«Quella notte del terremoto ci dovette essere una famiglia che tirò fuori dalle macerie una donna che stava morendo e se la portarono appresso. Scappavano, scappavano ma la donna morì per la strada ed allora invece di portarsi il cadavere appresso oppure fermarsi a custodirlo, com’era il loro dovere, lo abbandonarono in mezzo alla campagna e i maiali se lo mangiarono!»
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo le inchieste de “I Siciliani”, ringraziando la Fondazione Fava che ci ha concesso la divulgazione
Quando arrivai a Montevago erano le due del pomeriggio.
C’era un sole alto e violento ed un silenzio assoluto: né rumori, né voci umane, ma solo un fenomeno stranissimo: il canto di migliaia di uccelli. Avevo immaginato che Montevago fosse come Salaparuta, cioè un paese letteralmente cancellato sul fianco della collina, un ammasso informe e grigio di macerie, ed invece tutto mi apparve diverso. Montevago sorgeva su una dolce pianura sulla cima di una piccola montagna ed era tutta gialla.
Le pietre con cui era stato costruito il paese erano tutte di questo bel colore caldo e allegro come l’oro vecchio, come le colonne dei templi nella vallata di Agrigento. Non c’era una sola casa intatta. tutto era crollato ed in rovina, ma le strade erano rimaste nitidamente tagliate sulla piccola pianura, tutte parallele e perpendicolari e le rovine delle case e dei palazzi erano allineate ordinatamente ai margini.
Rassomigliava stranamente a Pompei, con le strade diritte, il selciato ancora visibile, talune facciate ancora erette e pulite, con i balconi ben chiusi ed i portoni serrati. Molti dovevano essere stati palazzi gentilizi poiché mostravano archi di bugnato e stemmi di pietra in cima ai portoni. Dietro le facciate il vuoto.
Anche le macerie tuttavia erano state sistemate in modo da tenere sgombera la strada e dovunque, fra quelle pietre gialle, quelle facciate, cresceva una vegetazione rigogliosa, edera e margherite gialle, e fioriva violentemente il rosso di migliaia di papaveri. Montevago mi suggerì l’impressione atroce di un bel bambino morto e pietosamente composto, rassettato nell’abito e nei capelli, con i fiorellini sul grembo.
Improvvisamente vidi una cosa stranissima: cioè un uomo seduto su una poltroncina di metallo in cima ad una piccola piramide di macerie. Stava nell’atteggiamento di colui che è seduto dinnanzi ad un bar e si guarda il passeggio. Era un uomo anziano, di piccola statura, con i capelli bianchi, gli occhiali da sole ed un bel vestito grigio sul quale spiccavano il fazzoletto candido del taschino, la cravatta azzurra, e la catena d’oro sul gilé.
Dava l’impressione d’essere un signore molto per bene. Seduto lassù, con le gambe cavalcioni, egli continuò a controllarmi in silenzio con lo sguardo per tutto il tempo che io mi aggirai per la strada deserta. Solo alla fine, quando lo salutai, mi rivolse garbatamente la parola: «Non si stupisca signore! Sorveglio la mia proprietà! Tutte le case sul fianco sinistro di questa strada mi appartengono: negozi, botteghe e appartamenti di civile abitazione. Debbo stare molto attento poiché i ladri diventano sempre più temerari…»
Tutte le case sul fianco sinistro della strada erano demolite come le altre: restava soltanto una facciata azzurra con due balconi, e un bel portone dietro il quale però non c’erano altro che macerie. Il signore capì quello che stavo pensando ed annuì con un sorriso triste: «Vede questo paese? In tre minuti crollò tutto, una cosa spaventosa, la terra si apriva e si chiudeva, le case e gli uomini sprofondavano nel buio. In quei tre minuti mi ammalai gravemente di cuore: ormai basta un’ombra, un grido e mi sento subito svenire… Quella notte io rimasi anche ferito, mi caddero pietre e travi sulla testa, ero soffocato dalla polvere, sentivo la gente che piangeva e gridava nel buio e capii che il paese era finito. La rovina…!»
Allora cercai istintivamente di prendere quello che possedevo, i soldi dai cassetti, i libretti di banca, i gioielli di famiglia, anelli, bracciali d’oro e collane, ma le pietre continuarono a cadermi addosso, e mi stordirono, i miei parenti mi raccolsero così tutto coperto di polvere e di sangue e mi trascinarono via. Capisce, caro signore? Migliaia di persone quella notte lasciarono dentro le loro case tutto quello che possedevano: il denaro, i preziosi, anche gli anelli d’oro che si erano tolti dal dito ed avevano messo sul comodino prima di addormentarsi: nessuno fece in tempo a salvare niente… Montevago era un paese ricco, un bel paese! Ha visto che sagome di palazzi?»
«C’erano case di nobili e giardini, molti agricoltori usavano all’antica e tenevano i soldi nascosti, non avevano fiducia nelle banche, acquistavano oggetti d’oro e li nascondevano da qualche parte dentro le case. E quella notte si perse tutto. Per mesi e mesi la gente ha scavato in mezzo alle macerie, ha spostato massi, frugato in mezzo alle pietre ma ci sono montagne di pietre, bisognerebbe scavare questo paese fino dalle fondamenta, poi adagio adagio secernere le macerie con un crivello».
Ebbe un improvviso moto di collera e cominciò a sbattere rapidamente le palpebre, senza tuttavia scomporsi nell’atteggiamento: «Ma i ladri non si rassegnano! Io talvolta li vedo arrivare con le motociclette, percorrono adagio le vie del paese e cominciano a scavare qua e là. Delinquenti! Vengono anche di notte e scavano cunicoli sotto le macerie. In questo paese morto, si sentono di notte rumori strani e agghiaccianti.»
«Sono i ladri che scavano. Maledetti! Io non voglio che tocchino la mia proprietà, le mie cose debbono restare seppellite qui sotto, in modo che un giorno la mia famiglia ci possa fabbricare di nuovo una casa e pensare che le nostre ricchezze sono al sicuro, sotto le fondamenta… Tante cose mie ci sono qui sotto: i soldi risparmiati in trent’anni, le collane delle mie figlie, braccialetti, gli anelli con i rubini, due penne stilografiche d’oro…»
Accese una sigaretta con le mani tremanti: «Non dovrei fumare sa? Ogni tanto il cuore mi traballa, ma il vizio è vizio…» E finalmente fece un sorriso: «Sente quanti uccelli! Cantano sempre, sempre, hanno fatto il nido dovunque, sotto i cornicioni, in mezzo all’erba. Dica la verità! Montevago è bella anche ora che è morta, senta che pace, che tranquillità… Avesse visto questa strada com’era, la mia casa palazzata con i balconi di ferro battuto, la facciata azzurra, il pomeriggio mi sedevo sulla terrazza e mi godevo la proprietà…»
Continuò ancora per qualche secondo a fumare la sigaretta con avidità, come uno che ha l’abitudine di decenni a fumare, e sa fumare, ci prova gusto anche nelle ultime boccate quando la sigaretta ingiallisce le unghie… Poi si alzò lentamente, ripiegò la poltroncina di ferro e discese cautamente dalle macerie. Si inchinò: «Buonasera…» E se ne andò adagio senza voltarsi. Scomparve, lo non avevo mai sentito tanti uccelli cantare tutti insieme, senza alcun altro rumore o voce umana.
E non avevo mai visto un posto così quieto dove c’erano soltanto le tracce degli uomini, ma gli uomini erano andati via per sempre. Incontrai soltanto un altro uomo, quel pomeriggio a Montevago. Un tipo mingherlino, vestito di nero, impolverato anche sulle ciglia, come se avesse fatto un lungo cammino a piedi in mezzo alle campagne. Parlava a bassa voce: «lo vorrei partire, ma non posso, debbo prima risolvere un affare. Debbo trovare mia moglie…! Qui c’è qualcuno che sta cercando di imbrogliarmi…»
Aveva una faccia strana con una grande bocca, i denti inferiori un po’ sporgenti, e le sopracciglia alte sugli occhi. Pareva un po’ pazzo: «Mia moglie è morta, e non so dov’è, è scomparsa! Anche i miei tre figli sono morti, ma essi sono sistemati al cimitero, la cosa è certa. Invece mia moglie è morta ed è scomparsa. Io vorrei emigrare, ma se prima non trovo mia moglie come posso partire…»
Aprì il palmo della mano e ci puntò contro il dito indice dell’altra: «La mia casa era qua, venne il terremoto e si subissò. Tutta la mia famiglia era dentro la casa e rimasero tutti morti, mia moglie e i tre figli. Tirai fuori i cadaveri uno ad uno, la gente scappava come pazza per la paura, ma io scavai, lavorai, fino a quando trovai i corpi di mia moglie e dei miei tre figli, li lavai del sangue, gli pulii la polvere dei capelli. Erano loro, ed erano tutti e quattro, non ci sono dubbi. Infatti vennero i soldati a prenderli e li portarono su una campagna fuori del paese dove c’erano tutti i morti allineati. Intanto succedevano cose terribili, c’era sempre terremoto, le case continuavano a cadere e la terra si apriva, usciva fumo di zolfo. Improvvisamente mia moglie scomparve, voglio dire il cadavere di mia moglie. Non sembra una cosa da ridere…»
Gli chiesi come si chiamasse ma fece solo un impercettibile segno di diniego. Consentì col capo a certi suoi pensieri: «Le autorità mi hanno detto: “E non può essere che ti sei sbagliato?” Che significa mi sono sbagliato? Ora vedete che un uomo non riconosce nemmeno sua moglie quando è morta. L’ho tirata io da sotto le pietre, l’ho trasportata io tenendola in braccio… Era proprio lei, ma poi è scomparsa. E così non posso partire… Io vorrei emigrare in Germania, ma come faccio…? Lascio mia moglie chi sa dove, in quale tomba sbagliata…»
Sollevò l’indice e lo tenne fermo e sospeso in aria, guardandomi in silenzio: «Manca un solo cadavere in tutto il paese. Uno solo! Per esempio quanti sono stati i morti. Trecento? I corpi che sono stati seppelliti erano invece duecentonovantanove. Dicono: manca tua moglie! Nossignore: non manca mia moglie! Io lo so che cos’è successo. C’è stato un imbroglio…»
Di colpo abbassò la voce e fece svolazzare in aria le dita della mano nel gesto antico che indica un furto, una marioleria: «L’hanno rubata! In mezzo alla confusione hanno rubato il cadavere di mia moglie! Non sembra una cosa dei pazzi? E invece è così! Una cosa logica. Quella notte del terremoto ci dovette essere una famiglia che tirò fuori dalle macerie una donna che stava morendo e se la portarono appresso. Scappavano, scappavano ma la donna morì per la strada ed allora invece di portarsi il cadavere appresso oppure fermarsi a custodirlo, com’era il loro dovere, lo abbandonarono in mezzo alla campagna e i maiali se lo mangiarono! Proprio così! Perché: non lo sa che i maiali affamati sono peggio degli sciacalli…?»
«Passarono due giorni, tre giorni, ed allora quelli che fecero: appena le autorità cominciarono a contare i morti, rubarono un cadavere di donna tra quelli che erano allineati vicino alle macerie, lo misero dentro una bara e cominciarono a piangerci attorno, per fare capire che era la loro parente. I soldati che ne sapevano…? Poi ci misero un coperchio sopra e la calarono in una fossa… e io non so qual è!»
Con la mano e con la faccia fece una mossa perfetta che significava: «Visto come mi hanno sistemato?».
«Ora per avere i documenti di emigrazione e lavorare in una fabbrica dice che ci vuole il permesso della moglie. Io sono vedovo ma non risulto: ignoti trafugarono il cadavere della mia signora… che posso fare? Dice che debbo aspettare la dichiarazione di morte presunta…»
Si illuminò di un sorriso tristissimo e cominciò a scuotere lentamente la testa: «Chi ci può credere che ad un uomo succeda una tragedia così?» Aveva deposto a terra una zappa e un piccolo zaino. Se li caricò addosso e se ne andò adagio, con un passo un po’ dondolante, per una stradina in mezzo alle macerie, e guardandolo che si allontanava mi accorsi che era quasi vecchio.
Improvvisamente egli tornò indietro e si fermò con un dito levato come se volesse spiegare qualcosa, ma non riuscisse a coordinare bene le idee: «Io che volevo? Io volevo solo costruire una tomba per i miei tre figli morti! Avevo lavorato quindici anni nelle miniere tedesche per costruire una casa per i miei figli e invece il terremoto la distrusse, lo scavai tutta la notte e infine trovai i corpi dei miei figli e della mia signora, li pulii della polvere e del sangue, gli pettinai anche i capelli».
«Io volevo solo guadagnare i soldi per costruire una tomba per i miei figli… “Fatemi andare quattro o cinque anni nella Germania, nell’Australia!” “Nossignore”, dice, “non si può! Ci vuole il visto di tua moglie sul passaporto!” “Ma mia moglie è morta!” “Non risulta!” Allora io scrissi anche al Papa e al presidente della Repubblica, un giorno mi coricai sui binari della ferrovia: “E io non vi faccio passare il treno!”»
Lentamente spalancò in aria tutte le dita della mano: «Mi hanno rinchiuso cinque mesi in manicomio. Ora, dice che chi è stato in manicomio viene cancellato per sempre dall’elenco degli emigranti! Non è una cosa da ridere?» Imbruniva e non si sentiva più un uccello, tutte le macerie di Montevago erano diventate grigie, e il vecchio vi scomparve in mezzo.
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