Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dal 29 luglio è iniziata la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna e ha squarciato il velo su alcuni mandanti


Ritornando al tema di questa parte, le acquisizioni probatorie sul Golpe Borghese costituiscono uno dei più eclatanti casi di protezione e depistaggio attuati dal SID nei primi anni Settanta in favore di ufficiali e uomini dei servizi appartenenti alla P2, loggia cui aderivano gli stessi Maletti e il suo subordinato tenente colonnello Romagnoli.

La collaborazione del capitano Labruna è uno dei principali "successi" investigativi del giudice istruttore di Milano.

Nel corso della testimonianza resa a partire da giugno 1991, avente inizialmente ad oggetto altri temi investigativi (Ordine Nuovo, l’identificazione dei partecipanti a un nuovo tentativo di golpe in preparazione nei primi mesi del 1973) il capitano Labruna dichiarava di volere deporre su deviazioni verificatesi nel reparto D del SID, negli anni in cui ne aveva fatto parte come responsabile del NOD.

Abbiamo accennato all’esigenza di riabilitazione personale alla base della scelta di collaborare. Il capitano Labruna raccontò al magistrato di essersi infiltrato tra gli uomini di Borghese, spiegando di volere contribuire al nuovo golpe in preparazione. Entrò quindi in contatti con Remo Orlandini ed altri. Acquisita la fiducia di costoro, ne ottenne le confidenze che provvide a registrare a loro insaputa.

Fondamentalmente Labruna si attribuiva il merito di avere svolto, fra il 1973 e il 1974, con successo la sua attività informativa sul golpe Borghese e sul progetto della Rosa dei Venti, riuscendo con il suo impegno ad ottenere da Orlandini e Lercari, nel corso di una quindicina di colloqui, un gran numero di notizie utili.

Tali notizie, unitamente alle relative prove documentali, erano state successivamente occultate dal generale Maletti e dal tenente colonnello Romagnoli. Ricordava al giudice le missioni per rintracciare Borghese a Madrid e Delle Chiaie a Barcellona nel rispetto delle regole. Al contrario ammetteva di avere cooperato da subalterno a condotte illecite quali l’organizzazione dell’espatrio di Marco Pozzan e Guido Giannettini.

Non informato da Maletti, non poteva rendersi conto della complessa manovra in cui si inseriva la copertura di tali personaggi. Dopo l’arresto e durante il processo per Piazza Fontana, non aveva potuto muoversi liberamente, dovendo sottostare alle direttive dei superiori e dello stesso Maletti. Labruna produceva un testo scritto riportante tali direttive.

Negli anni successivi era stato completamente abbandonato dai suoi superiori, rimanendo come unico capro espiatorio. Un passaggio interessante della sentenza riguarda la strumentalizzazione di Labruna a fini di ricatto: “Essendo il soggetto meno forte, il suo nome era stato utilizzato costantemente ogniqualvolta si era reso necessario, soprattutto da parte di Stefano Delle Chiaie, per architettare una versione depistante e inquinante di qualche episodio nell’ambito dei ricatti e degli avvertimenti che Delle Chiaie, dopo le reciproche compromissioni, inviava periodicamente all’ambiente dei Servizi che lo avevano sempre protetto e dovevano continuare a proteggerlo.”

Seguivano alcuni eclatanti esempi di tali depistaggi e una interessante illustrazione di come le strategie difensive degli imputati e dei loro protettori all’interno dei servizi, apparentemente contrastanti, seguissero in realtà un percorso contrassegnato dall’inserimento di ipotesi depistanti, verità parziali e mezze bugie, in modo da creare un ingorgo processuale ed una indecifrabilità della materia istruttoria.

Bersaglio di accuse fantasiose, amareggiato da tali esperienze e dall’avere pagato per tutti ed anche per colpe non sue, Labruna si apriva sulle organiche "deviazioni" che avevano caratterizzato l’azione del SlD. Riferiva su episodi inediti e permetteva di collegare circostanze di cui era sfuggita l’importanza.

A conferma della serietà della collaborazione, Labruna sin dalle prime deposizioni produceva copie di nastri magnetici, da lui sino a quel momento conservati, consistenti nelle registrazioni dei suoi colloqui con Orlandini, molte delle quali mai trasmesse dai Direttori del SID alla magistratura e due bobine registrate dallo stesso Labruna durante un colloquio avvenuto il 30 e il 31 maggio 1974 nell’appartamento del SlD di Via degli Avignonesi, fra il tenente colonnello Romagnoli e le “fonti” Torquato Nicoli e Maurizio Degli Innocenti.

Labruna produceva anche un cospicuo materiale documentale utilizzabile nell’inchiesta.

Emergevano una serie di dati che erano stati fino a quel momento occultati sulle trame ordite in quegli anni dal SID in combutta con le centrali eversive; di esse tanto si è detto a livello giornalistico e storico, ma la base documentale e probatoria resta questo documento giudiziario.

Si tratta, in sintesi:

1. dell’attività informativa svolta dal servizio sul golpe Borghese e sulla Rosa dei Venti; fonte le registrazioni delle confessioni di Remo Orlandini, successivamente manipolate ed epurate dal reparto D, proprio per evitare che divenisse di pubblico dominio il coinvolgimento in tali progetti di alti ufficiali, di Licio Gelli e di parte della massoneria, nonché la partecipazione ai progetti golpisti di ambienti militari americani;

2. della relazione di Guido Paglia (braccio destro di Delle Chiaie), mai trasmessa da Maletti all’a.g. sul ruolo svolto da AN nel golpe Borghese e sugli avvenimenti della notte fra il 7 e 1’8 dicembre 1970;

3. di analoga relazione rimessa a Labruna da Guido Giannettini, sempre sul golpe Borghese, dalla quale i responsabili del Reparto D avevano soppresso la nota relativa all’ammiraglio Giovanni Torrisi affinché non ne emergesse il suo coinvolgimento nei fatti del 1970;

4. della provocazione ai danni dell’avvocato Lazagna, militante di estrema sinistra (scoperta di falsi documenti compromettenti);

5. dei contatti fra Maletti e Massimiliano Fachini, materialmente tenuti da Labruna, sui quali Maletti aveva imposto il silenzio a Catanzaro;

6. della presenza del Fachini e di Giannettini nell’operazione organizzata dal SID per fare espatriare il Pozzan in Spagna (Pozzan aveva cominciato a fare rivelazioni su piazza Fontana e l’espatrio protetto dal SID era finalizzato a sottrarlo agli interrogatori);

7. delle informazioni sulla provocazione di Camerino, acquisite da Labruna, tramite Guelfo Osmani.

Nella sentenza si dà atto delle conferme e dei riscontri ricevuti alle dichiarazioni di Labruna. Per tutte qui possiamo fare riferimento alle dichiarazioni di Vincenzo Vinciguerra, confermate avanti a questa Corte.

Venendo direttamente al tema del golpe Borghese, Labruna riferiva al giudice Salvini che, nel 1973, a tre anni dal tentativo del principe Borghese – ormai latitante in Spagna – gli uomini del Fronte nazionale coltivavano nuovi progetti golpisti; grazie a uno dei personaggi coinvolti, un armatore napoletano; fu messo in contatto con Remo Orlandini che incontrò in più occasioni, con l’autorizzazione di Maletti. Orlandini si aprì e fornì informazioni sul tentativo del dicembre 1970 che Labruna registrò, come già detto, integralmente all’ insaputa dell’interessato.

Remo Orlandini era un costruttore romano tra i capi del Fronte Nazionale. Labruna riuscì a farlo parlare, presentandosi come uomo del SID e fingendo una sostanziale benevolenza del Servizio e sua personale, verso il progetto del Fronte Nazionale. Orlandini finì col raccontare tutto ciò che sapeva sui progetti golpisti precedenti e su quelli ancora in corso.

Il 29 marzo del 1974 Labruna incontrò Attilio Lercari, genovese, amministratore della Piaggio, uno dei principali finanziatori della congiura. Nel frattempo aveva convinto a collaborare con il SID altri due congiurati. Costoro peraltro erano collaboratori consapevoli. Si trattava dell’odontotecnico di La Spezia, Torquato Nicoli, in campo la notte dell’8 dicembre 1970 e dell’avvocato di Pistoia, Maurizio Degli Innocenti, esponente di rilievo del Fronte Nazionale.

Degli Innocenti aveva deciso di collaborare, temendo che l’evoluzione politica avrebbe determinato a seguito del golpe una vera e propria guerra civile, ma anche perché dissenziente rispetto alla presenza all’interno dei progetti golpisti, di affaristi ed esponenti della massoneria quali Licio Gelli.

Il SID disponeva pertanto di un panorama completo non solo di quanto avvenuto fra il 7 e 1’8 dicembre del 1970, ma anche dei nuovi piani in gestazione e provvisoriamente rinviati anche per il fallimento degli attentati al treno Torino-Roma del 7 aprile 1973 di Nico Azzi e dell’attentato alla questura di Milano di Gianfranco Bertoli, il quale, come si dirà, doveva concludersi con l’omicidio del ministro dell’Interno Rumor.

Le registrazioni dei colloqui venivano trascritte dai marescialli Esposito e Giuliani del NOD. Erano consegnati al gen. Maletti ed al col. Romagnoli i quali dirigevano l’operazione informativa.

Nell’estate del 1974 tutto il materiale era pronto ad essere trasfuso dal colonnello Romagnoli in un rapporto con numerosi allegati. Alla fine di luglio si era svolta una riunione nell’ufficio privato del ministro della difesa, Andreotti, alla presenza dell’ammiraglio Casardi, nuovo Direttore del SID e del Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Enrico Mino.

Partecipavano Maletti, Romagnoli e Labruna con l’incarico di fare ascoltare le registrazioni.

Tutto il materiale raccolto fu messo a disposizione dell’uomo politico.

L’on. Andreotti, al termine della riunione, aveva consigliato i responsabili del SID di "sfrondare il malloppo". Vennero così depennati nomi importanti e venne fortemente ridimensionato il ruolo ricoperto dalla struttura occulta di AN nel golpe Borghese.

Il “malloppino” venne così trasmesso all’A.G. di Roma con una lettera di Andreotti e ridiede vitalità all’inchiesta sul golpe. L’iniziativa diede l’opportunità di attrarre a Roma l’istruttoria condotta a Padova dal G.L Tamburino sulla Rosa dei Venti e quella condotta a Torino dal G.I Violante sul gruppo di Edgardo Sogno e Luigi Cavallo.

Fu Andreotti a dire espressamente che bisognava salvaguardare il buon nome degli ufficiali coinvolti e non coinvolgere le forze armate in trame politiche. Nel prosieguo Maletti estromise Labruna dalle indagini. Con la rimozione di Maletti dal servizio e lo scioglimento del NOD l’archivio non ufficiale della struttura operativa andò disperso. Labruna aveva tuttavia conservato le copie dei nastri e dei brogliacci mai consegnati alla magistratura.

Solo alla fine del 1991 se ne ebbe però notizia ufficiale. Il capitano Labruna chiamato a testimoniare dal Giudice Salvini si presentava con "una vecchia e impolverata borsa marrone, rimasta certamente in custodia per molti anni presso una persona di sua fiducia". La borsa conteneva dieci bobine sul talloncino delle quali era apposta a mano la dicitura Furiosino, nome in codice utilizzato dai Servizi negli anni 1973/1974 per indicare l’azione informativa condotta tramite i colloqui con Remo Orlandini. Erano le registrazioni di tutti i colloqui svoltisi fra il cap. Labruna e Remo Orlandini (ed in un caso anche con Attilio Lercari e con la "fonte" Torquato Nicoli).

[…] Le notizie fornite da Orlandini e da Lercari si saldavano con quelle fornite dall’avv. Degli Innocenti e da Nicoli con riferimenti a contatti con esponenti americani e alla messa in allarme della flotta U.S.A. di stanza nel Mediterraneo nella notte fra il 7 e 1’8 dicembre 1970.

Sintetizzando il contenuto delle trascrizioni riportate in sentenza, risulta che nell’incontro

del 18 gennaio 1973, Remo Orlandini indica il generale Giovanbattista Palumbo, Comandante della Divisione carabinieri Pastrengo, iscritto alla P2, come uno dei congiurati del golpe. In altro successivo colloquio Orlandini spiegava come fossero attivati i contatti con gli americani e che intermediario tra il Fronte Nazionale e lo stesso Presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon era stato il costruttore romano Gianfranco Talenti. I contatti con gli americani erano stati mantenuti fino a quel momento e costoro erano al corrente del progetto in corso nella prima metà del 1973.

Orlandini raccontava inoltre che il capo della massoneria di Arezzo, Licio Gelli, da lui stesso definito una "potenza" e uomo senza scrupoli - era stato uno dei primi ad aderire al Fronte Nazionale e che sin dal periodo precedente al tentativo del 1970, almeno 3.000 ufficiali iscritti alla massoneria avevano aderito ai gruppi golpisti, pronti al “momento x” ad essere al fianco del tentativo di mutamento istituzionale.

Il ruolo di Licio Gelli, negli anni 1973/1974, non sembrava importante come nel 1970. Gelli era stato uno dei primi aderenti al Fronte, ma negli anni successivi era stato emarginato "perché troppo poco idealista e troppo assetato di potere e di denaro", "truffaldino", "capace di qualsiasi azione", "legato alla mafia", coinvolto in "loschi affari". La sentenza ordinanza dà atto dei riscontri acquisiti in ordine alle relazioni di Gelli con ambienti ’ndranghetisti e con ufficiali di polizia compromessi.

Osserva il giudice istruttore che gli "eloquenti riferimenti di Remo Orlandini a Licio Geli i assumono particolare valore ed attendibilità in quanto all’epoca, e cioè nei primi anni ’70, la figura di Licio Gelli era pressoché sconosciuta e solo molti anni dopo sarebbero venuti alla luce non solo i suoi contatti con la destra eversiva, ma anche la sua vocazione affaristica e l’abilità nel contattare e controllare funzionari dello Stato tramite prestiti e ricatti ed ancora più tardi sarebbero venuti alla luce i contatti, almeno sul piano finanziario, con ambienti della criminalità organizzata".

Orlandini parla del tenente colonnello Pietro Cangio li in servizio presso lo Stato Maggiore dell’Esercito, Reparto SIOS, in posizione delicata. Il suo nome era stato cancellato, secondo la testimonianza del capitano Labruna, su richiesta del generale Maletti, anche da una delle registrazioni consegnate alla magistratura.

Uomo di collegamento con gli americani era in quel momento, oltre al dr. Gianfranco Talenti, l’ing. Hugh Fenwich, direttore della Selenia. L’intervento della flotta americana era già previsto per il tentativo del 1970 ed erano stati nuovamente presi contatti diretti con gli americani per un intervento analogo in relazione ai progetti in corso in quel momento.

Due delegati del gruppo di Orlandini nella loro qualità di professionisti erano stati invitati a due conferenze della NATO a Vicenza e a Livorno, alle quali erano presenti imprenditori, professionisti ed ex ufficiali. In tali circostanze il generale Francesco Mereu aveva offerto ai due delegati il suo appoggio e, quale garanzia di tale disponibilità, la consegna di un notevole quantitativo di armi di provenienza militare e il versamento di una somma su un conto svizzero.

Gli accordi erano stati definiti, il versamento era stato regolarmente effettuato ed era poi iniziata la consegna delle armi, alcune centinaia, ad altri delegati del Fronte, poi sospesa per ordine di Orlandini per non correre rischi, non essendo il golpe imminente. Le armi già entrate nella disponibilità del gruppo di Orlandini erano già state nascoste.

Gli appoggi al gruppo di Orlandini e al gruppo di civili della Rosa dei Venti da parte delle strutture militari erano quindi assai vasti e solidi; il racconto di Remo Orlandini fu considerato del tutto verosimile, anche alla luce dell’identificazione nel corso della stessa istruttoria di una struttura militare, occulta ma ufficiale, sovraordinata negli anni 1971/1973, ai gruppi di civili ed in grado di coordinarli e dirigerli.

Tale struttura fu quella dei Nuclei difesa dello Stato di cui parleranno a Salvini, Amos Spiazzi ed Enzo Ferro. Plausibile che il ruolo di fornitore di armi, al momento opportuno, fosse stato affidato al colonnello Antonio Calabrese (iscritto alla P2 con la tessera n.485).

Il generale Mereu, sino all’aprile del 1973, aveva rivestito l’importante carica di Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ed il suo nome compare negli elenchi degli iscritti alla P2 con il n. 490. Remo Orlandini elencò al capitano Labruna un elevato numero di alti ufficiali dell’Esercito e dei Carabinieri, di funzionari di Polizia, di professionisti, di diplomatici e di magistrati militari aderenti al progetto di golpe e pronti ad accedere alle cariche del nuovo Governo che sarebbe stato costituito.

Tutti nomi depennati dal rapporto del SID, in linea con la scelta di operare una "destabilizzazione controllata" dell’area di destra, in sintonia con i nuovi tempi politici che rendevano impraticabili progetti apertamente golpisti.

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