Fino a qualche anno fa, se avessi usato le parole Texas, crisi climatica, freddo estremo ed energie rinnovabili nella stessa frase avreste pensato ad un abuso di sostanze psicotrope.

Eppure è probabilmente la crisi climatica ad aver provocato l’ondata di freddo estremo che sta colpendo il Texas. Risultato: blackout per milioni di persone, rimaste senza elettricità, riscaldamento e acqua. Il presidente Biden ha addirittura dichiarato «lo stato di disastro» per poter fornire aiuti federali.

Le scene che si sono viste sono degne di film apocalittici: gente che bruciava mobili, tende da campeggio all’interno delle case, persone che dormono nelle automobili con il motore acceso - con conseguenti intossicazioni da monossido, e perfino alcune morti.

A Austin, la capitale, sono stati misurati -9°C, qualcosa come 25°C in meno rispetto alle medie del periodo. L'equivalente di portare gli abitanti di Pantelleria a Livigno.

Ma cosa c’entra il freddo estremo con l’aumento delle temperature medie globali e la famigerata crisi climatica? E perché alcuni commentatori danno la colpa alle energie rinnovabili?

Troppo spesso leghiamo aumento di temperatura globale a un banale “farà più caldo”. Si tratta invece, letteralmente, di cambiamenti climatici: ossia il clima di un luogo varia rispetto a quello che abbiamo conosciuto nei secoli e millenni scorsi.

L’esempio più lampante è proprio questo: il riscaldamento sempre più rapido delle zone polari (ci ricordiamo i +20,7°C in Antartide del 2020, vero?) sta portando ad un forte indebolimento del cosiddetto Vortice Polare. Ora, immaginiamoci questo cuscinone d’aria fredda che staziona sopra il Polo Nord fino a che ha dei venti che vorticosamente gli ruotano attorno – appunto, il Vortice Polare.

Quando questo si indebolisce a causa dell’aumento di temperature, queste sacche di aria polare scendono a latitudini decisamente insolite. E in questo caso l’aria gelida è scesa attraverso il Nord America fino al Texas.

Le vittime

La prima vittima è stata la rete elettrica. Di fronte all’immensa richiesta di energia, è collassata provocando estesissimi blackout che hanno colpito più di quattro milioni di persone.

Ma il peggior effetto è che moltissimi texani si sono ritrovati non solo senza elettricità, ma anche senza riscaldamento, poiché circa il sessanta per cento delle case in Texas sono riscaldate proprio grazie all’elettricità. Ad appesantire la situazione, tante persone non hanno più accesso nemmeno all’acqua a causa dell’esplosione delle tubature – fuori ma soprattutto dentro le case.

Subito è partito il rimpallo delle responsabilità, e come spesso capita si è trovato il colpevole nell’ultimo arrivato: le energie rinnovabili. Infatti, a dispetto di quanto potremmo pensare, negli ultimi anni il Texas ne ha visto un fortissimo incremento fino a diventare lo stato US con la maggior produzione di energia rinnovabile, tra solare e eolico. Il 28 per cento dell’intera produzione eolica statunitense viene proprio da qui.

I combustibili fossili

Rimane però uno stato basato in larga parte sui combustibili fossili: qui c’è la più grande raffineria degli Stati Uniti, e la prima regione in termini di fracking.

E sono stati infatti proprio gli impianti fossili a gas e a carbone i primi a saltare: non sono stati in grado di reggere l’incredibile richiesta, spesso a causa di problemi agli impianti di raffreddamento dovuti al gelo dell’acqua. Oppure a pozzi che sono stati chiusi.

Certo, anche diverse pale eoliche hanno smesso di funzionare a causa del gelo, non avendo i trattamenti termici o le resistenze che, in posti come la Danimarca, permettono loro di funzionare anche a temperature molto basse. Ma si trattava di molti meno GW rispetto alla potenza fossile saltata.

Banalmente, il sistema energetico (in particolare elettrico) che diamo così per scontato non è stato progettato pensando a questo tipo di eventi estremi una volta rari e ora, grazie alla crisi climatica, sempre più comuni.

Come se non bastasse, la rete elettrica texana è separata da quella del resto degli Stati Uniti. Non solo non è possibile esportare energia (spesso rinnovabile) prodotta in eccesso, ma soprattutto non è possibile importarne in caso di emergenza, come adesso.

Tutta questa serie di fattori ha creato – letteralmente – la tempesta perfetta.

Il dibattito statunitense – farcito di negazionisti ben più del nostro – si è già scagliato contro le rinnovabili e il Green New Deal. Eppure sono proprio queste le fonti di energia più affidabili. Per loro natura gli impianti solari ed eolici sono molto più distribuiti, di taglia molto più piccola e quindi più capillari. Questa loro caratteristica li rende quindi meno rischiosi e in grado di costituire una rete elettrica molto più resiliente. Ecco, ho detto la parola magica: resilienza.

La resilienza

Per risolvere questi problemi strutturali serve quindi una rete non solo smart, ma molto più resiliente, in grado di affrontare un futuro con sempre più eventi estremi – di caldo, ma non solo, come abbiamo visto.

Le ondate di calore provocano un terribile aumento della richiesta di energia elettrica per il condizionamento, tra le prime cause di blackout estivi.

La rete elettrica viene messa a rischio anche in molti altri modi. Due estati fa, treni in tutta Europa (e a volte anche aerei) si son dovuti fermare per il troppo caldo; centrali nucleari in Francia sono state stoppate a causa della scarsità d’acqua per il raffreddamento; impianti idroelettrici hanno visto la loro produttività scendere del cinquanta per cento da un anno con l’altro.

O investiamo oggi in una rete estremamente connessa, rinnovabile e distribuita, con accumuli, capace di bilanciarsi e rispondere a questi eventi, oppure prepariamoci a questi black-out.

O capiamo adesso che dobbiamo isolare ed efficientare il più possibile tutti gli edifici per tagliarne il fabbisogno a monte, oppure avremo bisogno di un condizionatore a testa in ogni stanza. Ed è facile capire che no, non avremo mai rinnovabili a sufficienza.

È evidente che la crisi climatica non ci sta aspettando.

Neanche a farlo apposta, gli Stati Uniti sono appena rientrati ufficialmente negli Accordi di Parigi. L’inviato speciale per il Clima J. Kerry parla come Greta Thunberg, ossia come la scienza, e afferma: «Neanche gli Accordi di Parigi sono sufficienti. Dobbiamo essere più ambiziosi». 

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