Le Conferenze delle Parti, o Cop, sono gli incontri annuali organizzati dalle Nazioni Unite per concordare efficaci politiche di contrasto al riscaldamento globale. A novembre 2021 in Scozia si terrà la 26esima edizione, presieduta congiuntamente da Italia e Regno Unito. La Cop di quest’anno è particolarmente importante per due motivi: è la prima dallo scoppio della pandemia ed è chiamata ad aggiornare gli Accordi di Parigi, ovvero la più avanzata intesa mai raggiunta nella lotta alla crisi climatica. In questo spazio bisettimanale ci proponiamo di raccontare le notizie, i meccanismi, i retroscena dei negoziati per il clima. Siamo arrivati al quarto numero, a questo link trovi i precedenti.

Dibattito di fuoco in Usa

Negli Stati Uniti l'impegno del Presidente Biden di dimezzare le emissioni entro il 2030 ha acceso le polemiche: mentre il mondo dell’attivismo critica la timidezza del nuovo target decennale, i repubblicani definiscono la decisione "irrealizzabile". Il dibattito è stato anche alimentato dai parlamentari democarici Alexandria Ocasio-Cortez e Ed Markey, che hanno ripresentato al Parlamento la proposta di Green New Deal.

La sentenza della Germania

La Corte Costituzionale Federale della Germania ha dichiarato la Climate Law tedesca, che disciplina gli obiettivi climatici nazionali, parzialmente incostituzionale, trovandola incompatibile con i diritti fondamentali, poiché mancano specifiche sufficienti disposizioni per ulteriori riduzioni delle emissioni a partire dal 2031.

Il governo tedesco è stato obbligato a rivedere il suo piano di decarbonizzazione, e ha annunciato i nuovi target di riduzione: 65 per cento al 2030 e 88 per cento al 2040, con il raggiungimento della neutralità climatica al 2045. Questo è il contenuto della proposta legislativa in seguito al ricorso Costituzionale stato iniziato da nove giovani con l’appoggio di Greenpeace, FridaysForFuture, Friends of the Earth e altre ONG dopo l’entrata in vigore nel dicembre 2019 della legge sul clima.

Le contraddizioni di Bolsonaro

Durante il  Leaders Climate Summit organizzato dal presidente Biden, il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, aveva garantito che avrebbe raddoppiato le risorse per il contrasto alla deforestazione. Quello stesso giorno è stato approvato il bilancio federale che non rispecchia la promessa fatta, anzi, sono stati fatti tagli di 36 milioni di euro al Ministero per l’Ambiente, mentre sono stati destinati solo un terzo dei contributi necessari, ovvero 15 milioni di euro, all’istituto Chico Mendes per la Conservazione della Biodiversità.

Le politiche di Bolsonaro hanno trovato consenso nel mondo dell'agribusiness, dove continuano gli incentivi e le approvazioni di nuovi pesticidi, che non fanno che aumentare la rendita prevista dal raccolta della soia, che dovrebbe aumentare dell’8,6 per cento rispetto allo scorso anno.

Se Bolsonaro dovesse continuare sulla strada del negazionismo e inattivismo climatico, non tutelando la foresta Amazzonica, le conseguenze internazionali potrebbero essere imprevedibili: già lo scorso anno i supermercati del Regno Unito hanno minacciato il boicottaggio dei prodotti brasiliani.

Le fantastiche 205

Il 5 maggio è partita la campagna di 205 organizzazioni che hanno unito le forze e hanno redatto una lettera aperta per chiedere al governo britannico di escludere dalla COP26 i grandi inquinatori del mondo. Dovrebbe esserci un posto al tavolo negoziale per i responsabili dell’inquinamento globale?

Nel 2019 è uscito un report che imputava a 20 aziende un terzo delle emissioni a livello globale: è per questo esatto motivo, per la diversa responsabilità della crisi climatica, che il gruppo di organizzazioni ha avanzato la richiesta di non ammettere le aziende inquinanti alla Conferenza, né nel 2021, né mai più. È stato anche chiesto di non accettare fondi dagli inquinatori, non promuovere le loro “soluzioni” (chiamate nella lettera “falsità”) e infine garantire giustizia climatica.

Mini-guida galattica ai target climatici

Nei prossimi mesi si parlerà sempre più di target climatici, cioè degli obiettivi che gli stati si danno nelle strategie di decarbonizzazione. Capirli e confrontarli, però, non è cosa semplice.

Consideriamo 3 fattori.

Quanto: tutti i target annunciati sono sempre obiettivi nazionali, mentre i rapporti dell’Ipcc indicano la riduzione delle emissioni a livello globale. Il target globale necessario per mantenere bassa la probabilità di superare l’aumento di 1,5 °C della temperatura è quello di dimezzare (tra 40 per cento e 60 per cento) le emissioni al 2030 e di azzerarle nel periodo 2045-2055. 

Entro quando. L’obiettivo di azzeramento si sta stabilizzando a livello globale entro il 2050, ma la scienza chiede di concentrarsi sul 2030 perché è essenziale cominciare fin da subito una forte decrescita, senza la quale gli obiettivi al 2050 saranno fuori portata.

Rispetto a quando. Nella maggior parte degli stati si fa riferimento al 1990, anno di picco dopo il quale le emissioni sono continuamente scese. Gli Usa e il Canada, invece, fanno riferimento al 2005, il loro picco più alto di emissioni.

Neutralità climatica e carbonica. Va fatta un’ultima distinzione rilevante rispetto al tema emissioni zero: sempre più spesso si parla di net-zero. Ma a cosa ci si riferisce? La carbon neutrality (neutralità carbonica) riguarda solo la CO2, perché è il gas più presente e il più facile da tagliare, ma non è l’unico: altri gas serra come il metano (CH4) o il protossido d’azoto devono essere considerati. Quando si conta di eliminare tutti i tipi di emissioni si parla di neutralità climatica.

Per riportare tutti i gas a un fattore comune si utilizza il termine CO2-equivalente. Un obiettivo completo dovrebbe essere comunicato in questo modo: la UE annuncia un taglio del 55 per cento delle emissioni entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.

© Riproduzione riservata