Sembra un paradosso ma non lo è: Carola Rackete disobbedisce per far rispettare le regole. Lo ha fatto nel 2019, come capitana della Sea Watch 3: ha sfidato un blocco navale per condurre in salvo i migranti a Lampedusa, e ogni accusa contro di lei è stata archiviata dai giudici. Salvare vite era un diritto. Lo fa anche oggi, seduta sopra un campo di Lützerath: assieme ad altri attivisti per la giustizia climatica, presidia il fazzoletto di terra dell’ultimo contadino resistente. Una compagnia energetica vuole espropriare quel terreno per estendere una miniera. «Ma non avevamo firmato l’accordo di Parigi per il clima?».

Oggi lei si collega a un evento milanese organizzato dai verdi europei, lo European Ideas Lab. Matteo Salvini e Giorgia Meloni non hanno neppure aspettato di ascoltarla. Da giorni attaccano lei, e Beppe Sala perché è con lei.

Io non commento nemmeno.

«Proporranno più clandestini e degrado?», ha twittato Salvini. La usa come capro espiatorio?

Bisognerebbe chiederlo a lui.

Come si spiega il fatto che chi si impegna per la collettività sia attaccato con questa insistenza?

La storia è piena di movimenti sociali e persone che sono state minacciate o intimidite perché chiedevano giustizia e uguaglianza. Non mi sorprende che avvengano questi attacchi, e partono sempre da chi detiene il potere, dal patriarcato bianco: reagisce con violenza perché si sente sfidato dai giovani, da chi reclama i suoi diritti.

Che cosa dirà oggi all’evento?

Porterò il mio approccio alla questione ambientale. Contesterò il paradigma dominante, secondo il quale si può essere green senza mettere in discussione un sistema economico che si basa sull’illusione di una crescita infinita. Sa perché alle elezioni tedesche non ho votato per i Verdi? Proprio perché sostengono una crescita verde, mentre le due cose insieme sono in contraddizione.

Non è soddisfatta delle elezioni in Germania?

Penso che i movimenti sociali per il clima, nel mio paese, siano molto più avanti dei partiti.

Senza giustizia sociale non c’è neppure quella ambientale?

Vede, il tema dell’ambiente in sé può essere usato, ed è stato usato nel corso della storia, anche dalla destra estrema. L’argomento della protezione della propria terra è stato usato persino da Marine Le Pen. Il cuore della questione per me è che i problemi climatici sono la conseguenza di una serie di ingiustizie sociali: se non affrontiamo quelle, non c’è salvezza. Mentre noi, nel nord ricco, ipersfruttiamo le risorse, escludiamo il sud globale persino dalle decisioni.

L’Ue sul green deal è ipocrita?

Certo. Il green deal Ue è completamente insufficiente, inoltre ci sono così tante contraddizioni: durante la crisi pandemica ad esempio sono stati dati sussidi a settori inquinanti come quello dell’aviazione, la nuova politica agricola non si allontana dalla vecchia perché sostiene un’agricoltura di stampo industriale. Bruxelles continua a parlare di crescita mentre è di redistribuzione che dovremmo discutere: c’è chi ha troppo e chi non ha niente. Serve una critica radicale.

In che punto della sua storia personale è arrivata a questa consapevolezza?

Molti anni fa ho partecipato a una spedizione scientifica al Polo Nord; ho parlato tanto con gli scienziati. E mi raccontavano di come per vent’anni erano stati ignorati. Mancava la volontà politica per dar loro retta. Ho capito allora che non basta sapere cosa dicono le scienze dure: bisogna anche imparare dalle scienze sociali. Ciò che intendo è che non c’è cambiamento se non cambiano le strutture di potere.

Qual è il ruolo della disobbedienza civile in tutto questo?

Può essere uno strumento molto potente: significa stare nel luogo dove un danno sta per accadere e prevenirlo in prima persona in maniera pacifica. Una azione diretta può essere più incisiva di una simbolica. Avrei potuto stare a Berlino, sotto i palazzi dove si decide la coalizione, e invece ho preferito questa occupazione in Renania, su una terra di un contadino che sta per essere espropriato da una compagnia carbonifera: cerco di impedire che sia cacciato lui per estendere una miniera.

Si dedica solo a questo?

Tutto il tempo. Ho deciso tempo fa che avrei fatto il denaro minimo necessario e avrei fatto politica il più possibile.

Chi c’è con lei? I Fridays?

Greta è passata sabato, molti Fridays partecipano, la lotta è comune ma il movimento di occupazione è molto più radicale. Si tratta di occupazioni auto-organizzate e anarchiche. Ne ho fatte altre in passato, anche prima che i Fridays esistessero. L’anno scorso abbiamo occupato una foresta e il confronto con la polizia è durato dieci settimane.

Perché Rackete sceglie i più radicali? E cosa la motiva?

Parlo con tanti attivisti africani o dell’America Latina, sudanesi, colombiani, e loro per azioni come queste rischiano la vita. Io ho il privilegio di essere bianca e di non essere discriminata dalla polizia. Devo usare questo privilegio per pretendere che i nostri governi rispettino le leggi, gli accordi e le convenzioni che loro stessi hanno siglato. Vale per il diritto all’asilo e per gli accordi di Parigi. I governi li siglano e non li rispettano: chi è l’anarchico, io o loro?

In Italia lei è un simbolo. Onore o onere?

I media si divertono a focalizzare l’attenzione su ciò e su chi vogliono, mentre tanti attivisti vengono ignorati. Di positivo credo di aver lasciato la voglia di prender posizione: penso al movimento delle sardine, fatto di tante persone che sono uscite dal silenzio. Ai più giovani dico: fate gruppo, organizzatevi.

La pandemia ci sta isolando?

Sì, e acuisce le ingiustizie. Penso alla grave responsabilità che ha il mio paese, la Germania, nel difendere la proprietà dei brevetti dei vaccini. Spero che un nuovo governo sblocchi la situazione. Il diritto alla cura non può essere privilegio di pochi. Prima del profitto, ci siamo noi, tutti.

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