Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà alcuni stralci del libro “C'era una volta il pool antimafia” edito da Zolfo Editore


Il lavoro che dovevamo affrontare era comunque immane. E nell’attività investigativa, oltre alla collaborazione degli uomini della Guardia di Finanza, va rimarcato che la collaborazione con la magistratura di altri Stati, in particolare la Svizzera, ci fece conseguire risultati insperati.

Per il compimento di atti istruttori in altri Paesi è necessario ricorrere all’istituto della rogatoria, la cui funzione è quella di rendere possibile, per l’autorità giudiziaria, non solo l’espletamento di atti processuali ma anche la raccolta di elementi di prova presso una diversa autorità giudiziaria, italiana o straniera.

L’esperienza maturata in tanti anni aveva insegnato a tutti noi che spesso le rogatorie venivano espletate con ritardo o in modo insoddisfacente perché il giudice richiesto era già impegnato in altre indagini, alle quali dava, comprensibilmente, la precedenza. E allora l’intuizione vincente fu di andare personalmente in altri Paesi a compiere atti o acquisire documenti e a conoscere i colleghi con i quali intrattenere rapporti di collaborazione.

Un’iniziativa che il consigliere aggiunto Marcantonio Motisi più volte aveva bollato come “turismo giudiziario”!

Falcone fu autorizzato a recarsi in Svizzera per una rogatoria. In quell’occasione conobbe Carla Del Ponte, procuratrice di Lugano, la più giovane in servizio in quell’ufficio, alla quale era stato comunicato che un magistrato italiano, anzi siciliano, un certo Giovanni Falcone, si era voluto scomodare per venire fin lassù, chissà perché... Da allora ebbe inizio un sodalizio professionale e un saldo rapporto di amicizia che diede frutti eccezionali.

A sua volta il magistrato elvetico venne a Palermo per interrogare esponenti mafiosi che, confidando sull’impenetrabile segreto bancario svizzero, avevano acceso conti correnti a loro nome sui quali pendevano delle indagini.

Lo stesso Salvatore Riina venne interrogato da Del Ponte, alla quale, in tono aggressivo, chiese perché fosse venuta fino a Palermo per perdere tempo, visto che si era rifiutato di rispondere alle sue domande. Poi alla fine, con un classico atteggiamento mafioso, si scusò.

Proprio lei, Carla Del Ponte, era presente a Palermo – come spiegherò meglio più avanti – il giorno del fallito attentato a Falcone, il 21 giugno del 1989, e chissà quanto questa vicinanza contribuì a che il muro del segreto svizzero, a un certo punto, iniziasse a cedere.

Un giorno arrivò la notizia che le autorità elvetiche erano pronte a consegnare copia della documentazione bancaria relativa a Vito Ciancimino.

Un’informazione riservatissima e clamorosa alla quale doveva darsi seguito nell’immediato perché un’eventuale fuga di notizie avrebbe rischiato di mandare a monte l’operazione.

Subito venne allertata la Guardia di Finanza che si occupò di ritirare la documentazione presso un istituto di credito di Chiasso e di consegnarla a Falcone, quasi fosse un importante trofeo.

In effetti, era come se il Palermo calcio avesse vinto la Coppa dei Campioni, ma lo sapevamo solo noi; e dubito che in certe zone della città, se alcuni mafiosi l’avessero saputo, ci sarebbero stati grandi festeggiamenti.

Oggi, come sappiamo, a distanza di tantissimi anni, il “metodo Falcone” è comunemente utilizzato, con risultati mai raggiunti prima, in Italia e all’estero.

© Riproduzione riservata