Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà alcuni stralci del suo libro, “C'era una volta il pool antimafia”, edito da Zolfo Editore


La nostra vita privata consisteva nella saltuaria frequentazione della famiglia del notaio Tumbarello, alla sua prima assegnazione a Niscemi, e in quella, più assidua, con la famiglia, originaria di Salerno, del signor Sabato Voto, amministratore del feudo (ubicato in territorio di Niscemi) dell’ambasciatore Raffaele Guariglia, già ministro degli Esteri del Regno d’Italia e senatore del Partito Nazionale Monarchico. Con i Voto, che abitavano di fronte, si instaurò una sincera amicizia, che contribuì a non farci sentire soli; e la nostra bambina ben presto venne “adottata” da tutti.

Per il resto, nessuna frequentazione con gli avvocati del Foro, con i quali intrattenevo rapporti del tutto formali, non accettavo inviti a cena dai soci del più importante circolo del paese e non andavo al cinema perché il figlio del titolare era imputato in un procedimento pendente davanti la mia Pretura. Ritenevo che, essendo la sola autorità giudiziaria del posto, non fosse opportuno intrattenere altre frequentazioni oltre quelle con le famiglie Tumbarello e Voto, per le quali nutrivo la massima fiducia.

E con il sindaco sotto processo per danneggiamento?

Solo rapporti istituzionali. Ricordo ancora la folla incuriosita di cittadini che il giorno dell’udienza si radunò davanti la Pretura.

Naturalmente avevo un ottimo rapporto di collaborazione con il maresciallo Alampi, comandante della Stazione dei Carabinieri (dopo tanti anni, l’ho rivisto a Palermo con l’incarico di responsabile del servizio di traduzione dei detenuti), con il quale “ripulimmo” la zona da un buon numero di malavitosi, tra i quali un certo Salvatore Arcerito che mandammo al soggiorno obbligato, misura di sicurezza all’epoca in vigore. Ricordo che poco tempo prima la moglie di Arcerito bussò alla porta della nostra abitazione. A mia moglie, che aveva aperto, spiegò il motivo della “visita”, implorando che il marito non fosse allontanato da Niscemi. Tirò fuori da sotto il mantello che indossava un coniglio vivo, pregando di accettarlo in segno del rispetto che il marito nutriva nei miei confronti.

Lei venne subito mandata via e il marito inviato al soggiorno obbligato, in quanto pericoloso delinquente. Soltanto molti anni dopo ho appreso che si trattava del capo della “famiglia” mafiosa di Niscemi.

C’è un altro episodio che non dimentico. Avevo preso servizio a Niscemi da appena qualche giorno e nottetempo venni informato che era stato rinvenuto un cadavere alla periferia del paese. Accorsi sul posto. Si trattava di un omicidio, il primo fatto di sangue di cui mi sono dovuto occupare.

A Niscemi cambiarono anche le nostre abitudini di vita quotidiana, drasticamente. Per le cose più banali, che a Niscemi non erano affatto banali. Per esempio l’acqua.

Non c’era l’acqua corrente, servizio al quale eravamo abituati a Milano ma anche a Palermo. Uno choc per noi.

Dovevamo arrangiarci come facevano tutti. Riempire la vasca da bagno per fare scorta, usare i recipienti... avevamo la casa piena di bidoni. Era preziosissima l’acqua, la cosa più preziosa che c’era a Niscemi.

Quando lasciavamo il paese, io e Lidia ci accorgevamo di uscire da quel mondo dall’asfalto che scivolava sotto le ruote della nostra macchina.

Quando si rientrava nel mondo “normale”, in provincia di Catania, l’asfalto diventava meno ruvido, più liscio. Per noi era il segnale che stavamo rientrando a casa. A Palermo, dove c’erano tutti i nostri affetti. Quel viaggio era una vera e propria epopea: con la mia gloriosa Fiat 850 di color bianco puntavamo verso sud, in direzione di Gela e Licata, e dopo ci dirigevamo verso la Valle dei Templi. Per poi ‒ da lì ‒ “risalire” verso nord attraverso la vecchia strada statale, con la prua verso l’agognata Palermo. Un viaggio massacrante di circa cinque ore. Con frequenti soste, anche perché le condizioni delle strade all’epoca “agevolavano” il mal d’auto di mia moglie Lidia... Un’altra epoca davvero. Ricordi in bianco e nero.

Dopo Niscemi, via a Termini Imerese, città distante circa 45 chilometri da Palermo, dove, tra il mese di gennaio 1971 e il mese di febbraio 1979, ho ricoperto le funzioni di Pretore Mandamentale prima e dopo quelle di giudice “tutto fare” presso il Tribunale.

Niscemi era stata una buona palestra, visto che lì mi ero occupato di tutto e le sentenze le redigevo dettandole in presa diretta al dattilografo “prestato” dal Comune.

Avevo maturato una preziosa esperienza sia nel settore penale che in quello civile, per cui non ebbi difficoltà a svolgere le relative funzioni sia come giudice monocratico sia come componente dei collegi civili e penali. Nell’ultimo periodo di permanenza a Termini Imerese mi vennero affidate le funzioni, indovinate quali?, sì, proprio quelle di giudice istruttore, tanto per non perdere l’abitudine!

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