Forse era inevitabile che il confronto sul Recovery and Resilience Plan in Italia partisse con il piede sbagliato. In una situazione difficile come quella che sta vivendo il Paese i 209 miliardi di Euro di investimenti previsti da Next Generation Eu per il nostro Paese hanno scatenato appetiti, fatto partire una corsa a presentare progetti come se il problema fosse di fare in fretta e impegnare quanto prima le risorse, pena il rischio di perderle. Al contrario, il processo sarà lungo e la preoccupazione è semmai di evitare presentarsi con idee e interventi strampalati come purtroppo si trovano nell’elenco di 557 progetti circolato in queste settimane. Il governo Conte è indubbiamente partito con il piede sbagliato ma ora ha tutto il tempo per recuperare e proporre un percorso trasparente di elaborazione del Piano, approfondimento e confronto pubblico.

Non è un regalo

Di sicuro sarà inutile e controproducente provare a gestire questa partita come si trattasse di un regalo piovuto dal cielo, un avanzo di bilancio (senza precedenti) da spartire, con trattative tra ministeri, regioni e imprese. Quanto messo in campo dall’Unione Europea è unico e senza precedenti, per questo da non sprecare, e ha al centro la scelta di investire nel Green Deal Europeo abbandonando le ricette del passato con l’obiettivo di “build back better”: ricostruire meglio e in modo diverso, con innovazione, sostenibilità, attenzione al disagio sociale e alle disuguaglianze cresciute in questi anni. Ma non sono previsti regali, per accedere a quelle risorse occorre mettere in campo un percorso per nulla banale, con interventi e riforme da mettere in campo che dovranno essere coerenti con i criteri fissati per dare gambe alla transizione verde e digitale dell’Europa.

È importante fare chiarezza sui tempi, la scadenza per presentare i Piani di ripresa e resilienza che dovranno contenere la visione e gli interventi previsti è stata fissata al 30 Aprile, ma alcuni dei criteri di indirizzo e valutazione delle proposte non sono ancora stati definiti. Per cui meglio lasciare nei cassetti progetti improbabili ma piuttosto concentrare gli sforzi su quale visione si vuole mettere al centro del piano italiano, in modo da individuare gli interventi più efficaci. Il rischio altrimenti è di sprecare le ingenti risorse messe a disposizione che per l’Italia ammontano a 85 miliardi di investimenti e 124 di prestiti per Next Generation Eu, a cui si aggiungono circa 40 miliardi per i fondi di coesione, incluso il Just Transition Fund.

La maggioranza deve trovare una sintesi

La sfida politica che si apre non è banale per una maggioranza che fino ad oggi ha avuto difficoltà a trovare una sintesi su questioni che non andassero oltre l’agenda ordinaria o delle emergenze. Perché si dovranno definire gli obiettivi, i criteri e le condizioni da assicurare per portare avanti il processo e per assicurare un attento coordinamento e monitoraggio degli interventi in un dialogo costruttivo con regioni e enti Locali, imprese e soggetti civici e territoriali. Si dovranno, ad esempio, fissare dei chiari paletti alle richieste di chi vorrebbe finanziare progetti che sono del tutto incoerenti con la visione di Next Generation Eu, come autostrade o inceneritori, impianti per la produzione di idrogeno da fonti fossili o di stoccaggio dell’anidride carbonica, come Eni vuole realizzare al largo di Ravenna. Ma sarà indispensabile anche dare una direzione più efficace alle politiche ambientali già in campo. Ad esempio Il ministro Patuanelli ha annunciato che sarà finanziata con i fondi europei la proroga degli incentivi del 110 per cento per la riqualificazione energetica degli edifici fino al 2024, senza che sia stato chiarito come applicare gli incentivi più generosi al mondo laddove sarebbe più urgente, dove purtroppo i cantieri sono fermi. Ossia gli edifici della cattiva edilizia delle periferie costruire nel secondo dopoguerra e dell’edilizia residenziale pubblica, in cui vivono milioni di persone in difficoltà, le scuole e gli ospedali. E ancora, leggendo l’elenco dei progetti colpisce una macroscopica dimenticanza: le città. Eppure, è nelle aree urbane che oggi si concentrano non solo le maggiori condizioni di disagio sociale, aggravate con la crisi del Covid, ma anche le più importanti opportunità di rilancio e di intervento in forme innovative.

Guardare al futuro

La sfida che l’Europa ci pone è di immaginare il Paese tra dieci anni. Ora sta a noi fissare le priorità per fare in modo che nel 2030 si sia finalmente rientrati nella media europea per il numero di bambini che accedono alle scuole d’infanzia, per l’abbandono scolastico, per l’accesso all’università e per gli investimenti in ricerca o nei dati per la diffusione della banda larga. Un futuro non troppo lontano nel quale finalmente si sarà messo mano agli oltre duecento mila ettari di terreni inquinati ancora in attesa di bonifica e alle perdite incredibili degli acquedotti, alle migliaia di scuole in attesa di riqualificazione e messa in sicurezza. Le scelte green possono contribuire ad accelerare questo percorso di rilancio del Paese, non solo per le risorse che potranno mobilitare - circa 90 miliardi di Euro complessivamente -, ma soprattutto perché possono diventare una leva di innovazione dell’economia e di rigenerazione e rilancio dei territori, da coordinare con le altre politiche di finanziamento previste per rilanciare il sistema sanitario, sociale e per la digitalizzazione. Tutto questo potrà avvenire se si sarà stati capaci di incrociare gli obiettivi ambientali strategici - sviluppo delle rinnovabili, efficienza energetica, mobilità sostenibile, economia circolare, ecc. – con i ritardi e i problemi delle diverse parti del paese. Ad esempio, oggi sarebbe possibile puntare su impianti eolici offshore di grandi dimensioni, ma il valore aggiunto per il paese sarà raggiunto se quell’energia diventerà un’opportunità per rilanciare e riqualificare aree industriali dismesse in Sardegna e in Sicilia, dove realizzare batterie e impianti per la produzione di idrogeno verde. Allo stesso modo, il solare in Italia ha potenzialità straordinarie per i prezzi sempre più bassi, ma abbiamo migliaia di ettari di aree dismesse in attesa di una bonifica su cui questi impianti non riescono ad atterrare.

La proposta di Legambiente e Forum Dd

Un processo di questa dimensione per funzionare avrà bisogno dell’impegno davvero di tutti, non è una questione del Governo o della maggioranza e neanche nella disponibilità di alcuni grandi gruppi. Al contrario, il nostro paese potrà rilanciarsi, recuperando la distanza tra cittadini e politica, se sarà capace di costruire un percorso partecipato e trasparente di definizione del piano da presentare a Bruxelles. In cui tutti si sentano coinvolti e disponibili ad impegnarsi. Per questo Legambiente e Forum disuguaglianze e diversità hanno deciso di impegnarsi per contribuire a un percorso che sia davvero aperto e trasparente.

Oggi pomeriggio è previsto il primo appuntamento, con la presentazione di un documento con le 10 sfide green che il nostro paese deve assumere per cambiare il futuro: un salto di scala industriale, territoriale e comunitario per le fonti rinnovabili; dimezzare i consumi energetici del patrimonio edilizio pubblico e privato; innovazione e giusta transizione nei territori della rivoluzione industriale; accelerare l’economia circolare rafforzando le filiere territoriali; accelerare la transizione industriale green; ridurre il gap nell’accesso alla mobilità sostenibile tra i territori e nelle periferie; rigenerazione delle aree urbane; ridurre i ritardi e i divari digitali; sicurezza e adattamento al clima dei territori e rafforzare il modello agroecologico. L’evento può essere seguito online sul sito de La Nuova Ecologia e vede la partecipazione di rappresentanti del governo, economici e sociali, ed è il primo passo di un percorso di osservatorio civico che continueremo nei prossimi mesi. Il nostro obiettivo è di contribuire con idee, proposte e iniziative pubbliche in cui coinvolgeremo attori sociali, imprese e territori in una partita che non ci possiamo permettere di perdere.

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