Un’equivoca oscillazione insita nella lingua ha permesso che si perdesse tempo prezioso per ragionare sul quel bene comune supremo che è la scuola, radice di ogni società sana e vigorosa, cellula primaria di crescita individuale e collettiva, luogo della potenzialità evolutiva di ogni paese. Tutto prende avvio dalla scelta tra due parole apparentemente simili ma concettualmente antitetiche: insegnare/educare? Lasciare un segno in, su, sopra qualcuno o condurre verso, condurre fuori?

La nostra scuola somiglia sempre più a un regno chiuso a ogni comunicazione esterna, un monolite autoreferenziale che procede per inerzia seguendo modelli obsoleti in cui più spazio è assegnato al tema dell’imprimere un segno. La nostra scuola si è dimenticata in larga misura della libertà e della vitalità degli scambi, si è esclusa dal tessuto sociale, si è allontanata dal patrimonio artistico e culturale, si è dimenticata dei suoi bambini e soprattutto dei ragazzi, del loro potere d’immaginare, sognare e creare.

Si è dimenticata di fondamentali esempi come Maria Montessori, Don Milani ma anche di quel prezioso periodo di sperimentazioni culturali degli anni ‘70/’80. La scuola di per sé non porta denaro, non produce immediatamente un bene di consumo, lo sappiamo, e quindi a chi potrebbe ancora interessare investire in una trasformazione dei modelli di apprendimento?

In questa buia epoca di narcisismo, schiacciati in un paradossale presente asfittico fatto selfie, immagini prive di movimento e vitalità, la scuola muore sotto il peso di un’economia globalizzata e cieca che non lascia spazio alla visione prospettica, alle Next Generations e alle loro potenzialità. La politica ha giocato e gioca in tutto questo un ruolo fondamentale e porta sulle spalle le terribili responsabilità legate principalmente al disinvestimento, alla sottrazione di fondi pubblici a favore di istituzioni private e al rilancio dell’idea di una scuola-azienda contro il più luminoso esempio di scholè greca, luogo aperto in cui apprendere in un continuo processo di arricchimento reciproco.

Noi siamo preoccupati, molto preoccupati per le visioni zoppe che ci offre questa nostra politica offesa nell’immaginario e avida di successi personali incapace di dar vita e sostenere un’idea di scambio, inclusività, reciprocità, solidarietà e futuro. Noi siamo la società civile, siamo madri, padri, zii e nonni e siamo gli attori, scrittori, architetti, musicisti, ballerini siamo quello che spesso viene considerato un baraccone di voci superflue. Siamo quelli che hanno a cuore il sogno, l’immaginario, l’immaginazione, la poesia, l’ironia le storie. Siamo quelli che credono ancora che le cose si possano e si debbano cambiare. Siamo tra coloro che condividono le parole del neo-ministro Bianchi quando nel suo libro parla di assoluta priorità per i Diritti necessari e Doveri inderogabili di solidarietà.

Ma quali fatti seguiranno alle parole? Noi vorremmo essere a fianco del ministro quando nel suo libro ci ricorda che la scuola è il luogo in cui si «costruisce comunità» e che «occorre aprirsi ai territori e alla cultura» - magari fosse -. Soprattutto vogliamo sottolineare la necessità di trovare degni interlocutori per attuare le trasformazioni necessarie. Pensiamo a un processo condiviso tra pedagogisti illustri come Daniele Novara, fondatore del metodo di apprendimento maieutico, o Milena Santerini, ordinaria di Pedagogia all’Università Cattolica di Milano, che si battono da anni – a fianco di molti validi insegnanti - per il recupero di un pensiero e di un’azione pedagogica nella scuola primaria e secondaria e che  potrebbe risultare un valido alleato del ministro nel suggerire queste trasformazioni.

Il ministro Bianchi nel suo libro “Nello specchio della scuola” ci spiega bene che occorre aprire l’istituzione scolastica per più ore in modo da renderla presidio sociale, ci ricorda che essa deve trovare la strada per interagire col territorio e la cultura. Noi vogliamo sostenere questa visione ma chiediamo azioni pratiche rilevanti.  

Abbiamo abbandonato moltissimi ragazzi arrivando a una dispersione scolastica fuori misura con quel terribile divario tra Nord e Sud che si sta riaffermando drammaticamente. Con un’ondata di suicidi spaventosi indotti dalla chiusura delle scuole e dalla Dad. Questo vuole essere un appello e insieme una sollecitazione volta a ricordare che la società civile è sveglia e vuole tutelare se stessa attraverso il primo istituto che la contraddistingue: la scuola e attraverso l’unico strumento che la tutela, la Carta costituzionale.

Per un ritrovato pensiero pedagogico artistico e culturale la scuola deve tornare in primo piano. Vorremmo quindi che si investa sulla formazione dei formatori promuovendo corsi di formazione incentivante prevalentemente a carattere psico-pedagogico e artistico. Ipotizzando un aumento degli stipendi proporzionato alle specializzazioni ottenute. Scrive il ministro Bianchi: «Un’educazione che (..) parta e si rivolga al singolo bambino, ragazzo, adolescente come titolare di un diritto alla propria formazione come persona e alla propria partecipazione in una comunità attenta all’inclusione. (..) Disporre di un numero di insegnanti proporzionato ai bisogni degli allievi e non ai vincoli di bilancio statale, ma soprattutto diviene fondamentale una formazione di questi insegnanti, che permetta di andare oltre ai vincoli amministrativi». Ci chiediamo se questa visione possa essere attuata, ci auguriamo di cuore che il ministro Bianchi sia all’altezza del compito.

Chiediamo di riconsiderare seriamente il metodo di valutazione a oggi troppo spesso utilizzato in termini vessatori e di sviluppare un sistema di verifiche non più basato su crocette e domande lampo che invece restituisca dignità espressivo-espositiva ai ragazzi, valutando altresì la capacità di lavorare per gruppi e di sviluppare autonomamente pensieri e soluzioni a partire dagli stimoli offerti dai formatori.

Con questo intendiamo necessario altresì allinearci alle esperienze europee affiancando la tradizionale lezione frontale a necessari momenti laboratoriali con una diversa organizzazione spaziale della classe. Fare rientrare a pieno titolo nelle scuole l’arte e la cultura sotto forma seminariale extra curricolare e interdisciplinare per offrire visioni e soluzioni alternative non solo agli studenti ma agli stessi docenti.

Cosa significa oggi investire in educazione e in adeguate strutture educative? Significa restituire una visione gioiosa del sapere, ristabilire principi di uguaglianza e processi di solidarietà, far crescere il Paese secondo una corretta equazione culturale.

Vogliamo sostenere l’operato di chi si muoverà in sinergia con chi in questo campo opera da anni, in un’azione volta alla tutela del Bene comune, consapevoli del rischio che ingenti capitali europei possano essere invece impiegati in azioni superflue solo votate alla digitalizzazione o ancor peggio che vengano spostati nelle mani di istituti privati. Abbiamo la possibilità di restituire una visione di futuro ai giovani e dobbiamo batterci per dimostrare loro che sarà possibile e che ce ne assumiamo la piena responsabilità.

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