Si è rivelata pienamente fondata l'ipotesi su cui il G.I. di Padova stava lavorando nel 1973, prima di essere spogliato dell'istruttoria, e cioè che l'attentato del 7 aprile 1973 e gli altri che dovevano seguire su altri convogli ferroviari non fossero altro che il detonatore che doveva far partire il piano del gruppo Rosa dei Venti e delle strutture militari parallele che lo muovevano e dirigevano
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci dell’ordinanza del 18 marzo 1995, “Azzi+25” di Guido Salvini, il giudice che a Milano provò, a più di vent’anni di distanza dai fatti avvenuti, a far condannare responsabili e complici di una stagione di sangue
Le testimonianze di Ferro, di cui ancora si parlerà più avanti nel capitolo dedicato al ruolo di Amos Spiazzi, meritano di essere riportate ampiamente al fine di comprendere la sintonia fra il gruppo in cui era stato quasi controvoglia inserito e i fatti dell'aprile 1973.
In data 6.9.1991, Enzo Ferro ha ripreso il discorso interrotto nel febbraio 1977:
"Prendo atto che l'Ufficio è interessato a valutare quanto contenuto nella mia testimonianza al G.I. di Trento in data 21.2.1977 nell'ambito del processo che allora era in corso per alcuni attentati avvenuti a Trento nel 1971... In sostanza posso dire che quanto dichiarai al G.I. di Trento nel 1977 corrisponde a quanto avevo sentito e di cui ero stato messo al corrente durante il mio servizio militare presso la caserma "Duca di Montorio" dall'inizio del 1970 sino alla data del mio congedo, prima del Natale dello stesso anno, e nei giorni immediatamente successivi quando ancora ebbi occasione di parlare, a Trento, con Giulio VENEZIANI (un componente della cellula trentina, nota Ufficio) che era mio conoscente.
Quanto dissi allora fu quindi detto in piena coscienza, anche perchè ero estremamente preoccupato del significato delle cose che avevo sentito ed in quanto la mia origine politica e culturale è sempre stata ben diversa da ipotesi eversive essendo io vicino al cattolicesimo progressista.
Proprio per questa ragione fu in un certo senso strano che il maggiore SPIAZZI, il quale era entrato in confidenza con me nel senso che si comportava in modo corretto ed amichevole, mi abbia proposto di entrare a far parte di quel gruppo di civili e militari che costituivano la cellula veronese della "Rosa dei Venti".
Di quanto avvenne posso specificare che partecipai ad una sola riunione collegata ai discorsi che mi erano stati fatti. Si tratta della riunione di cui ho già parlato al G.I. di Trento, anche se in questo momento non ricordo se sia avvenuta in una casa privata o in un Circolo di Verona.
Propenderei per la seconda ipotesi. Erano presenti una trentina di persone e c'era una sorta di istruttore che dava l'impressione di essere un ufficiale dell'Esercito, comunque non di Verona.
Parlava dei vari tipi di esplosivo e del modo di usarli.
I discorsi politici erano del tenore che non si dovevano fare attentati con perdita di vite umane, ma che comunque una serie di episodi dimostrativi, che avrebbero dovuto essere attribuiti alle forze estremiste di sinistra, avrebbero facilitato, con l'intervento soprattutto dell'Esercito, un ristabilimento dell'ordine e ricostituito uno Stato forte.
A quella riunione, Amos SPIAZZI era presente e tutte le persone si chiamavano in codice.
Fui presentato anch'io da SPIAZZI con un nome in codice che fu usato, comunque, solo quella volta. Tra i nomi in codice usati durante la riunione ricordo, DELTA e AQUILA. Non ricordo quello che mi era stato assegnato. Questa riunione avvenne nel settembre/ottobre 1970… Dopo di ciò entrai in crisi ed ebbi un forte esaurimento nervoso anche perchè in quei mesi morì di malattia la mia fidanzata di allora che abitava in Trentino. Quindi, quando nel dicembre 1970 ricevetti il foglio di congedo, mi trovavo già a casa mia a Trento in convalescenza. Di questi fatti ho avuto poi, come ho già detto, solo occasione di parlare a Trento con il Veneziani il quale mi disse che alcuni Carabinieri si muovevano in modo analogo al nucleo di Verona mentre a ciò erano completamente estranei la Questura e la Guardia di Finanza". Enzo Ferro, resosi conto che questa volta l'Ufficio titolare dell'indagine era intenzionato ad approfondire le responsabilità, in data 1°.7.1992 ampliava e completava il suo racconto:
"Prendo atto che ROBERTO CAVALLARO ha confermato nella sostanza il mio racconto. Ne sono contento perchè quella che ho raccontato è semplicemente la verità e sono stato disturbato per anni, in seguito, dopo il mio congedo per non avere voluto, poi, agire concretamente in favore della cellula che mi aveva contattato a Verona. Infatti sono stato disturbato continuamente perchè volevano tenermi agganciato anche dopo la fine del servizio militare.
Tornando alla riunione, posso aggiungere che c'erano tre civili che si occupavano di trasmissioni, che era considerato un settore importante, e ci si lamentava della carenza di militari in quel settore.
Si diceva che bisognava guardarsi dalla Polizia, ma soprattutto dalla Guardia di Finanza perchè era fedele alle Istituzioni, mentre tutti i Carabinieri erano stati contattati in modo capillare. Questi discorsi venivano fatti mentre a noi presenti si spiegava anche se in modo teorico l'uso dei vari esplosivi. Ricordo, ad esempio, che ci venne spiegato che il fulmicotone doveva stare sempre in soluzione per non esplodere. A questa riunione c'era anche BAIA Francesco, che aveva una villa fuori Verona; ricordo che una volta recuperò un M.A.B., penso un residuato di guerra, al quale mancava l'otturatore e glielo fece mettere dall'officina di SPIAZZI. Giravano nel gruppo casse di cartucce non residuati di esercitazioni militari, ma proprio casse di cartucce calibro 9 parabellum nuove, di dotazione NATO. Venivano da Vicenza dove c'era la base dalla NATO.
Posso meglio spiegare la mobilitazione che ci doveva essere quella notte di sabato, poche settimane prima del mio congedo, nel Natale del 1970. Il Maggiore ci disse di tenerci pronti in camerata, con gli abiti borghesi, e che poi avremmo dovuto essere portati nella zona di Porta Bra a Verona, nella sede dell'Associazione Mutilati e Invalidi di guerra, dove si stampava il giornaletto del MOVIMENTO DI OPINIONE PUBBLICA.
Io ero molto agitato e preoccupato; BAIA era con me ed era eccitato per quanto stava per accadere. Ci fu detto chiaramente che dovevamo intervenire e che non potevamo tirarci indietro e che, giunti al punto di raccolta, saremmo stati armati e portati nella zona dove dovevamo operare come supporto al colpo di stato.
Tutte le cellule di civili e militari avrebbero dovuto intervenire. Tuttavia nella notte vi fu il contrordine, era verso l'una e trenta e ce lo comunicò direttamente il maggiore SPIAZZI, dicendoci che il contrordine veniva direttamente da Milano. Non ne ho mai saputo il motivo, anche se all'epoca, se glielo avessi chiesto, forse lo avrei saputo.
In caserma, come aderente a quel gruppo avevo tutte le facilitazioni, giravo in borghese, avevo il compito di portare documenti, ho accompagnato una volta il maggiore SPIAZZI a Trento in una caserma di artiglieria. Ho portato documenti sigillati, affidatimi da SPIAZZI, a Bergamo, a Verona, a Milano: A Milano l'incarico era in questi termini: dovevo scendere alla Stazione centrale, attendere che una persona mi dicesse una parola d'ordine, tipo AQUILA o simile, consegnare la busta e ripartire. In sostanza facevo il postino e non andavo personalmente nei posti ove i documenti erano realmente diretti.
Non ho potuto spiegare bene cosa è avvenuto dopo il mio congedo. Io ero molto frastornato, volevo sganciarmi dall'ambiente anche perchè, paradossalmente, non ho mai avuto quelle idee ed ero stato proprio trascinato dentro durante il servizio militare. Il motivo per cui mi hanno coinvolto era perchè ero topografo e quindi, occupandomi di carte militari, il mio ruolo era utile.
In sostanza, a Trento c'era una cellula parallela a quella di Verona di civili e militari che preferisco non indicare e la cui attività è proseguita dopo il 1970. Continuavano a cercare di coinvolgermi anche se io avevo già rifiutato la proposta di SPIAZZI di essere reclutato con una paga governativa di 300.000 al mese per continuare a far parte di una organizzazione che era un settore del S.I.D. che operava al di fuori delle regole. Io avevo rifiutato, ma almeno fino alla fine del 1973 fu assai difficile sganciarmi del tutto e vedevo in una grande preoccupazione perchè in una città piccola come Trento si è sempre sotto controllo. Io venivo contattato da persone che non intendo nominare, alcune delle quali, ma non tutte, sono quelle nominate nei vari processi svoltisi per le bombe di Trento. Però c'erano anche dei personaggi più grossi dei quali non mi è proprio possibile fare i nomi, comunque sempre personaggi di Trento".
E sopratutto, sull'attentato del 7 aprile 1973: "Non era bene comprensibile dalle precedenti dichiarazioni il distacco di tempo fra la notte di mobilitazione di cui ho parlato e l'episodio del progetto di attentato su un treno. Questo fatto era stato progettato per l'aprile del 1973 e mi si disse che quella era la data perchè "i tempi erano maturi" e "anche a Roma erano d'accordo". Il treno era il BRENNERO-ROMA che partiva da Monaco e l'ordigno doveva essere lasciato nella toilette a Verona ed esplodere qualche ora dopo, essendo il congegno ad orologeria, esattamente un timer. Doveva esplodere all'altezza di Bologna e comunque essere dimostrativo e senza vittime. Questo episodio doveva essere contemporaneo all'altro sul treno TORINOGENOVA-ROMA che fallì in quanto AZZI, di cui mi fu fatto il nome, si fece scoppiare il detonatore tra le gambe. Mi fu detto che con questi due episodi si doveva chiudere il triangolo e far scattare il piano della dichiarazione dello stato di emergenza, dopodiché tutto sarebbe stato più facile. Il Gruppo che doveva operare a Verona era ovviamente di verso da quello di Milano e tutta la struttura era fatta di cellule in cui solo un componente conosceva il capo dalla cellula di altri posti. Mi fu detto che per l'episodio sul BRENNERO-ROMA il contrordine era venuto da Milano una volta appreso del fallimento dell'attentato sul treno TORINO-GENOVA-ROMA. La resposanbilità dei due episodi doveva ricadere sulla sinistra e l'opinione pubblica avrebbe chiesto una reazione forte e decisa.
Questi particolari sull'episodio non riuscito e sul collegamento con il primo episodio concomitante fatto dal gruppo milanese li appresi a Trento un paio di mesi dopo da una persona che addirittura non si preoccupò di parlarne per telefono e poi mi volle anche incontrare di persona. Mi disse che io dovevo sapere le linee generali della vicenda, anche se io non ne volevo sapere, perchè diceva che io ero dentro nel gruppo e non potevo più uscirne. Non era una persona di Trento, ma di fuori e io non lo avevo mai visto prima, si presentò con il suo nome in codice. La mia impressione era che facesse parte del gruppo che avevo frequentato durante il servizio militare, ma non saprei dire altro. L'incontro dopo la telefonata avvenne in Piazza Dante, davanti alla Stazione ferroviaria di Trento. Ricordo che la persona era accompagnata da altre due che rimasero a distanza e che la persona mi conosceva perchè mi battè con la mano su una spalla presentandosi.
Il senso del discorso era anche di lusinga perchè mi fu detto che se accettavo di impegnarmi avrei avuto anche una sistemazione in termini di impiego magari in un ente pubblico. Io dissi che veramente non ne volevo più sapere ed effettivamente dalla fine del 1973 cominciò ad allentarsi la pressione su di me". Ed ancora, sulle coperture offerte dai Carabinieri di Trento così simili a quelle prestate a Milano in analoghe occasioni di trasporti di armi da parte del M.A.R. di cui ha parlato Gaetano ORLANDO (cfr. deposiz. in data 5.6.1992): "Nel medesimo contesto a Trento, ma non in quell'incontro, venni a sapere che non c'era nessun problema per il trasporto di armi essendo sufficiente segnalare il tipo ci macchina, ricordo che veniva usata una 127, e anche esponendo un fazzoletto bianco al di fuori; bisognava dare l'indicazione ai Carabinieri e soprattutto guardarsi dalle pattuglie della Guardia di Finanza.
In un'occasione avvenne, per quanto ne seppi, un disguido e tale BIONDARO fu fermato.
Preciso che il ruolo che dovevo mantenere dopo la fine del servizio di leva non era un ruolo operativo, cioè trasporti di armi o simili, ma un ruolo informativo a cui ero più portato: quindi raccogliere informazioni e trasmettere documenti. Tutto ciò mi dava l'impressione di costanti contatti con i Servizi. Faccio ancora presente che durante l'incontro in Piazza Dante, il mio interlocutore, nonostante il fallimento dei due episodi, mi disse che il progetto era ancora in piedi e che dopo la riuscita del colpo di stato, per noi tutta sarebbe stato più facile.
A domanda dell'Ufficio, ero genericamente al corrente che c'erano dei contatti con la Valtellina.
A domanda dell'Ufficio, non mi chieda di rispondere sul coinvolgimento dei Carabinieri di Trento e di aggiungere altro. Ne parlai il 21.2.1977 e quello è sufficiente. Preciso che le informazioni che avrei dovuto dare al gruppo erano soprattutto sull'ambiente di sinistra di Trento che allora era abbastanza consistente. Faccio presente che circa due mesi fa vi è stata un'azione dimostrativa contro la mia vettura, che è stata distrutta. Ho ricollegato l'episodio con la mia precedente deposizione dinanzi a Lei e sono molto preoccupato perchè il giro è sempre lo stesso e la matrice dell'episodio io anche se camuffata è chiaramente di destra. Sull'episodio del treno BRENNERO-ROMA non posso aggiungere altro; il gruppo che doveva agire era comunque quello di Verona che era addestrato ad azioni simili".
Ed infine, nel corso dell'ultima testimonianza in data 28.4.1994:
"A domanda dell'Ufficio, per quanto riguarda l'incontro a Trento dinanzi alla Stazione, posso confermare che mi fu detto che l'attentato di AZZI doveva essere seguito nel giro di poche ore da altri due botti su treni e che tale piano avrebbe aiutato a cambiare il governo e al mutamento istituzionale. La persona che mi disse ciò non l'avevo vista mai a Verona, ma due o tre volte a Trento allorchè continuamente mi lusingava con offerte anche di lavoro e di un compenso mensile, ad entrare nell'organizzazione con compiti informativi sul territorio. Infatti diceva che nonostante il fallimento dell'attentato di AZZI e del progetto conseguente, la macchina era ancora in moto.
Mi dava decisamente la sensazione, per come si presentava, di essere una persona legata ad apparati dello Stato ed infatti quando finì l'incontro davanti alla Stazione io, portandomi sul ponticello che si trova nei giardini vicini, notai che si allontanava con una macchina targata Roma e con il bollo argentato del "servizio di Stato" e che presso la macchina lo avevano atteso due persone".
L'esistenza di un progetto di altri due gravi attentati su treni quasi contemporanei a quello del 7 aprile 1973, bloccati all'ultimo momento dopo l'arresto di Nico Azzi, era aleggiata durante il processo, svoltosi nel 1974 dinanzi alla Corte d'Assise di Genova, seppure solo sulla base di brevi allusioni del giovanissimo MAURO MARZORATI e sulla base di anonime voci confidenziali che erano pervenute agli inquirenti. Infatti nell'interrogatorio reso in data 18.1.1974 al G.I. di Genova, dr. Giovanni Grillo, Mauro Marzorati si era lasciato sfuggire, dopo aver affermato che l'ingresso de La Fenice nel M.S.I. era una copertura per le azioni che si dovevano compiere, che l'attentato cui aveva preso parte """"era l'inizio o il prosieguo di un piano ben preciso e più vasto per creare disordini e tensioni" (vol. 7, fasc. 1, f. 118).
Inoltre, il 7 aprile 1973 era stato rinvenuto a Brescia un biglietto anonimo in cui si faceva chiaro riferimento a due bombe da collocare su due treni che partivano dal Brennero in direzione di Firenze e di Verona (cfr. vol. 7, fasc. 1, ff.52 e 60). Si ricordi che proprio i convogli del BRENNERO EXPRESS sono stati indicati da Enzo Ferro come gli obiettivi degli altri due attentati che non avevano potuto avere luogo. Vi è da chiedersi cosa sarebbe avvenuto a Milano il 12 aprile 1973, in occasione della grande manifestazione della maggioranza silenziosa, se tale appuntamento avesse seguito di pochi giorni tre stragi su convogli ferroviari attribuibili all'estrema sinistra a seguito di rivendicazioni telefoniche e altri accorgimenti quali la preordinata esibizione di copie del quotidiano "Lotta Continua" da parte degli attentatori, così come aveva fatto Mauro Marzorati il 7 aprile sul treno Torino-Roma.
Comunque il sospetto è divenuto certezza: si è rivelata pienamente fondata l'ipotesi su cui il G.I. di Padova stava lavorando nel 1973, prima di essere spogliato dell'istruttoria, e cioè che l'attentato del 7 aprile 1973 e gli altri che dovevano seguire su altri convogli ferroviari non fossero altro che il detonatore che doveva far partire il piano del gruppo Rosa dei Venti e delle strutture militari parallele che lo muovevano e dirigevano.
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