Mentre dall'Arkansas alla Virginia l'Fbi si affanna ad arrestare i partecipanti all'assalto del Campidoglio, gli esperti di sicurezza ed estremismo si interrogano su cosa sia accaduto e quali ripercussioni avrà la sospensione di Donald Trump dai social network. Ci sono stati aspetti folkloristici come Jake Angeli, lo “sciamano” di QAnon con le corna di bisonte, ma quella di Washington non è stata una goliardata. Nell’assalto sono morte cinque persone: il poliziotto Brian Sicknick con la testa spaccata da un estintore, la manifestante californiana seguace di QAnon Ashli Babbit a cui hanno sparato mentre tentava l’irruzione, altri due manifestanti morti d’infarto, infine una trumpiana rimasta schiacciata mentre tentava di sfondare l’ingresso. Sessanta poliziotti sono rimasti feriti, di cui una dozzina in ospedale, contusi o con le casse toraciche compresse dalla ressa.

Non è questione di folklore

Ma non è l’unico elemento che smonta la tesi del folklore o vandalismo. Un uomo incappucciato ha piazzato due bombe con timer nei pressi delle sedi dei due partiti americani e del Congresso. Henry Tarrio, il leader del gruppo neofascista Proud boys, è stato arrestato a Washington poche ore prima degli scontri, aveva con sé grandi caricatori di munizioni. Nell’auto di un uomo dell’Alabama sono state trovate pistole, un fucile d’assalto e undici molotov. Poco distante, due trumpiani simulavano l’uccisione di George Floyd davanti a uno striscione di Black lives matter, le attrezzature della stampa considerata “fake news” sono state distrutte e con i cavi è stato fatto un cappio, mentre altri hanno montato una vera forca e chiesto di impiccare il vicepresidente Pence per tradimento.

Ma chi sono quelli che Ivanka Trump ha definito “patrioti”? Si tratta in larga parte di maschi bianchi, alcuni seguaci delle folli teorie cospirazioniste di QAnon, altri membri dei Proud boys, a cui Trump chiese in campagna elettorale di “restare in attesa”, ma anche la milizia armata in camicia hawaiana Boogaloo, suprematisti bianchi, neonazisti e negazionisti dell’olocausto, nostalgici della Confederazione schiavista. Il progetto di ricerca ACLED ha contato oltre 80 milizie negli Stati Uniti, come gli Oath keepers, Patriot prayer, Light foot militia e Three percenters, con sfumature ideologiche diverse ma unite dalla propaganda di Trump. Vari manifestanti hanno commesso l’errore di riprendersi o di portare il badge delle aziende per cui lavoravano e sono stati licenziati. Non si tratta sempre di bianchi impoveriti, su cui insiste una narrazione per spiegare il successo del populista, c’erano ad esempio il figlio di un giudice federale di Brooklyn e una donna arrivata dal Texas in jet privato.

Veterani delle forze armate

Molti degli insorti, come Ashli Babbit, erano veterani delle forze armate, compreso un ex colonnello texano dell’aeronautica in tenuta da combattimento, fotografato nell’aula del Congresso con delle fascette di plastica che si usano per ammanettare. Un altro trumpiano di Nashville, Tennessee, città dove a Natale un cospirazionista si è fatto saltare in aria, è stato immortalato in assetto militare mentre reggeva le stesse fascette, forse con l’intenzione di sequestrare membri del Congresso. Su una chat estremista un utente aveva scritto: portate manette e fascette a Washington, basta tolleranza per gli “eletti” che ci odiano, il 6 gennaio è l’occasione per sistemare il paese. Ipotesi realistica perché già qualche mese fa un gruppo di estrema destra era stato fermato dall’Fbi mentre pianificava il sequestro della governatrice del Michigan Gretchen Whitmer, dopo che Trump aveva twittato «Liberate il Michigan!».

La presenza di molti ex militari e poliziotti tra gli insorti del Campidoglio apre ulteriori quesiti. Per anni le forze armate Usa, a corto di personale per le missioni in Afghanistan o Iraq, hanno reclutato anche suprematisti bianchi, neonazisti e altri estremisti, che ora ingrossano le fila dei veterani. In questo contesto non sembra casuale l’appello di tutti i dieci ex segretari alla Difesa pubblicato dal Washington Post poco prima dell’assalto, affinché i militari restassero fuori dalle dispute elettorali, come neppure il fatto che Joe Biden chiuda tutte le sue dichiarazioni con: «Dio benedica i nostri militari». Non è un mistero che nelle forze armate e nella polizia ci siano molti simpatizzanti di Trump, il quale ha difeso l’operato delle forze dell’ordine anche di fronte a episodi controversi o gravi abusi razzisti.

Sarebbe un errore liquidare coloro che hanno assaltato il Campidoglio come frange di pazzi isolati. I senatori repubblicani Josh Hawley e Ted Cruz li avevano aizzati e salutati, la deputata sostenitrice di QAnon Lauren Boebert aveva twittato: «Oggi è il 1776», riferendosi alla rivoluzione americana. Sono loro gli istigatori della violenza a Washington, anche se dopo hanno provato a scaricare la colpa su infiltrati Antifa, di cui non c’è alcuna prova. Anzi, almeno sei repubblicani membri di parlamenti statali hanno partecipato, come testimoniano le riprese. Secondo un sondaggio Pbs/Marist, il 18 per cento dei repubblicani intervistati vede favorevolmente l’irruzione nel Congresso, mentre per YouGov Direct sarebbero addirittura il 45 per cento dei membri del Gop a sostenere l’azione. Numeri che devono comunque far riflettere sulla mutazione politica e antropologica dei conservatori.

Terrorismo interno

Vari esperti americani di terrorismo tra cui Bruce Hoffman, Colin Clarke e John Horgan sono concordi: quello avvenuto al Campidoglio è terrorismo interno, l’uso della violenza e della minaccia contro le istituzioni per intimidire o costringere a prendere certe decisioni politiche, il tentativo di interrompere con la forza una procedura costituzionale. Negli ultimi anni si sono moltiplicati i report dei centri di ricerca statunitensi, dal Soufan Group al CSIS, passando per il Program on Extremism della George Washington University, che segnalano l’urgente minaccia del terrorismo di estrema destra, ignorato dall’amministrazione Trump, anzi per certi versi promosso. Sono ancora di più coloro che tracciano una responsabilità diretta dei tweet incendiari di Trump e l’azione violenta dei facinorosi nella capitale.

Questo porta all’ultima questione, non meno importante, cioè il rischio di ulteriore radicalizzazione violenta dopo la sospensione degli account del presidente da parte di Facebook e Twitter. Alcuni fedelissimi parlano di censura orwelliana, cancel culture e dittatura dei colossi digitali, su cui il senatore Hawley ha scritto anche un libro: The Tyranny of Big Tech, ma la casa editrice ha annullato il contratto dopo i fatti di Washington. Come spiegano i ricercatori del centro britannico Hope not Hate, l’alt right, la destra alternativa americana, era migrata da tempo su piattaforme che tolleravano discorsi d’odio, razzismo e istigazione alla violenza come Gab e 4Chan, usati anche da stragisti. Ultimamente si erano concentrati sul social network Parler, come rifugio dalle policy restrittive di Twitter, ma Google l’ha rimosso dal suo store e Apple ha dato un ultimatum affinché siano imposte regole interne. Trump sta pensando a creare una sua piattaforma digitale dove poter convogliare i seguaci senza intralci.

Certamente la narrazione della censura aumenterà la radicalizzazione dei suoi sostenitori, facendo scattare un processo di vittimismo e di apparente conferma delle teorie complottiste. L’Fbi ha classificato il movimento QAnon come una minaccia di terrorismo interno e secondo l’esperto Peter Neumann sarà molto più pericoloso del jihadismo per gli Usa. Le morti nel Campidoglio, i licenziamenti, gli arresti, i processi e l’esperienza del carcere consolideranno l’identità radicale di molti fanatici, persone già instabili, alienate, che vivono in una realtà post-fattuale e spesso armate. Perciò c’è da aspettarsi un aumento di episodi di violenza politica, terrorismo interno rivendicato da milizie di estrema destra contro le “elezioni rubate” e la “frode”, su cui insiste l’inquilino della Casa Bianca e la sua cerchia di fedelissimi. Si temono nuove violenze il giorno dell’inaugurazione dell’amministrazione Biden, che dovrà affrontare questa grave minaccia di sicurezza con una strategia antiterrorismo e allo stesso tempo rimarginare le ferite politiche con un linguaggio di riconciliazione.

© Riproduzione riservata