Le prime dichiarazioni del ministro della Transizione Roberto Cingolani sul “caro bollette”, a cui sono seguite, ventiquattro ore dopo, quelle sulle possibili azioni correttive, e, a distanza di qualche giorno, una sostanziale ritrattazione, hanno suscitato una pletora variegata di reazioni.

Al netto delle contrapposte tesi su cause e possibili rimedi, registriamo alcuni elementi che meritano un’attenta riflessione.

Il primo: l’alert dell’aumento del 40 per cento in bolletta reca la data del 13 settembre, mentre la tendenza rialzista è in atto da almeno sei mesi, con il Prezzo unico nazionale dell’energia all’ingrosso che è letteralmente schizzato, con un ulteriore aumento del 6,3 per cento solo nell’ultima settimana. Evidentemente le misure adottate in luglio dal governo non si sono dimostrate risolutive. L’Autorità per l’energia aveva consigliato interventi più coraggiosi e strutturali.

La crisi climatica

Il secondo: come da copione scritto e già visto (ricordate gli ambientalisti peggio della crisi climatica?) il ministro della Transizione ecologica ha puntato il dito contro i costi, anche sociali, della transizione ecologica e sul sistema Ets, pilastro della politica energetica dell’Ue, entrato in vigore nel 2015 con lo scopo di penalizzare economicamente gli impianti – non tutti, purtroppo - che emettono CO2.

Secondo Cingolani, l'aumento del prezzo della CO2, che concorre in modo significativo al "caro energia", penalizza famiglie ed imprese: vero anche se nella misura di uno stringato 20 per cento e come dimostrato da Domani ancora meno; tuttavia il Ministro dimentica che ad alcune realtà particolarmente energivore regaliamo, facendoci carico dei relativi osti, quote significative di emissioni di CO2 (ad esempio Arcelormittal, affittuari dell'ex Ilva).

Cingolani presenzia

Cingolani presenzia e, come ha riportato Re:Common, ha incontrato gli amministratori delegati di Eni e Snam tra marzo ed aprile per parlare di stoccaggio di CO2 e di idrogeno. La bozza del suo Piano della Transizione Climatica, trasmesso il 2 agosto al parlamento, secondo l’esperto G.B. Zorzoli appare «poco operativo … un elenco di intenzioni, per la maggior parte condivisibili, che delineano gli obiettivi da perseguire da qui al 2050, senza però affrontare in modo adeguato il come raggiungerli».

Se Draghi, ricordando Andreatta a Bologna, ha affermato che ci sono cose che vanno fatte perché si devono fare, non si capisce bene cosa abbia fatto in concreto finora Cingolani nelle cui mani, con l’istituzione del Mite, sono passate tutte le competenze in materia di energia che diversamente sarebbero state del ministro dello Sviluppo, Giancarlo Giorgetti.

Deve pensarla così anche Elettricità Futura che nel corso della sua ultima assemblea pubblica non le ha certo mandate a dire né a Cingolani né al Governo. che accusa ritardi sui prezzi minimi garantiti per le bioenergie, sulla mancata emanazione dei decreti sui controlli e su Fer 2, sul tardivo recepimento della direttiva Red 2, nell’attuare le semplificazioni degli iter autorizzativi, sulla implementazione della roadmap indicata dal pacchetto europeo per il taglio delle emisioni Fit for 55, inviso a Cingolani («farà morire motor valley»). La richiesta dei produttori di energia è «fate presto».

Il ministro non perde occasione per “scandalizzare” con il suo nucleare che non c'è e per manifestare la sua fissazione contro i «quattro comitatini» di renziana memoria, come se fossero le loro resistenze la principale causa della lentezza con cui il governo si muove nel dare attuazione alle misure previste nel Pnrr in materia di diffusione delle rinnovabili, di efficienza e circolarità dell’economia. Una foglia di fico non si nega a nessuno.

Il terzo: atteso che un ministro non deve limitarsi a lanciare allarmi (transizione ecologica «potrebbe essere un bagno di sangue») bensì indicare per tempo i vantaggi che ne scaturiscono, a qualche giorno di distanza pare proprio che Cingolani continui a voler giocare una pericolosa partita contro una transizione giudicata troppo rapida e, di conseguenza, non confacente agli interessi delle compagnie fossili. In verità c’è anche chi, da vero “squalo” dei media, il ministro l’ha preso alla lettera proponendo di piazzare una centrale nucleare in Lombardia. Ma questa è un’altra storia.

La risposta a Cingolani

Forse la risposta più diretta al ministro l’hanno data, rispettivamente, il direttore del Gruppo Enel, Carlo Tamburi, e il vicepresidente della Commissione europea responsabile dell’azione per il clima, Frans Timmermans. Secondo il primo c’è «la necessità di accelerare sullo sviluppo delle rinnovabili, che rappresentano un fattore calmierante dei prezzi. La risorsa naturale è gratuita, costa meno e rende meno dipendente il paese dall’approvvigionamento dall’estero», soprattutto di gas il cui prezzo è in ascesa –«e di redistribuire gli oneri di sistema nella fiscalità generale».
Secondo Timmermans non dobbiamo cadere nella trappola di «parlare sempre del costo della transizione (ecologica) senza citare il prezzo della non transizione», dimenticanza in cui Cingolani incorre spesso pur conoscendo benissimo i costi della mancata transizione: ad esempio i 60 mila morti che si registrano ogni anno in Italia, attribuibili all’inquinamento.

Un altro prezzo della mancata transizione è anche la rinuncia all’aumento di Pil (+0,5-0,6 per cento annuo) e di occupazione (+2,5-3 per cento all’anno) che si otterrebbe invece con la crescita del settore delle rinnovabili e dell’efficienza energetica nei prossimi 10 anni.

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