Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci del “Processo alla Sicilia”, il libro che raccoglie trentacinque inchieste di Pippo Fava, direttore de “I Siciliani”, ucciso con cinque colpi di pistola il 5 gennaio del 1984 a Catania


Dieci anni or sono ci fu un piccolo terremoto che gli abitanti di Caltanisetta nemmeno avvertirono. Fu così lieve, un alito appena delle profondità, che non fu registrato nemmeno dai sismografi. Le gallerie della miniera Tumminello però si schiacciarono, il soffitto delle gallerie combaciò di colpo con il pavimento e tutti gli uomini che stavano a mille metri sottoterra scomparvero. Non dovettero nemmeno soffrire: un tonfo, e la luce del pozzo che porta sù, sulla faccia della terra, si spegne di colpo come una candela. Quindici uomini, fra cui il direttore della miniera, morirono così: un mattone di migliaia di tonnellate che cade su quindici formiche. Dodici corpi furono tratti dalle viscere della montagna dopo alcuni giorni, ma di tre si perse memoria. Sono stati ritrovati dieci anni dopo da alcune squadre di minatori che scavavano una nuova galleria: li hanno riconosciuti da alcuni brandelli di indumenti ancora intatti, da una collanina d’oro, da un anello, da un orologio da polso fermo all’ora ed al secondo della sciagura.

La miniera di zolfo interpreta puntualmente la tragedia del Sud in modo così perfetto che teatro, cinema, letteratura l’hanno ritenuta una situazione esemplare per narrare la miseria dell’uomo. Nella miniera di zolfo infatti tutto lo spettacolo della miseria è perfetto. Anzitutto essa è una miniera povera in un paese povero. In secondo luogo coloro che scendono a scavare lo zolfo sono gli stessi che non hanno potuto vincere altrimenti la loro battaglia per l’esistenza. Nella miniera di zolfo non troverete mai un contadino che aveva terra buona da coltivare, né l’artigiano che sapeva fabbricare scarpe e le vendeva a buon prezzo, né lo studente fallito che aveva ancora la speranza di un posto, né il meccanico che sapeva riparare automobili. Chi rischierebbe altrimenti la vita o si farebbe divorare il petto dallo zolfo? La verità è che le miniere di ferro, di carbone, di zolfo, ci sono nel mondo, e bisogna che ci siano anche esseri umani che ci si calino dentro.

Indiscutibilmente essi sono però coloro che non hanno avuto alternativa. I vinti. In una miniera di zolfo si può morire in molti orribili modi. Basta non riempire con materiale di riporto le gallerie che a mano a mano vengono sfruttate, perché la montagna frani di colpo e schiacci la galleria con tutti coloro che ci stanno dentro. Può esplodere il grisou, il gas che si annida nelle viscere della terra fra uno strato impermeabile e l’altro. Se trova una fiamma esplode: prima gli uomini vengono dilaniati e sui moribondi sprofonda poi la montagna. Anni or sono otto tecnici e sorveglianti della miniera Trabia, durante un giorno di sciopero, scesero in una galleria deserta. Qualcuno aveva una torcia, un lume a fiamma libera: dalla cima del pozzo s’udì un breve, orribile urlo, che rimbalzava da un’oscurità all’altra.

Era il grisou che aveva straziato quegli otto infelici. Si può morire per soffocazione: lo zolfo è materiale infiammabile, divora se stesso in un baleno; il fumo spinto dalle correnti d’aria avanza da una galleria all’altra e chi non riesce a fuggire è finito. Lo zolfo è giallo come l’odio ed è vile. Ha una polvere impalpabile, invisibile che si respira con l’aria, che macera i polmoni, non c’è rimedio: dopo trent’anni di lavoro nelle gallerie gli uomini hanno l’asma, respirano come avessero una pietra di cinquanta chili sul petto. Appare quasi naturale che le miniere di zolfo siano nel Sud, dove lo scadimento della condizione umana ha la perfezione di uno spettacolo. Tutto contribuisce allo spettacolo. Nel fondo delle miniere i carrelli sono ancora tirati dagli asini: gli animali vi sono calati dentro quando ancora sono giovani e vigorosi, hanno visto poche cose sulla faccia della terra, un prato, una stalla, qualche nerbata, un po’ di paglia fresca. E non vedranno più niente, poiché laggiù tireranno infiniti carrelli nel buio e lentamente diventeranno ciechi, di loro risalirà all’aria e alla luce solo una povera carogna grigia. La zolfara non è soltanto un dramma umano, ma è anche un grottesco politico. Ascoltate.

Anzitutto non è vero che lo zolfo sia un minerale povero e che non sia utile all’industria moderna; viceversa esso è prezioso poiché serve a quasi tutto, a fabbricare esplosivi, fertilizzanti, prodotti chimici, fiammiferi, medicinali, disinfettanti. Il motivo della sua crisi è che nessuno vuole lo zolfo siciliano: tutte le nazioni del mondo preferiscono comperare lo zolfo americano, di qualità altrettanto buona e il prezzo infinitamente minore. Anche per questo un motivo c’è: i giacimenti siciliani sono stratificati, cioè schiacciati in fondo alla terra da altre masse geologiche e bisogna quindi scavare in fondo alle montagne per seguire le tortuosità imprevedibili delle vene. Lo zolfo americano invece si trova sottoterra in ammassi giganteschi. Cioè un’area di dieci chilometri quadrati, a mille metri di profondità è tutto uno sterminato giacimento di zolfo. Fino a vent’anni fa gli americani erano tuttavia costretti a scavare anche loro per giungere in fondo. Ma siccome erano pochi e non trovavano nemmeno gli immigrati disposti a rischiare la pelle, preferivano acquistare lo zolfo in Italia.

Poi venne un tecnico tedesco, il signor Frasch (il quale ha fatto piangere lacrime di sangue a diecimila famiglie siciliane) e inventò il metodo Frasch il quale funziona alla seguente maniera: si cala nella profondità della terra fino alla massa dello zolfo una sonda come quella per l’estrazione del petrolio. Essendo allo stato solido, lo zolfo naturalmente non risale su attraverso la sonda. All’interno della sonda c’è però un tubo dentro il quale viene immesso ad altissima pressione vapore acqueo a 180 gradi che è la temperatura di fusione dello zolfo. Giù al fondo il vapore acqueo liquefà lo zolfo che a sua volta non trova altra via d’uscita che la sonda e zampilla così alla superficie della terra come una enorme fontana. Basta una squadra di operai con una sonda per fare il lavoro di una galleria. Il prezzo è relativo al costo di estrazione. Lo zolfo siciliano che è frutto di martirio lento, di malattia, di paura, sudore, costa 150 mila lire a tonnellata. Quello americano che è semplicemente un fatto tecnico costa solo 5 mila lire a tonnellata.

La tesi della macchina che lentamente, continuamente sta uccidendo l’umanità stessa che l’ha inventata trova qui una pagina di antologia straziante. L’ultimo periodo di vorticoso benessere delle zolfare siciliane risale oramai al lontano 1948, cioè all’epoca della guerra in Corea. Nella storia dello zolfo siciliano c’è anche questo argomento di sadismo. Lo zolfo serve infatti alle industrie belliche, e quando c’è una guerra l’America blocca le esportazioni sì che le industrie mondiali non hanno alternative: debbono acquistare lo zolfo siciliano al prezzo richiesto. Appena gli americani firmarono l’ armistizio in Corea, per lo zolfo siciliano fu il crack. Diciotto anni di pace lo hanno annientato: chi può comprare da noi un prodotto che costa trenta volte di più che in America? Essendo questo il rapporto, le miniere siciliane non avevano alcuna possibilità di sopravvivere. Andavano chiuse. Ma c’erano ottomila minatori, e quindi ottomila famiglie, una massa umana triste, tormentata, che per sua stessa disperazione aveva dovuto scegliere la maniera più difficile di vivere e che avrebbe difeso fino alle estreme conseguenze questa sua unica possibilità di esistenza.

Prima che i proprietari potessero chiudere definitivamente i cancelli delle miniere, la Regione le ha confiscate con una sua legge e le ha affidate in gestione all’Ente minerario siciliano, istituito con una apposita legge. È stata annunciata la verticalizzazione del processo produttivo, una parola che la politica ha preso a prestito dalla tecnica industriale. Cioè a dire lo zolfo sarà cavato dalle miniere e sarà sfruttato in stabilimenti chimici della zona, attraverso tutta una serie di processi di trasformazione che, per fasi successive, dovrebbero arrivare alla raffinazione, alla produzione di esplosivi, di fertilizzanti, di fibre tessili, di medicinali. Naturalmente queste fabbriche sono da costruire ed il processo di verticalizzazione da coordinare. Tutta questa storia somiglia a quella di un padre che ha un figlio, povero, zoppo ed infelice e tuttavia, per disperato amore, annuncia di volerne fare un atleta per correre la maratona. Gli farà aggiustare le ossa, lo nutrirà, gli insegnerà a camminare e correre, ne moltiplicherà il talento. La situazione è questa intanto.

Già dal 1964 l’Ente minerario siciliano ha la gestione di quasi tutte le miniere di zolfo: sta provvedendo a sostituire il materiale deteriorato, a sistemare le gallerie e riempire quelle già esaurite; ha fatto costruire una nuova rete di binari con carrelli di trasporto semoventi, ha meccanizzato gli ascensori e gli impianti per le reti d’acqua antincendio e la ventilazione delle gallerie, ha costruito docce per minatori, li ha forniti di caschi di alluminio, tute impermeabili, ha organizzato un ponte radio per un soccorso immediato in caso di sinistro, ha posto all’opera una «equipe» di tecnici specializzati per studiare la possibilità di cavare quanto più rapidamente, sicuramente ed a basso costo il minerale. I minatori sono circa quattromila: i più giovani se ne sono andati in Belgio e in Germania; sono rimasti i più vecchi, i più deboli. Quasi duemila di costoro sono troppo vecchi o troppo ammalati per poter lavorare in fondo alle gallerie.

Oltre tremila sono affetti da asma bronchiale. È probabile che centinaia di loro abbiano anche i polmoni corrosi. I quattromila minatori lavorano divisi in tre turni di otto ore ciascuno e per cinque giorni la settimana, guadagnando tremila lire al giorno più gli assegni familiari. Per legge nessuno di loro può essere licenziato. Nei primi due anni di ristrutturazione delle miniere sono stati spesi circa tre miliardi, ma non è stato scavato ancora un solo chilo di zolfo. Non perché non si possa, ma perché nessuno lo comprerebbe. Oltre al già annunciato intervento dell’ENI e dell’Edison che dovrebbero appunto realizzare alcuni grandi stabilimenti chimici nella fascia centrale della Sicilia, in modo da poter eventualmente impiegare anche i prodotti minerari, c’è ancora un’altra possibilità di salvezza, ed è l’Europa.

Cioè una legge attualmente allo studio della CEE, a Bruxelles, che prevede uno stanziamento di quaranta miliardi per la costruzione di una serie di aziende industriali che consentano lo sfruttamento integrale dello zolfo sul posto stesso della produzione. Ma stanziati che saranno quei quaranta miliardi, non si riuscirà lo stesso a costruire gli stabilimenti, poiché non ci sarà l’acqua per farli funzionare, né le strade per trasportare i prodotti fino ai porti d’imbarco per l’ esportazione.

Né possiamo pretendere che l’Europa ci paghi anche queste, cioè che provveda a insegnarci a vivere, a respirare, a pensare. C’è un determinato momento della nostra tragedia meridionale, al fondo di tutte le cose, in cui noi troviamo l’origine di tutto, e cioè la nostra stessa incapacità a vivere come società.

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