Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà alcuni stralci del suo libro, “C'era una volta il pool antimafia”, edito da Zolfo Editore


L’altra innovazione che da lì in poi caratterizzò l’azione del pool fu una maggiore collaborazione e sinergia con l’ufficio del pubblico ministero.

Se le indagini sulla criminalità organizzata comune o mafiosa erano adesso di competenza del pool, cioè di un gruppo di giudici istruttori specializzatosi nella materia, era necessario che, anche in Procura, l’andamento dei processi che erano stati “formalizzati” fosse seguito, sin dall’inizio, da uno stesso gruppo di sostituti in stretto collegamento con i giudici del pool. In modo che, adottate nel corso dell’istruttoria le loro conclusioni propedeutiche al provvedimento dei giudici istruttori, fossero poi gli stessi sostituti a sostenere l’accusa in dibattimento.

Era invece accaduto in precedenza che, anche in procedimenti delicati e complessi, l’accusa venisse sostenuta in dibattimento da sostituti diversi da quelli che avevano partecipato alla fase istruttoria, ai quali difettava quindi quella approfondita, personale conoscenza della complessa attività di indagine svolta in precedenza.

Tra i sostituti impegnati nelle inchieste di mafia, il punto di riferimento del pool, e in particolare di Falcone, era Giuseppe Ayala, magistrato dalle indubbie capacità professionali e persona estroversa, brillante, bon vivant, praticamente l’opposto di Giovanni.

Ayala, oltre ad avere collaborato assiduamente e proficuamente con Falcone, è stato anche una presenza importante per Giovanni, soprattutto in alcuni momenti difficili della sua vita.

Inoltre, come accennavo in precedenza, una svolta nel nostro lavoro è derivata dalla collaborazione di un piccolo ma competente drappello di uomini della Guardia di Finanza, perché per espletare indagini in campo bancario e finanziario erano necessarie specifiche competenze che noi non possedevamo.

E infatti iniziava così la lettera con la quale il consigliere Caponnetto, il 13 dicembre 1983, chiedeva al comandante del nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo il distacco di finanzieri per almeno otto mesi: “In relazione alla natura, complessità e urgenza degli atti istruttori da compiersi in alcuni procedimenti pendenti presso quest’Ufficio e nei quali è stata acquisita una copiosa documentazione bancaria e contabile, rivolgo viva preghiera alla S.V. Affinché voglia assegnare due sottufficiali al compito esclusivo di svolgere la loro opera di Ufficiali di Polizia Giudiziaria presso l’Ufficio di Istruzione”.

La domanda venne accolta e sotto il comando dell’allora capitano Ignazio Gibilaro, oggi generale di corpo d’armata e comandante dell’area dell’Italia Meridionale della Gdf, iniziò a lavorare con noi quel gruppo che Antonino Caponnetto ringraziò con una nuova lettera al momento della sua partenza da Palermo. “Senza l’apporto della Guardia di Finanza – scrisse – non sarebbe stato possibile effettuare complesse e numerose indagini bancarie e patrimoniali che hanno contribuito a far ottenere notevoli risultati giudiziari”.

Caponnetto in quell’occasione volle elencare i loro nomi, a partire dal capitano Gibilaro, per passare al maresciallo capo Angelo Crispino (per me “il mitico maresciallo Crispino”), ai brigadieri Domenico Schimizzi, Antonino Castelli, Cosimo Dimagli, Filippo Longo e poi ai vice-brigadieri Antonio Condello e Franco Bosco. Li ricordo tutti, uno per uno, questi finanzieri.

Dovevano restare per “almeno otto mesi”, si sono fermati per molti anni.

La collaborazione con gli uomini della Guardia di Finanza fu una fonte di arricchimento per noi magistrati, dotati soltanto di cognizioni giuridiche. Come testimonia la risposta che dava sempre, scherzando, Paolo Borsellino quando gli chiedevano se avesse fatto corsi o studi particolari per affrontare le questioni del riciclaggio e delle indagini bancarie: il suo unico rapporto con le banche

consisteva solo nei prelievi e mai nei versamenti, perché non aveva una lira da versare.

Come lo capivo!

© Riproduzione riservata