Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro–tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza di primo grado che ha assolto l’ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti. La sentenza di secondo grado, confermata in Cassazione, ha accertato invece che – fino alla primavera del 1980 – Andreotti aveva avuto rapporti con i boss Cosa Nostra


Si è già rilevato come lo stesso dott. Cassarà, nel comunicare al dott. Forleo l’avvenuto rinvenimento del numero telefonico del sen. Andreotti nell’agendina sequestrata ad uno dei cugini Salvo, non intendesse ipotizzare una collusione del sen. Andreotti con “Cosa Nostra”, ma semplicemente sottolineare l’influenza dei cugini Salvo sul piano politico.

I cugini Salvo, inoltre, nei successivi interrogatori, respinsero gli addebiti loro mossi e non resero dichiarazioni accusatorie a carico di esponenti politici a loro legati.

In presenza di un simile quadro probatorio, una richiesta di chiarimenti ai cugini Salvo in merito ai loro rapporti con il sen. Andreotti non avrebbe potuto generare alcun serio apporto conoscitivo suscettibile di ulteriori, concreti sviluppi investigativi.

Deve dunque riconoscersi che, in relazione al concreto contesto probatorio allora riscontrabile, il successivo comportamento del Giudice Istruttore dott. Falcone non esclude affatto che egli fosse a conoscenza dell’esito positivo degli accertamenti compiuti dal dott. Cassarà in ordine alla titolarità del numero telefonico annotato accanto al nome “Giulio” sull’agendina sequestrata ad uno dei cugini Salvo.

Non si ravvisano, dunque, valide ragioni che inducano a dubitare della veridicità di quanto il dott. Cassarà fece comprendere al dott. Accordino e riferì esplicitamente al dott. Forleo con riguardo al positivo risultato degli accertamenti svolti sull’identità del titolare del numero telefonico.

L’esistenza dell’annotazione relativa al nome “Giulio”, che il teste Accordino ha ricordato con assoluta certezza di avere visto nel corso del suo colloquio con il dott. Cassarà, non può essere esclusa in conseguenza del mancato rinvenimento, negli atti processuali attualmente disponibili, dell’agendina in cui essa era inserita.

In proposito, occorre premettere che il dott. Accordino non ha riconosciuto l’agenda recante l’annotazione “Giulio” nelle fotocopie esibitegli nel corso del suo esame testimoniale.

Deve, però, rilevarsi che non tutte le agende sequestrate in occasione dell’arresto dei cugini Salvo sono state inserite, in copia o in originale, nel fascicolo del presente dibattimento.

In particolare, come ha chiarito il P.M., non è stato possibile acquisire le tre agende telefoniche sequestrate nell’ufficio e nell’abitazione di Ignazio Salvo e menzionate nei verbali redatti il 12 novembre 1984 dal Nucleo Operativo del Gruppo di Palermo dei Carabinieri e dal Nucleo Regionale di Polizia Tributaria di Palermo della Guardia di Finanza, poiché le stesse sono state restituite all’interessato in data 5 settembre 1990 in esecuzione di un’ordinanza emessa il 2 agosto 1990 dalla Corte di Assise di Appello di Palermo (cfr. il verbale di restituzione del 5 settembre 1990 della Cancelleria della Corte di Assise di Appello di Palermo, prodotto dal P.M. il 19 maggio 1998 ed acquisito all’udienza del 28 luglio 1998).

Occorre, peraltro, tenere presente che per il dott. Cassarà - il quale aveva esercitato un ruolo di primario rilievo nell’operazione congiunta con cui le diverse forze di polizia avevano proceduto alla cattura dei cugini Salvo ed alle connesse perquisizioni - era certamente possibile prendere visione, in vista della prosecuzione delle indagini da lui coordinate, anche di materiale sequestrato, in occasione dell’arresto, da personale della Guardia di Finanza e dei Carabinieri.

Dai verbali di perquisizione e di sequestro si desume, infatti, che tali atti furono spesso compiuti congiuntamente da personale appartenente a diverse forze di polizia, senza una rigida ripartizione di competenze, che avrebbe impedito la realizzazione di un’attività di indagine adeguata rispetto a posizioni processuali strettamente connesse, quali erano quelle dei cugini Salvo.

E’ quindi logico ritenere che i dirigenti delle strutture investigative operanti (tra cui il dott. Cassarà) abbiano potuto esaminare tutto il materiale sequestrato, nel periodo anteriore alla trasmissione dei reperti all’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo.

Deve quindi ritenersi che l’agendina mostrata dal dott. Cassarà al dott. Accordino rientrasse tra quelle sequestrate e successivamente restituite ad Ignazio Salvo. E’, del resto, significativo che i testi Accordino ed Iacovoni abbiano concordemente espresso l’avviso che si trattasse di un’agendina sequestrata ad Ignazio Salvo. L’assunto dei testi non trova spiegazione in una mera deduzione logica fondata sulle modalità della cattura dei due cugini Salvo. Va, anzi, osservato che dai verbali di arresto si desume l’inesattezza del loro ricordo secondo cui l’intervento presso l’abitazione di Ignazio Salvo sarebbe stato effettuato da personale della polizia di stato.

Dalla documentazione acquisita si evince, invece, che a recarsi presso l’ufficio e l’abitazione di Ignazio Salvo (siti a Palermo in Piazza Vittorio Veneto n.3), per dare esecuzione al mandato di cattura emesso nei suoi confronti il 12 novembre 1984 furono militari del Nucleo operativo del gruppo di Palermo dei carabinieri e dal nucleo regionale di polizia Tributaria di Palermo della Guardia di Finanza, mentre il personale della questura di Palermo eseguì perquisizioni personali sui soggetti (Umberto Salerno e Giuseppe Cambria) che erano a bordo dell’autovettura dove si trovava Antonino Salvo al momento dell’arresto, e perquisizioni domiciliari in tre appartamenti ubicati in Via Ariosto n.12, adibiti rispettivamente ad abitazione di Antonino Salvo, ad abitazione di sua figlia Maria Daniela, nonché a sede della Immobiliare Finanziaria M.A.T.E.S. S.p.A. (per questi ultimi due immobili, le perquisizioni furono eseguite anche da militari dal Nucleo Regionale di Polizia Tributaria di Palermo della Guardia di Finanza: v. i relativi verbali di perquisizione e di sequestro).

Assume, pertanto, un preciso valore sintomatico il collegamento mnemonico stabilito dai predetti testi tra il sequestro dell’agendina e l’arresto di Ignazio Salvo. E’ infatti del tutto verosimile che tale collegamento, erroneamente ricondotto dai testi ad una loro deduzione, si riconnetta invece ad un ricordo effettivamente presente, sia pure in modo assai sfumato, nella memoria della Iacovoni e dell’Accordino, i quali fermarono la loro attenzione sugli aspetti essenziali del racconto loro fatto dal Cassarà, e conservarono solo un vago ricordo di alcuni particolari aventi carattere secondario rispetto al complessivo significato dell’episodio.

Per le considerazioni che precedono, deve affermarsi che gli elementi probatori raccolti dimostrano la disponibilità, da parte di Ignazio Salvo, del numero telefonico diretto del sen. Andreotti.

Tale fatto assume uno specifico ed univoco rilievo indiziante in ordine all’esistenza di rapporti personali che consentivano ad Ignazio Salvo di rivolgersi direttamente all’imputato contattandolo per mezzo del telefono.

Non può quindi ritenersi attendibile la versione dei fatti esposta dall’imputato, il quale nelle spontanee dichiarazioni rese all’udienza del 29 ottobre 1998 ha affermato quanto segue: «si è fantasticato in questo processo intorno a rubriche telefoniche che sarebbero state di proprietà di Nino Salvo, nelle quali taluno avrebbe rilevato il mio nome di battesimo ed il relativo numero telefonico. Due sole considerazioni, io per le ragioni già dette in precedenza non avevo ragione di dare e non ho mai dato il mio numero telefonico a Nino o Ignazio Salvo né a nessun altro membro della loro famiglia. Non vi era ragione alcuna al mondo che consentisse ai signori Nino e Ignazio Salvo addirittura di indicarmi con il mio nome di battesimo, seppure in una semplice rubrica telefonica.

Seconda osservazione: ancora si sta cercando questa rubrica e il fatto che nonostante lo zelo dell’ufficio del pubblico ministero non si sia trovata tale rubrica mi consente di dubitare che essa esista. So anche dell’esistenza di una rubrica già in possesso del signor Nino Salvo e acquisita al processo, nella quale figura la dicitura presidenza del Consiglio ed il relativo numero di telefono attivo dal 1966. Ribadito che non sono stato certamente io a dare tale numero a Nino Salvo, sottolineo comunque che l’agenda venne sequestrata a Nino Salvo nel 1984 e quindi in un anno in cui non ero io Presidente del Consiglio».

È certamente condivisibile il rilievo secondo cui l’annotazione del numero della Presidenza del Consiglio dei Ministri nella rubrica sequestrata ad Antonino Salvo non vale a dimostrare l’esistenza di rapporti diretti tra quest’ultimo ed il sen. Andreotti. E’, infatti, ben possibile che il possesso di tale numero telefonico si ricollegasse all’attività di lobbying svolta a vasto raggio da Antonino Salvo in funzione dei propri interessi economico-imprenditoriali.

Le ulteriori argomentazioni difensive sviluppate dall’imputato non possono, invece, ritenersi fondate, perché esse sono inequivocabilmente contraddette dalle risultanze processuali sopra menzionate, oltre che dagli ulteriori elementi di convincimento (esaminati nelle altre parti del presente capitolo) che dimostrano l’esistenza di un diretto rapporto personale tra il sen. Andreotti ed Antonino Salvo.

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