La “prima” del ministro della Transizione Ecologica non è tra quelle che passeranno alla storia. Nel suo primo intervento il 10 marzo al Mite, in vista della Conferenza nazionale per l’aggiornamento della Strategia per lo sviluppo sostenibile, il ministro Roberto Cingolani ha toccato una serie di punti di estremo interesse: dalla sfida del Cambiamento Climatico alla gestione della plastica e dei rifiuti, dalla mobilità alla necessità di dotare il Paese di un efficace sistema di monitoraggio territoriale, dalla presa d’atto del crescente indebitamento ambientale ed ecologico alla necessità di strategie sovranazionali e globali per assicurare il raggiungimento dei target fissati negli accordi internazionali sul clima.

E i sussidi?

«E quindi?» verrebbe spontaneo chiedere al ministro, cui il decreto Legge che ha istituito il Mite attribuisce una potenza di fuoco con pochi precedenti nella storia della Repubblica. Come già fatto notare da autorevoli commentatori, sia nel Dl istitutivo, sia nei primi interventi istituzionali di Cingolani, non viene indicata una data limite per la revisione dei sussidi ambientalmente dannosi, triste incompiuta dei precedenti governi. Circa 20 miliardi di euro che potrebbero essere proficuamente utilizzati per finanziare la conversione ecologica del sistema produttivo e creare nuovi posti di lavoro. Il ministro ha ricordato la limitata bio-capacità del Pianeta e il ricorrere drammatico, ogni anno, dell’Earth Overshoot Day: «Noi stiamo vivendo un'era di debito economico ma cominciamo ad avere un'era di debito ambientale spaventosa», perché «abbiamo finito la nostra quota parte di risorse naturali e cominciamo a vivere a debito sulle risorse che sarebbero state dell'anno dopo», ha dichiarato Cingolani.

Queste parole sarebbero artiglieria pesante se non fosse nota l’eterogenea composizione delle forze che sostengono il Governo. A parte un generico richiamo al concetto di sostenibilità nella Costituzione riformata che verrà, è improbabile che, come richiesto da Società della cura, Cingolani voglia spendersi — ad esempio — per l’introduzione in Costituzione del divieto di ricorrere all’indebitamento ecologico oppure per la riforma della contabilità, sia nel settore pubblico sia in quello privato, con introduzione di sistemi idonei a misurare l’impronta carbonica ed idrica degli investimenti e dei prodotti e ad imputarne i costi al produttore/investitore.

La Cop26

«Ci sono infiniti percorsi per raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi», dice ancora il ministro. «E quindi?», verrebbe ancora da chiedere. Certo, quei percorsi sono “infiniti” a tal punto dall’essere prossimi a far slittare nuovamente Cop26, nella cui organizzazione l’Italia ha un ruolo decisivo. Cingolani non ha ancora detto in che modo il nostro Paese si adopererà affinché Cop26 non fallisca come le precedenti. Secondo l’articolo “Emissioni fossili di CO2 nell'era post-COVID-19”, pubblicato lo scorso 3 marzo su “Nature Climate Change”, i paesi più sviluppati dovrebbero tagliare le emissioni di 10 volte rispetto a quelle prima del Covid. Inoltre, in assenza di correttivi, il pieno utilizzo dell’infrastruttura per i combustibili fossili determinerebbe un forte rimbalzo delle emissioni nel 2021.

Pensare alle fonti fossili

Tra gli “infiniti percorsi” di cui parla Cingolani, ce n’è almeno uno, gradito al ministro e al Governo, che, vista la gravità della crisi climatica ed ambientale in cui siamo dentro, contempli quanto meno che le aziende su cui lo stato esercita una qualche forma di controllo abbandonino tutti i progetti “fossili”, così impattanti ed insostenibili dal punto di vista climatico? Parrebbe di no, visto che, pur avendone avuto modo e occasione, Cingolani non si è espresso a favore di questa opzione così come non ha espresso contrarietà rispetto alla previsione nel Pnrr dello sviluppo della tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio per la produzione di idrogeno blu, richiesta da Eni in una memoria inviata alla Commissione Industria del Senato.

I progetti Eni

Così facendo, di fatto Eni sta chiedendo di riportare all’interno del Recovery Plan il suo megaprogetto per la produzione di idrogeno da metano a Ravenna, per prolungare il ciclo di vita delle concessioni di coltivazione di gas dell’Alto Adriatico scadute da tempo e che invece godono di proroga automatica in virtù della mancata abrogazione di una norma risalente al 2012. Quelle concessioni, come le connesse infrastrutture di trasporto e stoccaggio, nell’anno del Covid si sono rese corresponsabili, secondo stime Iea, dell’emissione di oltre 70 milioni di tonnellate di metano nell’atmosfera, pari a circa il 5 per cento delle emissioni globali di gas-serra per usi energetici, e torneranno a crescere dopo il Covid: di questo Cingolani, tecnico ed accademico ancor prima che ministro, è ben consapevole.

Coraggio

Si dice che la mitezza non vada disgiunta dal coraggio. Ebbene, in questo esordio da ministro di Cingolani, senza sorprese né scossoni, la prima sembrerebbe prevalere nettamente sul secondo. Troppo presto per esprimere giudizi netti e chiari? Forse.
Tuttavia l’auspicio è che la mitezza del Ministro, col trascorrere del tempo e la riscrittura del Pnrr, non si sostanzi in inerzia o, peggio ancora, in “continuismo” rispetto alla linea d'azione dei suoi predecessori.

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