biocrazia.

Solo adesso colgo che il mio corpo e la mia psiche diventano luogo privilegiato di esercizio del potere. In cui una bio-politica – alleata con una specifica declinazione della scienza medica – a sua volta soggiogata da un uso prettamente statistico del numero e prigioniera di un linguaggio militare e ospedalizzante, controlla il sociale attraverso il biologico.

Con un atteggiamento paternalistico e autoritario, tende a invadere ogni spazio della vita e a dirci cosa è bene e cosa è male, soprattutto cosa è patologico e cosa è sano.

Un potere che è sempre più totalitario per il mio bene. Patrigno che divide i fratelli dalle sorelle, che polarizza il dibatitto sociale tra chi vuole stare in casa e chi vuole uscire. E che confonde la prevenzione e la difesa della salute pubblica con la tutela della vita.

Queste sono le Biocrazie, luoghi maledetti in cui gli uomini e le donne si perdono, non sono più soggetti: madri, padri, figli, amanti, studenti, lavoratori, che vivono, lavorano, apprendono, desiderano, soffrono, pregano persino… no.

Sono solo oggetti biologici da tenere in salute, protetti dal caos creativo della vita proprio come i polli che devono essere sostenuti, prima del loro consumo.

Il potere che ama dire ai corpi cosa fare

Il corpo, individuale e sociale, è un campo d’azione, di confronto e scontro politico, luogo di esercizio della forza e della violenza del potere.  Mai come adesso il potere, proprio come ammonito da Michel Foucault – basta rileggere l’ Ordine del discorso o Sorvegliare e punire  –  ama dire ai corpi cosa fare, come vestire, come provare piacere, come addestrarsi a un certo lavoro o a una certa pratica di consumo, come scrollare il dito sullo specchio nero di uno smartphone o come aprire o chiudere le palestre.

Il potere tormenta, nel bene e nel male, la materia vivente. Esattamente come i DCPM di questi giorni. Costringe i corpi a certi riti e li richiama a certe pratiche. Può portarli persino alla guerra e al martirio.

Tra l’altro, il bio-potere deve mentirti, non può dirti come stanno le cose, deve far finta di amarti. Viviamo i pericoli di una bio-politica negativa che per promuovere la vita la nega, come ci ricorda, questa volta, Georges Bataille, per esempio ne La parte maledetta o in altre sue opere. Una bio-crazia che ha bisogno di un’economia che per evolversi deve distruggersi, per controllare meglio i corpi, e di una tecnologia che diventa monopolio assoluto dell’esistente con le APP che ti tracciano senza tracciarti e che poi non servono a nulla usate come sono usate.

La Biocrazia adora l’autorità che si copre di potere-disinfettante, che normativizza ogni cosa, agendo in nome della salute, e non della vita, che decide chi sacrificare (quale categoria professionale lasciare morire) per il bene comune. Attenta solo alle mere funzioni biologiche dei corpi che non devono ammalarsi per non mandare in crisi il sistema. No il sistema non può curare troppi pazienti.

Ma la politica è anche resistenza e creazione

A questa politica-medicalizzata che ci tutela da una sola malattia fisica, a questa bio-ingegneria-sociale restrittiva e repressiva serve ricordare che la politica è anche e soprattutto resistenza e creazione.

Resistenza ai problemi di una collettività, e quindi persino a una pandemia.

Ritorno alla creatività umana interrotta dalla paura di ammalarsi.

Dobbiamo ricordare alle Istituzioni che ci governano che dovrebbero riappropriarsi del coraggio di dirci la verità, dovrebbero estendere l’esercizio del potere a più discipline, nell’equilibrio dei saperi, per non fare dello stare al mondo senza febbre una variante giuridica.

Dobbiamo pretendere dai nostri policy maker - che ora hanno ruoli di leadership - di saper prendere in considerazione tutte le conseguenze politico, economiche, sociali, culturali, psicologiche, delle proprie decisioni e tutelarci dal controllo somatico per non trasformarlo in asservimento contro la vita. Dalle biopolitiche si può e si deve uscire. Per il bene comune. Altrimenti, le maledette Biocrazie, che confondono la salute con la vita, saranno le nuove e uniche nostre dimore.

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