Il 26 gennaio il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma ha una storica opportunità: decidere di proseguire le indagini sul bombardamento aereo del villaggio di Deir Al-Hajari in Yemen che l’8 ottobre 2016 ha causato diverse vittime civili, tra cui una madre incinta e i suoi quattro figli. Nell’ambito di tale attacco, condotto verosimilmente dalla coalizione militare guidata dall'Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti, è stato confermato l'utilizzo di armi italiane.

Un’occasione inedita

Al di là delle importanti implicazioni per il caso di specie, è chiaro che la decisione del gip di Roma ha una rilevanza ben più ampia, in quanto potrebbe aprire la strada a un'indagine che per la prima volta tratti della responsabilità penale dei soggetti coinvolti nel commercio di armi dall’Italia verso paesi coinvolti in conflitti armati e nella commissione di potenziali crimini di guerra.

Nello specifico, al gip spetterà decidere se ordinare la prosecuzione delle indagini o archiviare, come richiesto dalla procura della Repubblica di Roma, il procedimento penale contro ignoti per avere autorizzato ed effettuato esportazioni di armi dall’Italia, verosimilmente utilizzate per compiere attacchi aerei in Yemen, tra cui quello di Deir Al-Hajari del 2016. L’eventuale decisione del giudice di ordinare ulteriori indagini (o di formulare un’imputazione coatta) rappresenterebbe l'ultima opportunità per le vittime di ottenere giustizia da parte di uno dei paesi, l’Italia, che continua ad alimentare la guerra in Yemen mediante le esportazioni di armi ai paesi coinvolti nel conflitto per lo meno dal 2015.

Mentre al momento resta infatti impossibile perseguire i diretti responsabili dei crimini di guerra commessi in Yemen, ovvero i paesi della coalizione guidata dall’Arabia Saudita e le loro forze militari, i giudici italiani si trovano davanti alla storica possibilità di fare luce sulle responsabilità di coloro che, mediante l’export di armi, rendono possibili tali crimini fornendone gli strumenti. Tra questi vi sono anche aziende produttrici di armi e funzionari statali italiani che, pur sapendo che tali armi sarebbero state usate nel teatro di guerra di destinazione, hanno continuato colpevolmente ad assicurarne la fornitura.

Le responsabilità su cui indagare

Più precisamente, la denuncia presentata nell’aprile 2018 congiuntamente dallo European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR) di Berlino, l’organizzazione yemenita Mwatana e la  Rete Italiana Pace e Disarmo chiedeva al pubblico ministero italiano di indagare tali responsabilità su due versanti: da un lato, dei dirigenti di RWM Italia, in quanto la fornitura di armi potrebbe configurare un’ipotesi di concorso nei reati di omicidio e lesioni personali; dall’altro, dei funzionari di UAMA, per il reato di abuso d’ufficio, integrato dalla reiterata violazione delle norme preposte ad impedire la vendita di armamenti italiani se vi è il rischio che siano utilizzati in contesti dove le violazioni di diritto internazionale umanitario sono note e ripetute. A tale riguardo sono numerosi i rapporti che da più parti, a livello internazionale, tra cui le Nazioni Unite e il Consiglio d'Europa, danno conto delle violazioni di diritto internazionale umanitario e di diritti umani legate all'esportazione di armi utilizzate nella guerra in Yemen.

Spinte contrastanti

All’esito di un anno e mezzo di indagini, tuttavia, nell’ottobre 2019 la procura della Repubblica di Roma ha richiesto l'archiviazione del procedimento, provvedimento contro cui le denuncianti organizzazioni hanno presentato opposizione, ritenendo che il pubblico ministero non abbia effettuato gli accertamenti necessari per determinare la potenziale responsabilità penale, a titolo di concorso, dei dirigenti di RWM Italia per i presunti crimini di guerra commessi in Yemen con armamenti di esportazione italiana e dei funzionari dell'UAMA per il reato di abuso di ufficio.

Crimini internazionali

È interessante notare che la vicenda è attualmente al vaglio anche della Corte Penale Internazionale dell’Aia, come confermato dal rapporto pubblicato lo scorso dicembre dall’Ufficio del Procuratore della Corte. Il bombardamento di Deir Al-Hajari è infatti uno degli incidenti inclusi nella “denuncia” presentata alla CPI a dicembre 2019 da una coalizione internazionale di organizzazioni per i diritti umani, tra cui le stesse ECCHR, Mwatana e la Rete Italiana Pace e Disarmo. Tale denuncia si concentra sulle presunte responsabilità, nella commissione di crimini internazionali in Yemen, di funzionari politici e dirigenti di aziende produttrici di armi in Germania, Francia, Spagna e Regno Unito – oltre che in Italia - attraverso la concessione di licenze e l’esportazione di armi all'Arabia Saudita ed altri membri della Coalizione da questa guidata. Il contributo dell’Italia, nello specifico, include anche gli aerei da combattimento Eurofighter Typhoon e Tornado, prodotti dal Consorzio Eurofighter, di cui la azienda italiana Leonardo S.p.A. è uno degli azionisti.

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