Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro–tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza di primo grado che ha assolto l’ex presidente del Consiglio Giulio Andreotti. La sentenza di secondo grado, confermata in Cassazione, ha accertato invece che – fino alla primavera del 1980 – Andreotti aveva avuto rapporti con i boss Cosa Nostra


Nei successivi interrogatori davanti all’autorità giudiziaria italiana, il Buscetta continuò a rifiutarsi di rispondere sul tema dei rapporti tra mafia e politica.

Un radicale mutamento nell’atteggiamento del collaboratore di giustizia è riscontrabile nell’interrogatorio dell’11 settembre 1992 (acquisito al fascicolo per il dibattimento, trattandosi di atto compiuto nell’ambito di una commissione rogatoria internazionale), in cui il Buscetta, con riguardo all’omicidio dell’on. Lima, ha dichiarato quanto segue:

«premetto che questo argomento si inserisce in una situazione estremamente complessa, che richiederebbe lungo tempo per potere essere spiegata e documentata.

Infatti, per comprendere le vere ragioni di questo omicidio, bisogna andare molto indietro nel tempo, e spiegare quali rapporti esistevano, fin dagli anni Sessanta, tra Cosa Nostra, gli ambienti politici e gli ambienti giudiziari.

In questo momento, ritengo un mio dovere morale dare un contributo alle indagini su questo delitto, poiché ritengo che ciò sarebbe stato considerato giusto dal dott. Giovanni Falcone, cui, anche in questo momento, vanno i miei più sentiti sentimenti di stima ed ammirazione per ciò che ha fatto nell’interesse della Giustizia.

I tragici omicidi del dott. Falcone e del dott. Borsellino mi hanno colpito profondamente e, dopo dolorosa riflessione, mi hanno indotto a rivedere il mio recente atteggiamento di non disponibilità a rispondere su questi argomenti. (...)

L’on. Lima era figlio di un uomo d’onore. Infatti, il padre, il cui nome era forse Vincenzo, apparteneva alla famiglia di Salvatore LA BARBERA (Palermo Centro).

Io lo conobbi personalmente e lo frequentai anche fino al 1963, allorché andai via da Palermo per la prima volta.

Non mi risulta, invece, che fosse uomo d’onore lo stesso Lima Salvatore. Riterrei, anzi, di escluderlo, poiché l'avrei saputo certamente da SALVO Ignazio e Salvo Nino, uomini d’onore della famiglia di Salemi, specialmente nelle circostanze di cui fra breve parlerò.

Negli anni Sessanta, io personalmente ebbi più volte contatti con il Lima Salvatore, al quale mi rivolgevo quando avevo bisogno di favori. (...)

Normalmente, non mi incontravo personalmente con lui, ma prendevo i contatti attraverso Brandaleone Ferdinando. (...)

Proprio nell’estate del 1980, io mi incontrai personalmente, mentre ero a Roma ospite nella casa di Pippo Calò, con il Lima. (...) Invero, l’incontro era stato richiesto dallo stesso Lima, tramite il Nino Salvo, il quale si trovava in quel periodo anche lui a Roma (...).

In quel periodo, tra gli esponenti di Cosa Nostra, Lima era particolarmente vicino a Bontate Stefano. Infatti, egli era politicamente in contrasto con Ciancimino Vito, a sua volta legato a Totò Riina ed ai corleonesi.

Peraltro, non era neppure il Bontate il tramite diretto cui ci si rivolgeva per contattare l’on. Lima. Detto tramite, invece, era costituito dai cugini Nino ed Ignazio Salvo.

Ho motivo di ritenere che, dopo l’omicidio del Bontate, sempre il Salvo Ignazio abbia continuato ad essere - insieme a Nino (fino alla morte di questo) - il tramite degli altri esponenti di Cosa Nostra, a partire da Totò Riina. (...)

Mi consta che Lima Salvo era effettivamente l’uomo politico a cui principalmente Cosa Nostra si rivolgeva per le questioni di interesse dell’organizzazione, che dovevano trovare una soluzione a Roma.

Per la verità, mi risulta anche, personalmente, che esponenti di primo piano di Cosa Nostra hanno avuto contatti politici a Roma, utilizzando come “ponte” i cugini Salvo, anche senza l’intervento di Lima Salvo».

Nel successivo interrogatorio del 6 aprile 1993 il Buscetta ha integrato ulteriormente le proprie dichiarazioni, affermando:

«Mi sono indotto a riferire quel che di seguito dirò, nonostante che persistano in me notevoli perplessità circa le conseguenze delle mie dichiarazioni.

Faccio riferimento non solo ad eventuali conseguenze di carattere personale (quel che dirò fa sì che io debba temere non solo più Cosa Nostra), ma anche alle possibili - se non prevedibili - conseguenze di carattere generale, politico e/o giudiziario, che il livello toccato dalle mie odierne dichiarazioni potrà causare.

Ricollegandomi agli ultimi interrogatori da me resi a magistrati della procura di Palermo, intendo definitivamente sciogliere le riserve che allora avevo ritenuto di fare, poiché ero convinto che non fosse ancora giunto il momento per affrontare argomenti di una delicatezza estrema.

Oggi posso subito precisare che il “referente politico nazionale”, cui Lima Salvatore si rivolgeva per le questioni di interesse di Cosa Nostra, che dovevano trovare una soluzione a Roma, era l’onorevole Giulio Andreotti.

Questa mia affermazione si basa da un lato su quello che ho sentito in carcere – dal 1972 al 1980 – da uomini di Cosa Nostra (...); dall’altro sul fatto che me l’avevano esplicitamente detto i cugini Salvo. Quanto a Lima io non ho mai appreso da lui qualcosa che esplicitamente riguardasse questo suo rapporto con Giulio Andreotti relativamente a Cosa Nostra.

Preciso altresì, ricollegandomi ancora una volta a quanto già ebbi parzialmente ad anticipare in precedente interrogatorio (11 settembre 1992), che Lima Salvatore non era l’unico tramite tra i più importanti esponenti di Cosa Nostra e l’onorevole Andreotti.

Dissi infatti, in quell’interrogatorio, che esponenti di primo piano di Cosa Nostra avevano avuto contatti politici a Roma, utilizzando come “ponte” i cugini Salvo, anche senza l’intervento dell’onorevole Lima (...)».

Ai limitati fini della valutazione delle dichiarazioni che formano oggetto del presente capitolo, deve osservarsi che le motivazioni esplicitate dal Buscetta forniscono una logica spiegazione del fatto che egli abbia deciso di affrontare il tema dei rapporti tra mafia e politica soltanto a distanza di diversi anni dall’inizio della sua collaborazione con la giustizia.

Ne consegue, quindi, che la modificazione del contenuto delle dichiarazioni accusatorie del collaborante, intervenuta a seguito delle stragi del 1992, non ne implica la complessiva inattendibilità, discendendo da un genuino ripensamento, e non dall’adeguamento ad altre risultanze processuali.

Il travagliato percorso attraverso cui il Buscetta è giunto a porre a disposizione dell’autorità giudiziaria il proprio patrimonio conoscitivo in ordine alle vicende che formano oggetto del presente capitolo denota, altresì, la mancanza di animosità ed il disinteresse del collaborante, ferma restando la necessità di una approfondita verifica critica delle sue dichiarazioni in relazione a ciascuno degli episodi da lui riferiti, allo scopo di distinguerne il contenuto rappresentativo da quello valutativo, di individuare le eventuali sovrapposizioni di ricordi, di controllare l’affidabilità delle sue asserzioni de relato.

Nel caso di specie, le dichiarazioni del Buscetta sono caratterizzate da un elevato grado di attendibilità intrinseca, poiché riguardano vicende nelle quali egli è stato personalmente coinvolto ovvero argomenti su cui egli ha appreso precise notizie da fonti sicuramente credibili, si sostanziano in una narrazione dettagliata, puntuale ed esente da contraddizioni logiche interne, e si ricollegano ad una spontanea scelta collaborativa.

Le affermazioni del Buscetta sul ruolo ricoperto dai Salvo nell’ambito di "Cosa Nostra" e sui loro rapporti con i massimi esponenti dello schieramento “moderato” dell’illecito sodalizio trovano conferma nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Antonino Calderone e Salvatore Cucuzza.

© Riproduzione riservata