Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Da oggi – per circa un mese – pubblichiamo sul Blog mafie l’ordinanza di rinvio a giudizio “Torretta+120”, che ricostruisce dinamiche e omicidi della mafia di Palermoù


Il primo luglio 1963 il legale rappresentante della Società di Navigazione Tirrenia, denunziava al Procuratore della Repubblica che due caseggiati di sua proprietà, in località Borgo Nuovo, erano stati saccheggiati da ignoti ladri.

A seguito delle indagini svolte i Carabinieri della Stazione CC. Uditore procedevano alla denunzia di Pietro Torretta, quale autore del furto, in base alla considerazione che costui, essendo guardiano dei due fabbricati, aveva avuto la possibilità di commettere o far commettere il furto, durante la latitanza, a cui si era dato sin dal 19 giugno 1963.

Le argomentazioni dei verbalizzanti non sono affatto convincenti, perché non é credibile che Pietro Torretta, mentre era attivamente ricercato dalle forze di Polizia abbia avuto modo e interesse di asportare dagli appartamenti della S.p.A. Tirrenia gli accessori, descritti nel verbale di sopralluogo del 10 luglio 1968, del modesto valore di £.50.000.

E' da ritenere piuttosto che ignoti ladruncoli, approfittando dell'assenza del Torretta che dopo il 19 giugno non fu più in grado di svolgere le sue mansioni di guardiano, si siano introdotti negli appartamenti in questione, usando le chiavi lasciate appese alle porte d'ingresso, e commettendo, in una o più riprese, il furto lamentato.

Del resto nessun sospetto viene formulato dalla S.p.A. Tirrenia a carico del Torretta, riconoscendosi che costui, proprio a causa della latitanza, non poteva più accudire alla sorveglianza degli immobili affidati alla sua custodia.

Dalla denunzia in questione si ricava soltanto una conferma di quanto si é già esposto circa la posizione di prestigio del Torretta nella borgata Uditore e i suoi oscuri legami col costruttore Di Piazza, risultando che fu proprio questo a segnalare ella Società Tirrenia il nome del Torretta. Pertanto l'imputato deve essere prosciolto dal reato ascrittogli alla lettera d/2) dell'epigrafe, per non aver commesso il fatto.

Omicidio di Diana Bernardo

La sera del 22 giugno 1963, verso le ore 21, in via Piedilegno all'altezza dei numeri civici 15 e 17, il commerciante Diana Bernardo, mentre era al volante della sua autovettura Fiat 500 veniva raggiunto ed ucciso da numerosi colpi di pistola e di lupara, sparati da malviventi che se ne stavano a bordo di una Giulietta nera fermatasi trasversalmente accanto all'auto del Diana

Si accertò che costui proveniva dal proprio negozio di piazza S.Oliva e che era passato da via Piedilegno per accompagnarvi il suo amico Mancuso Salvatore che abitava al numero civico 17.

Il Mancuso, dopo aver provveduto a soccorrere il Diana trasportandolo all'ospedale di Villa Sofia, tentò di allontanarsi senza farsi identificare, ma fu raggiunto e fermato dal Carabiniere di servizio.

Dalle indagini svolte risultò che Diana Bernazdo (o Dino) era da tempo legato ai peggiori esponenti della mafia e implicato in loschi traffici, dai quali aveva certamente ricavato i mezzi che gli avevano consentito, in breve tempo, di abbandonare il mestiere di meccanico, di aprire un negozio di accessori di automobili in società col figlio di Francesco Paolo Bontate, a nome Stefano, e con Tale Cusimano Salvatore, di acquistare un appartamento per il prezzo di £.6.500.000 e di effettuare frequenti viaggi in continente.

Il cognato del Diana, a nome Francesco Cassarà, ha parlato della assiduità di Sorce Vincenzo, Calò Giuseppe, Giaconia Stefano, Buscetta Tommaso, Anselmo Rosario, Riina Giacomo, Greco Nicola e Paolo nel negozio del Diana, dove venivano non come clienti ma allo scopo di incontrarsi con quello.

Nel citato rapporto della Polizia Tributaria la figura di Diana Bernardo é messa in evidenza come contrabbandiere di tabacchi e stupefacenti, nonché per i suoi oscuri rapporti con Sorci Antonino, Accardi Gaetano, Di Pisa Calcedonio ucciso il 26 dicembre 1952, Badalamenti Gaetano da Cinisi (amico di Cesare Manzelle ucciso il 26/4/1963), Mazzara Giacinto, Pennino Gioacchino, Vitrano Arturo.

Non può mettersi perciò in dubbio che l'assassinio di Diana Bernardo maturò nel quadro della lotta feroce scatenatasi tra le opposte cosche mafiose per ragioni di supremazia e per il controllo su determinate illecite fonti di lucro.

La società di Diana Bernardo con Stefano Bontate denota che Diana si era schierato con la cosca capeggiata da Bontate Francesco Paolo e dai Greco, per cui é da ritenere che la sua uccisione sia stata opera del gruppo avversario capeggiato da Pietro Torretta e Buscetta Tommaso.

Sono però rimasti avvolti nel mistero i motivi che armarono la mano degli assassini di Diana Bernardo. Perciò pur potendosi affermare che l'omicidio fu opera di elementi della cosca avversaria, non si é affatto in grado, in mancanza di ogni indizio, di attribuire agli odierni imputati, vale a dire a Pietro Torretta a Buscetta Tommaso e ai loro gregari Cavataio Michele, Sorce Vincenzo e Badalamenti Pietro la responsabilità del delitto.

In conseguenza i predetti devono essere prosciolti dai reati loro ascritti alle lettere i), 1) ed m) della epigrafe per insufficienza di prove.

Quanto a Mancuso Salvatore non si é nemmeno proceduto nei suoi confronti per concorso nell'omicidio del Diana, perché i sospetti formulati sul suo conto quale complice e informatore degli assassini, non hanno trovato alcuna conferma. La parte ambigua da lui rappresentata nella sanguinosa vicenda ha avuto, però, il suo peso, come già si é detto, in ordine all'imputazione di associazione per delinquere.

Omicidio di Leanforte Emanuele

La sera del 27 giugno 1963, verso le ore 20,30, in viale Lazio, due conosciuti uccidevano a colpi di pistola il proprietario del Supermercato "Trinacria" a nome Leonforte Emanuele, il quale se ne stava dentro il negozio vicino alla cassa, con le spalle rivolte all'ingresso da cui si affacciarono gli assassini.

Costoro si davano alla fuga a bordo di un'Alfa Romeo Giulietta che attendeva in via Sciuti, quasi all'angolo con il viale Lazio, e venivano di sfuggita notati da un funzionario di P.S., il commissario Pinelli Francesco, che si trovava nella sua abitazione.

Anche per l'omicidio in esame le indagini svolte consentono di affermare che esso é un anello della sanguinosa catena iniziatasi il 26 dicembre 1962 con la uccisione di Calcedonio Di Pisa.

Leonforte Emanuele era im noto s pericoloso mafioso di Ficarazzi, commissionario del mercato ortofrutticole, arricchitosi rapidamente tanto da poter aprire un supermercato in una delle zone più popolose della nuova Palermo.

E sintomatico come egli sia riuscito ad ottenere dal vice-sindaco di Ficarazzi, Vincenzo Martorana, in data 11/11/1958 ed 11/8/1959 due certificati di buona condotta, per l'iscrizione all'albo dei commissionari del mercato.

Anche nei rapporti col personale il Leonforte diede prova della sua contorta mentalità di mafioso, imponendo ai suoi dipendenti paghe veramente incredibili, varianti da £-13.000 a £.18.000 mensili.

Secondo notizie non controllate, il Leonforte avrebbe dato il segnale di via libera agli autori della sparatoria contro la pescheria Impero, il 19 aprile 1963 in cui rimasero feriti Stefano Giaconia e Crivello Salvatore.

In merito all'omicidio di Leonforte Emanuele devono ripetersi le medesime considerazioni già fatte per l'omicidio di Diana Bernardo.

Pur essendovi la certezza che il delitto costituisce un episodio del conflitto di cui si é parlato e che il Leonforte, per la sua posizione al mercato ortofrutticolo e per la sua origine da Ficarazzi, paese vicino a Villabate e alle contrade Villagrazia e Ciaculli, era legato al gruppo mafioso cosiddetto di Palermo Orientale, non vi sono elementi per affermare che la responsabilità di esso debba attribuirsi agli imputati Pietro Torretta, Michele Cavataio, Buscetta Tommaso a Vitrano Arturo, i quali perciò devono essere prosciolti dai reati loro ascritti alle lettere n), c) e p) dell'epigrafe per insufficienza di prove.

© Riproduzione riservata