I risultati delle prove Invalsi 2021, le prime svoltesi in un anno scolastico interamente condizionato dalla pandemia, sono un utile spunto per ragionare sullo stato della scuola italiana. Nonostante la prudenza che è sempre necessaria per interpretare il valore e il significato di una fonte statistica, è difficile non convenire sulla criticità della situazione mostrata da questi dati.

Mentre nella scuola primaria risulta che i livelli di apprendimento si discostano di poco rispetto a quelli del periodo pre-pandemico, nella scuola secondaria di primo e soprattutto di secondo grado si è verificato, rispetto al 2019, un calo significativo delle conoscenze in italiano e matematica. Da ciò che si legge, si potrebbe dire che alla fine del quinto anno delle scuole superiori le abilità linguistiche e matematiche fondamentali non sono state acquisite da quasi la metà degli studenti. Il calo più forte sembra essere avvenuto negli ordini di scuola che hanno dovuto utilizzare maggiormente la didattica a distanza.

Il rapporto Invalsi, tuttavia, registra peggiori risultati, indipendentemente dal grado di istruzione, nelle regioni meridionali e per gli studenti che provengono da contesti socioeconomico-culturali più sfavorevoli. La pandemia e la didattica a distanza hanno aggravato i divari sociali e territoriali, acuendo le criticità già esistenti nel sistema scolastico.

Il vero problema, a nostro avviso, è che di fronte a questo scenario le prospettive di intervento sulla scuola espresse dall’attuale governo e da molti riformatori sedicenti progressisti sembrano purtroppo perseverare in una strategia, avviata con l’introduzione dell’autonomia scolastica negli anni Novanta, che in realtà non ha dato sin qui grandi risultati.

Si dice di voler modernizzare la scuola con una didattica ”innovativa”, senza mai porsi il problema della sua efficacia. Si vogliono disaggregare i gruppi-classe, far entrare ulteriormente formatori e aziende nel contesto scolastico, costringere gli insegnanti ad aggiornamenti fondati non sull’approfondimento culturale e psico-pedagogico ma sulle ultime mode dell’innovazione didattica digitale, introducendo un uso intensivo delle nuove tecnologie, laddove occorrerebbe al contrario affrontare seriamente i rischi cognitivi derivanti dall’iper-connessione dei giovanissimi. Si parla di superare la “cultura del sapere e della conoscenza” a vantaggio di non meglio precisate “competenze” che andrebbero a formare, in una prospettiva economicistica, il “capitale umano” dei futuri lavoratori.

Tutto questo mentre, semplicemente, molti studenti non sanno leggere e scrivere; mentre cioè la scuola non è in grado di assolvere pienamente alla sua funzione costituzionale, quella di promuovere l'emancipazione dei futuri cittadini attraverso l'istruzione. Il reclutamento dei docenti è gestito da sempre in modo frammentario e caotico; e soprattutto perché agli insegnanti viene permesso sempre meno di svolgere liberamente il proprio mestiere, condizionati come sono da una gestione burocratica, standardizzata e pseudo-aziendale delle scuole, e costretti a spendere le loro migliori energie a rendicontare, valutare, e progettare anziché a insegnare i contenuti fondamentali delle discipline.

Il manifesto

Queste considerazioni sono il frutto di una riflessione collettiva condivisa ormai da moltissimi insegnanti, troppo spesso timorosi di esprimere il proprio punto di vista, nell’attuale clima di conformismo imperante. Prova ora a dare voce a tale sentire comune il Manifesto per la nuova scuola, redatto da un gruppo di insegnanti di tutta Italia e sottoscritto da alcuni intellettuali tra cui Alessandro Barbero, Luciano Canfora, Dacia Maraini, Tomaso Montanari, Salvatore Settis e Gustavo Zagrebelsky. I redattori di questo documento, riuniti nel movimento La nostra scuola, chiedono che per il rilancio della scuola si ponga la massima attenzione alla relazione educativa, all’alfabetizzazione, alla sostanza dell'insegnamento e alle conoscenze, restituendo centralità all’ora di lezione e mettendo i mezzi – compresi quelli digitali – al servizio delle finalità educative e culturali. Gli insegnanti sanno bene che è in atto da tempo – da molto prima della pandemia – una preoccupante diminuzione della qualità degli apprendimenti dei propri studenti. Probabilmente, se i docenti venissero ascoltati di più, potrebbero anche indicarne le cause al legislatore.

Gli autori, tra i promotori del Manifesto per la nuova scuola, sono docenti nelle scuole superiori

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