Nel lungo periodo di emergenza sanitaria, ad oggi non ancora cessato, lo smart working è stata la misura che ha consentito la continuità della produzione e delle attività lavorative in genere garantendo la salvaguardia della salute pubblica.

I dati sull’esperienza, che in periodo pandemico è stata forzata, sono positivi sia per le aziende private che per la pubblica amministrazione ed hanno evidenziato che il mondo del lavoro è pronto a fare il salto di qualità dalla concezione del lavoro come necessità della presenza fisica nel luogo di lavoro, con vincoli di orario e rigido controllo del datore di lavoro,  ad una modalità di organizzazione del lavoro fondata sulla flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati.

Ad ottobre 2019, ben prima che in Italia scoppiasse la pandemia, l’Osservatorio del Politecnico di Milano aveva valutato l’incremento di produttività dei dipendenti in smart working in circa il 15 per cento per lavoratore, stimando l’impatto economico di tale incremento intorno ai 13,7 miliardi di euro laddove il lavoro agile fosse arrivato al 70 per cento delle attività potenzialmente smartabili (circa il 22 per cento degli occupati), oltre ad un risparmio in media di 40 ore all’anno di spostamenti e, per l’ambiente, una riduzione di emissioni di anidride carbonica pari a 135 chili all’anno.

Non a caso, infatti, molte aziende private ad alcune pubbliche amministrazioni già a quell’epoca avevano adottato tale modalità di lavoro ottenendo ottimi risultati. Oggi se ne sono aggiunte molte altre che, proprio durante il lockdown, hanno avuto modo di sperimentare i vantaggi del lavoro agile in termini di motivazione e responsabilizzazione dei dipendenti e quindi di incremento della produttività.

Il rientro

Eppure, in controtendenza con questi dati e senza valutazione alcuna dei monitoraggi sulla situazione sanitaria né dei protocolli di sicurezza Covid, il ministro per la Funzione Pubblica ha fissato il rientro in presenza dei dipendenti pubblici a partire dal 15 ottobre, dunque prima della fine dello stato di emergenza previsto al 31 dicembre, con la previsione del massivo rientro entro fine ottobre.

Quali le motivazioni di tale scelta? «Assicurare all’Italia una Pubblica amministrazione efficiente, pienamente operativa, capace di sostenere al massimo cittadini e imprese durante questa straordinaria fase di ripresa» e promettendo un «effetto trascinamento sul prossimo anno, nel 2022 crescita del 5 per cento» perché il ritorno in presenza «vuol dire consumi, efficienza e produttività. Consumi vuol dire reddito».

Un ossimoro se si pensa che si associa l’incremento di produttività/PIL proprio a quella modalità organizzativa del lavoro che ha fatto della PA italiana una tra le ultime in Europa in termini di efficienza e produttività, oltre che l’oggetto di tante critiche ai c.d. furbetti del cartellino.

Un equivoco il voler legare il presunto aumento di Pil all’aumento dei consumi anziché ad un aumento di servizi concreti ai cittadini. Se per aumentare il Pil bastassero la pausa pranzo e l’uso dei mezzi di trasporto dei dipendenti pubblici, allora dovremmo proporre una pausa pranzo di quattro ore e due ore di viaggio in automobile o bus, minimi ogni giorno.

In effetti, il lavoro agile, nelle realtà pubbliche in cui è stato correttamente applicato e monitorato, ha portato a risultati anche superiori alle aspettative, tant’è che anche durante il lockdown gli enti previdenziali, la Giustizia, e molte altre PA hanno garantito la piena produttività ed il servizio ai cittadini.

Sarebbe stato necessario, dunque, non un intervento lineare, ma verificare le ragioni per cui in talune pubbliche amministrazioni lo smart working non ha funzionato e verificarne le responsabilità, per esempio per la mancata adozione del Pola, per la mancata digitalizzazione dei processi, che sarebbe dovuta avvenire ben prima dello scoppio della pandemia, per la carenza organizzativa.

Sarebbe stato necessario superare i pregiudizi e monitorare quelle realtà in cui la burocrazia ha frenato su tutta la linea, creando il paradosso della burocrazia digitale che sta frenando, nei fatti, il cambiamento.

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