Egregio direttore, le chiedo ospitalità perché ho molto apprezzato l’attenzione posta dal suo giornale a un tema troppo spesso sottovalutato. Mi riferisco all’inchiesta finanziata dai vostri lettori, a firma di Luca Bortoli e Christian Elia, dal titolo “Pagano solo operai e cittadini per il disastro ambientale Pfas”.

Purtroppo quando – meritoriamente come in questo caso – se ne scrive, la domanda sospesa è: cosa ha fatto lo stato?

Parlamento e governo, infatti, si sono occupati del caso Pfas, come ben sanno le 350mila famiglie dei genitori No Pfas. Non lo dico per propaganda o per tornaconto personale, ma per contribuire alla ricostruzione, nella sua interezza, di una brutta pagina ambientale italiana. E per sfatare qualche giudizio (o pregiudizio) sull’attenzione parlamentare e governativa ai temi territoriali. Personalmente ci tengo molto perché credo che questo sia il nostro compito. Se permette fornisco qualche informazione aggiuntiva sulla questione che seguo ormai da parecchi anni, come deputata dalla scorsa legislatura e oggi come presidente della commissione Ambiente della Camera.

L’intervento più urgente, da subito, è apparso quello di dotare di un sistema di approvvigionamento alternativo dell’acqua per le famiglie i cui acquedotti si collegavano alla falda inquinata da Miteni. Perciò nella XVII legislatura è stato disposto lo stanziamento di 85 milioni di euro per costruire nuove condotte idriche collegate a fonti di approvvigionamento non inquinate. La presidenza del Consiglio dei ministri ha disposto la nomina di un commissario, scelto dalla regione Veneto, Nicola Dall’Acqua.

Sotto il profilo processuale l’adozione della legge sugli ecoreati si è rivelata essenziale, nel caso di specie, per poter perseguire la Miteni. La legislazione vigente prima di allora concedeva una difesa supportata dalle normative: l’azienda non era responsabile perché asseriva di ignorare di inquinare.

La questione purtroppo non è risolta, anzi. Sono convinta che su problemi che coinvolgono la salute e la vita delle persone non vi possano essere né divisioni di parte né tentennamenti. A cominciare dal poter disporre di una terapia certa e affidabile, dopo che un protocollo non validato e invasivo che la regione Veneto aveva attuato – la plasmaferesi – è stato interrotto perché risultato non idoneo.

Resta sicuramente aperta la questione dibattuta dei limiti dei Pfas nell’acqua. Recentemente sul tema l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare e il presidente Franz Timmermans sono intervenuti per ammonire i paesi europei.

Tuttavia non è vero che il nostro governo non se ne stia occupando. Un articolo del collegato ambientale che presto sarà consegnato alle camere per avviarne l’esame si riferisce proprio a questo.

Difesa della salute e difesa delle imprese

Occorrerà trovare un equilibrio che salvaguardi la salute come non è stato fatto in Veneto. Ma che non paralizzi le imprese. Data l’esperienza Pfas può immaginare quanto io sia – personalmente – per una posizione rigorosissima.

Non è questa la sede per discutere pure delle responsabilità politiche e di quanto divida e abbia diviso gli atteggiamenti dei nostri governi e della regione, ma anche su questo ci sarebbe molto da aggiungere. Perché forse non basta costituirsi parte civile quando i buoi sono scappati e centinaia di migliaia di cittadini sono stati colpiti, senza aver compiuto adeguati controlli sui reflui dell’impresa.

È necessario dunque predisporre un lavoro che, partendo dall’attuale situazione emergenziale, guardi al futuro con interventi strutturali in cui lo sviluppo sia concepito come effettivamente sostenibile e non scarichi i propri costi sulla salute delle persone e dell’ambiente.

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