È l’Agenzia europea per l’ambiente a ricordarci che l’inquinamento dell’aria causa più di 50 mila decessi prematuri all’anno nelle città italiane, la metà del Covid, ma tutti gli anni da decenni. Un costo sociale medio a cittadino pari a 1.400 euro all’anno, il 5 per cento del Pil (CE Delf 2020). Non c’è dubbio che, in città, quasi la metà degli inquinanti e delle emissioni di CO2 derivi dal traffico. Per vincere, insieme, la crisi sanitaria, economica e climatica che ci attanagliano, dobbiamo cominciare subito a rendere le nostre città a emissioni zero. Difficile, perché vuol dire ridisegnare le nostre città dotando ogni cittadino di servizi, anche sanitari, di prossimità (così detta “città 15 minuti”) e dotarci di servizi di trasporto totalmente elettrici perché, soprattutto nelle nostre città di pianura, non basta ridurre l’inquinamento di qualche punto percentuale. Dobbiamo dimezzarlo al 2030, ridurlo a quasi zero in seguito.

Non abbiamo tempo nè soldi

Dobbiamo essere chiari: non abbiamo più tempo né soldi per una transizione in due tempi. Prima acquistare tutti auto un po’ più pulite, convertire i motori a gas e metano, poi tra dieci o vent’anni sperare nell’idrogeno blu (da metano), pulito solo a metà. Motori, raffrescamento e riscaldamento degli edifici, cicli industriali e agricoli si stanno già convertendo al verde oggi nelle città d’Europa, Americhe e in Asia. Nelle città cinesi circolano già oggi 400 mila autobus elettrici (appena 500 in Italia) e si costruiscono più km di metropolitane d’Europa (noi siamo ad un quarto di Germania, Francia e persino Spagna).

In Italia, nel terribile 2020, è stato destinato un miliardo di euro di soldi pubblici per rottamare appena 125 mila vecchie auto (su 39 milioni di auto inquinanti) e ridurre le emissioni di appena 61.000 tonnellate di CO2 all’anno. Con gli stessi soldi avremmo potuto acquistare 2.500 autobus elettrici o 40.000 taxi e car sharing elettrici, per tutti in 100 città, riducendo le emissioni del doppio. Sono stati soldi buttati, perché hanno finanziato ancora diesel e benzina, invendibili all’estero e ci siamo ritrovati con più auto del 2019 (300 mila): più poveri, con più auto che patenti, che usiamo sempre meno (-25 per cento dei km di 15 anni fa).

Investire con il Pnrr

Eppure, per capire come investire bene i soldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, basterebbe cogliere e favorire alcune tendenze evidenti: Torino, Milano, Bergamo e Cagliari perseguono con decisione l’obiettivo di un trasporto pubblico totalmente elettrico entro il 2030-35 (sia ferro che gomma). In Italia abbiamo 50 mila autobus diesel pre-euro4 che nel 2026 avranno più di 18 anni. Potremmo sostituirli tutti, almeno quelli urbani, con puri elettrici, rilanciando l’industria nazionale. Invece l’attuale Pnrr preveda di usare i fondi europei per acquistarne solo un decimo (5.139 autobus), dei quali 2.730 alimentati ancora a gas (inquinano come i diesel), 358 costosissimi bus a idrogeno di origine ancora fossile e solo 2.051 veicoli a propulsione elettrica. Collocheremo solo 21 mila colonnine di ricarica elettrica pubbliche per le auto, mentre la Francia ne prevede 100 mila già nel 2022. Come fare altrimenti quando nel 2030 in Europa non si venderanno più auto a combustione, come richiesto ormai da diversi stati membri.

Coinvolgiamo le città

Puntiamo sul coinvolgimento delle città, che spesso sanno investire i fondi europei in opere ed infrastrutture meglio di tanti ministeri e regioni (anche del nord). Sono le città che stanno definendo vaste “zone a basse emissioni” con divieti progressivi per auto e riscaldamento a gasolio (Torino, Milano, Bologna, Firenze), strade 30 in cui sia favorita la mobilità leggera (Torino), zone scolastiche (all’avanguardia Parma, ma inizia persino Roma), tram (Firenze, Padova), limitazioni alla combustione a biomasse (pianura padana), ciclovie e percorsi ciclabili (Bologna, Pesaro e il Grab di Roma), nuove stazioni bus (Flixbus), ciclostazioni alle ferrovie (con le FS a Bari, speriamo Catania). Puntiamo a edificare 100 eco-quartieri a zero emissioni frutto di rigenerazione urbana, con servizi di sharing mobility aziendali e condominiali. Investimenti che vanno accompagnati da una riforma fiscale e normativa che definisca meglio responsabilità e poteri tra Stato, Regioni e Comuni.

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