Peter Kuper, celebre vignettista del The New Yorker, ha realizzato la cover dell’inserto Finzioni di gennaio. Ha collaborato con The Nation, Mad e Charlie Hebdo, nel corso degli anni ha prodotto oltre due dozzine di libri, tra cui Sticks and Stones (vincitore della medaglia d'oro della Society of Illustrators), Rovine (vincitore dell'Eisner Award 2016 e pubblicato in italia da Tunué) e l'adattamento a fumetti di molte opere di Franz Kafka, tra cui La metamorfosi (edito in Italia, dal dicembre 2023, con Tunué). In Italia, sempre edito da Tunué troviamo Diario di New York, Cuore di tenebra e Gli incubi di Kafka. Attualmente sta lavorando a INterSECTS, un romanzo grafico sulla storia degli insetti che sarà pubblicato da W.W. Norton nel 2024.

Peter Kuper, lei è indubbiamente un autore di immenso talento e creatività, uno dei più impegnati politicamente. Esiste una frase o un concetto in cui si riconosce particolarmente?

Disegna ciò che vedi. Disegna sempre. Fai ciò che ami e non lasciarti fermare dal fallimento. I fumetti sono complessi e difficili da fare, non vale la pena lavorare su una storia che non sia collegata a qualcosa di grande da raccontare o a qualcosa di personale a cui tieni molto.

Tra gli innumerevoli riconoscimenti spicca quello vinto con Ruins, il famoso il premio Eisner Award, il riconoscimento più importante nel mondo del fumetto statunitense. Tra fanzine, fumetto underground, Robert Crumb e Charlie Hebdo, il mondo del fumetto è stato ed è tutta la sua vita.

Sono cresciuto a Cleveland, in Ohio, e ho iniziato a leggere fumetti quando avevo circa 8 anni. Ne sono diventato un lettore sfegatato all'età di 11 e ho iniziato a frequentare le convention di fumetti a partire dal 1970, lavorando a una fanzine con il mio amico Seth Tobocman. Lo scrittore Harvey Pekar viveva a Cleveland e prima che iniziasse il fumetto American Splendor lo incontrai. Conosceva Robert Crumb e per caso avevo alcuni dischi a 78 giri che ho scambiato con Crumb tramite Harvey. Crumb visitò Cleveland e facemmo altri scambi. All'epoca avevo 13 anni e stavo appena conoscendo il suo lavoro. Crumb fece la copertina della nostra fanzine e un'intervista come parte dello scambio. Mentre lui disegnava io ero seduto sul divano di Harvey a fissarlo. Per distrarmi, Crumb mi diede il suo album di schizzi da sfogliare. Mi ha fatto impazzire, anche se non ha disegnato l'Uomo Ragno, ah ah ah.

Leggevo ancora fumetti di supereroi, ma quando raggiunsi la pubertà e iniziai a prendere droghe, i fumetti underground divennero di grande interesse. Ho iniziato a disegnare solo all'età di 15 o 16 anni, e allora mi dilettavo con un album di schizzi. Quando ho iniziato a pensare all'università e al mio futuro, mi sono reso conto di essere poco capace, eppure tutto quello che volevo fare era lavorare in qualche modo con i fumetti e i cartoni animati. Ho trascorso un anno alla Kent State, ma mi sono subito depresso e ho deciso di correre il rischio di trasferirmi a New York. Mostrando il mio album di schizzi ho ricevuto un'offerta di lavoro in un'agenzia di animazione: mi avrebbero fatto dipingere sfondi blu o qualcosa di semplice, visto che non avevo alcuna abilità evidente. Quando arrivai, il tizio si era dimenticato di me e non aveva un lavoro, ma io ero arrivato a New York e riuscii a restare.

Gli affitti erano molto più economici nel 1977. Mi iscrissi alla Arts Student League, frequentando solo qualche corso e poi entrai al Pratt Institute. Ho trovato lavoro presso il fumettista Howard Chaykin. L'avevo conosciuto a una convention di fumetti quando avevo 12 anni. Avevo ancora poche abilità nel disegno, ma un grande interesse e ho lavorato duramente sia a scuola che come assistente di Chaykin. Frank Miller e Walt Simonson erano nello stesso studio. Non mi sono mai laureato al Pratt, ma ho imparato molto lì e ho continuato a fare fumetti.

Il mio primo lavoro è stato su Heavy Metal nel 1979 e pian piano ho trovato altri sbocchi, tra cui World War 3 Illustrated che ho co-fondato mentre ero a scuola con Seth Tobocman. Lo pubblichiamo ancora oggi, al 44esimo anno di vita. Quando l'interesse per i fumetti è cresciuto nell'editoria tradizionale, ho trovato lavoro in riviste e giornali e ho potuto concentrarmi sui fumetti a tempo pieno. Oggi faccio un fumetto settimanale per Charlie Hebdo, sto lavorando a una nuova graphic novel di 250 pagine e insegno fumetto all'Università di Harvard.

“Un uomo apparentemente normale, Gregor Samsa, si sveglia una mattina solo per scoprire di essere stato trasformato in un gigantesco insetto, e deve affrontare le difficoltà che la sua nuova alterazione fisica presenta, così come il rifiuto da parte della sua famiglia”. Questa è la trama de La Metamorfosi che tutti conosciamo. Lei ha realizzato una trasposizione in fumetti. Potrebbe parlarci del processo di realizzazione di quest’opera?

Tanto per cominciare, la sola idea che potessi prendere in considerazione l'adattamento di uno dei più grandi scrittori del XX secolo era scoraggiante. Ho dovuto illudermi che non si trattasse di un sacrilegio. Ma ai miei primi tentativi, mi sono subito convinto che si trattava di una grande intersezione tra parole e immagini. Avevo la sensazione che Kafka mi stesse sussurrando all'orecchio e mi ispirasse a correre più rischi con le immagini di quanto non avessi fatto nei miei fumetti. Dal punto di vista creativo, utilizzo un approccio simile per sviluppare la maggior parte delle mie graphic novel.

In questo caso leggo il libro molte volte e inizio a disegnare i personaggi. Traccio una mappa della storia in miniature scrivendo cosa succede in ogni pagina, poi faccio uno schizzo, anche questo molto piccolo. Poi disegno il libro a un terzo della dimensione finale in libretti, in modo da poterlo leggere e assicurarmi che funzioni. Dopo ingrandisco le immagini fino alle dimensioni di stampa e faccio le linee a matita. Infine ingrandisco le linee fatte a matita al 125% e faccio il lightbox dei miei disegni direttamente a inchiostro. In La Metamorfosi l'ho fatto su scratchboard, una carta ricoperta di gesso che può essere inchiostrata e poi graffiata per dare la qualità delle xilografie. Ho mostrato tutte queste fasi nell'introduzione del mio adattamento di Cuore di tenebra.

Quando e come è iniziato il suo interesse per Franz Kafka?

Il mio primo incontro con Kafka fu la lettura de La Metamorfosi all'università. Mi lasciò l'impressione che Kafka fosse tutto oscurità e tenebre. Fortunatamente, avevo un amico che era un suo fan e amava leggerlo ad alta voce davanti a una birra. Ascoltare il testo come “parola parlata”, con le birre, ha gettato una nuova luce sull'umorismo della storia, anche se con un'inclinazione oscura, e mi ha ispirato a iniziare ad adattare le sue opere già nel 1988.

Queste storie più brevi sono diventate il mio libro Kafkaesque. Attraverso il linguaggio del fumetto, potevo prendere la sua assurdità e la sua angoscia e portarla all'umorismo visivo attraverso la rappresentazione dei personaggi. Nel fumetto, le immagini possono contrastare con il testo ed è possibile reimmaginare le storie in una varietà di contesti. Allo stesso tempo, le parole di Kafka hanno agito come un'ancora che mi ha dato la libertà di sperimentare con la narrazione senza perdere la leggibilità.

Che cosa pensa del fumetto italiano? Ci sono alcuni autori che le interessano particolarmente?

Naturalmente! Ce ne sono davvero troppi per citarli tutti, ma Mattotti è in cima alla mia lista.

Molte delle sue opere sono caratterizzate da un profondo impegno politico e sociale. È mai stato criticato per questo?

Quando nel 2005 ho realizzato un fumetto su George W. Bush, è stato pubblicato e ho ricevuto alcune e-mail di minaccia, ma niente di preoccupante. Il problema più grande è stato quello di non trovare posti che pubblicassero un lavoro critico nei confronti di Bush dopo l'11 settembre e durante la preparazione dell'orribile guerra in Iraq. È qui che è entrato in gioco “World War 3 illustrated”: potevamo far conoscere il nostro lavoro anche se non in modo mainstream, ma meglio di zero. Sotto Trump, tuttavia, non ho avuto problemi a farmi pubblicare, ma se dovesse vincere nel 2024 tutto questo potrebbe cambiare

La Metamorfosi di Kafka è da un lato una denuncia dell’oppressione delle regole sociali sull’individuo, dall’altro lato una surreale metafora sull’impossibilità di comunicazione tra gli esseri umani. Che ne pensa?

La Metamorfosi è un racconto che sento molto vicino alla mia vita personale: il rapporto di Kafka con suo padre e la difficoltà di trovare un lavoro regolare. Ha portato tutto questo nella storia. Molti di noi si sentono come animali da strapazzo che cercano di superare ogni giorno. Tutte le storie di Kafka mi hanno ispirato tante interpretazioni diverse e mi hanno immediatamente suggerito tematiche per me interessanti. Ho trovato collegamenti diretti con le mie esperienze quotidiane, camminando per le strade di Manhattan, affrontando burocrazie intrattabili e la mia condizione umana in generale

© Riproduzione riservata