Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro–tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza di primo grado che ha assolto l’ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti. La sentenza di secondo grado, confermata in Cassazione, ha accertato invece che – fino alla primavera del 1980 – Andreotti aveva avuto rapporti con i boss Cosa Nostra


L’on. Giuseppe Campione (già Segretario regionale della Democrazia Cristiana e successivamente Presidente della Regione siciliana), esaminato come teste all’udienza del 17 luglio 1996, nello spiegare le ragioni della grande influenza esercitata dall’on. Lima all’interno della Democrazia Cristiana in Sicilia, ha chiarito che, nell’ambito del gruppo a lui facente capo, l’on. Lima assumeva il ruolo di unico interlocutore del sen. Andreotti; sul punto, il teste ha specificato che l’on. Lima “finiva con l'essere il titolare di questa grande egemonia, titolare di una corrente tutta personale sua, che doveva dare conto soltanto ad Andreotti e nel rapporto con Andreotti c'era soltanto lui, non c'erano i numeri due, non parlavano con Andreotti, ogni tanto qualcheduno riusciva ad immaginare i colloqui con Cirino Pomicino, con altri eccetera, ma lo stesso Lima parlerà con alcuni dei luogotenenti di Andreotti, quando Andreotti appunto si collocava un po' al di sopra di queste cose, però di fatto era lui, lui l'unico interlocutore di Andreotti, gli altri erano soltanto dei numeri due, dei numeri tre.

E quindi in questo modo lui aveva questo grande potere sancito da Roma anche, che poi si diffondeva anche sugli altri che avevano riferimento di minore rilievo, che non fosse il riferimento che aveva Lima”.

Dopo la sua adesione alla corrente andreottiana, l’on. Lima nelle consultazioni politiche del 7 maggio 1972 fu eletto nuovamente alla Camera dei Deputati con 84.755 voti di preferenza.

Nel corso della sesta legislatura, ricoprì la carica di Sottosegretario alle Finanze nel secondo governo Andreotti, nel quarto governo Rumor, nel quinto governo Rumor, e la carica di Sottosegretario al Bilancio nel quarto governo Moro e nel quinto governo Moro. Il 20 giugno 1976 fu eletto per la terza volta alla Camera dei Deputati con 100.792 voti di preferenza.

Il 10 giugno 1979 l’on. Lima fu eletto per la prima volta al Parlamento Europeo, con 305.974 voti di preferenza; entrò quindi a far parte della Commissione per il regolamento e le petizioni. Nel 1984 e nel 1989 fu rieletto al Parlamento Europeo e fu confermato alla Commissione per il regolamento e le petizioni (v. il documento n.99 e la deposizione testimoniale resa dall’isp. Bonferraro all’udienza del 22 maggio 1996).

La forza politica acquisita dal deputato siciliano dopo la sua adesione alla corrente andreottiana è evidenziata dalle circostanze riferite dal teste prof. Paolo Sylos Labini all’udienza del 19 giugno 1996.

Il prof. Sylos Labini ha infatti esposto di essere stato, per circa sette anni, componente del Consiglio tecnico-scientifico per la programmazione economica del Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica, e di essersene dimesso nel 1974, a seguito della nomina dell’on. Lima a Sottosegretario al Bilancio. Ministro del Bilancio, all’epoca, era il sen. Andreotti.

Il teste ha chiarito che il suddetto Consiglio tecnico-scientifico, presieduto dal prof. Parravicini, era un organo autonomo, con il compito di fornire indicazioni, suggerimenti e analisi al Ministro del Bilancio e della Programmazione Economica, il quale, in caso di impedimento, era sostituito dal Sottosegretario.

Avendo svolto l’attività di docente per tre anni in Sicilia, il prof. Sylos Labini aveva avuto occasione di ascoltare numerose voci critiche sull’on. Lima; non accontentandosi di ciò, il prof. Sylos Labini si fece consegnare da un parlamentare suo amico gli atti relativi alle richieste di autorizzazione a procedere avanzate nei confronti dell’on. Lima.

Avendo studiato questi atti, ed essendosi reso conto che le richieste di autorizzazione a procedere erano ampiamente motivate e riguardavano, in alcuni casi, reati abbastanza rilevanti, il prof. Sylos Labini rimase turbato ed iniziò a nutrire l’idea di rassegnare le dimissioni dal Consiglio tecnico-scientifico per la programmazione economica, rendendone pubbliche le motivazioni.

Prima di porre in atto una simile decisione, il prof. Sylos Labini invitò il prof. Andreatta a domandare al Presidente del Consiglio dei Ministri on. Moro se fosse possibile sostituire l’on. Lima nella carica di Sottosegretario al Bilancio, ed a rendergli nota la sua intenzione di rassegnare pubblicamente le dimissioni nel caso di permanenza in carica dell’on. Lima (in proposito, il teste ha esplicitato: “io gliel'avevo detto se Lima resta lì, io do le dimissioni e ne do notizia pubblica”). Dopo avere compiuto la verifica richiestagli, il prof. Andreatta comunicò al prof. Sylos Labini la risposta dell’on. Moro, che è stata così riferita dal teste: «Moro, attraverso Andreatta, mi mandò a dire che si rammaricava se io davo le dimissioni (...). Ma che non si sentiva di fare un'azione per togliere di mezzo Lima, e sostituirlo, mettendosi d'accordo nei modi che lui poteva vedere, (...) perchè disse: "Lima è troppo forte, ed è troppo pericoloso"».

Anche il sen. Andreotti, attraverso il prof. Parravicini, era venuto a conoscenza delle intenzioni del prof. Sylos Labini. Non avendo ricevuto alcuna notizia in merito ad una eventuale destinazione dell’on. Lima ad un altro incarico, il prof. Sylos Labini in data 10 dicembre 1974 rassegnò le dimissioni, con una lunga lettera indirizzata al prof. Parravicini, che fu integralmente pubblicata sul “Corriere della Sera”.

Nella lettera, il prof. Sylos Labini esplicitava di trovarsi in uno stato d’animo di disagio assai grave, e, dopo avere enunziato le ragioni che avevano impedito al Consiglio tecnico-scientifico per la programmazione economica di raggiungere risultati adeguati, rilevava quanto segue: «Le mie speranze hanno ricevuto un nuovo duro colpo, quando ho appreso che l'onorevole Salvatore Lima è stato chiamato a ricoprire la carica di sottosegretario al Bilancio, carica che comporta, di diritto, anche quella di segretario del Cipe.

L'operato dell'onorevole Lima nella gestione del comune di Palermo è stato tale da attirare ripetutamente l'attenzione del giudice penale; gli indizi raccolti dal magistrato inquirente sono talmente consistenti da indurre la Camera ad accordare per ben quattro volte l'autorizzazione a procedere. I dichiarati propositi di moralizzazione avrebbero dovuto, a mio parere, impedire di attribuire una responsabilità governativa a una tale persona, soprattutto in un momento di crisi gravissima, in cui il governo chiede sacrifici a tutto il paese.

Ho meditato a lungo nei giorni scorsi. La decisione che ti comunico, perciò, può essere criticata e non condivisa, ma certamente non è avventata. Ho appunto deciso di chiederti di presentare al Ministro del Bilancio, onorevole Giulio Andreotti, le mie dimissioni dal Consiglio Tecnico- Scientifico. Ti prego di chiarirgli che le mie dimissioni sono dettate esclusivamente da quello che a me sembra un dovere di coscienza: penso che, se la coscienza lo esige, si debba dire di no.

Voglio sperare che questo mio “no” possa servire per il futuro; ma probabilmente, ancora una volta, mi illudo».

La lettera fu trasmessa, attraverso il prof. Parravicini, al sen. Andreotti, il quale rispose in data 4 febbraio 1975, esprimendo al prof. Sylos Labini il proprio rammarico per le sue dimissioni ed aggiungendo: “pur rispettando le Sue valutazioni sulla formazione del Governo, da un approfondimento del caso specifico penso che avrebbe trovato validi elementi di tranquillizzazione”.

E’, peraltro, appena il caso di osservare come la dichiarata impotenza del Presidente del Consiglio dei Ministri a sostituire l’on. Lima – benché si fosse in presenza di una motivazione di indubbia validità e fosse stata preannunziata una ferma presa di posizione pubblica di un insigne economista come il prof. Sylos Labini – costituisca una chiara riprova della notevole forza politica riconosciuta anche da uno dei massimi rappresentanti delle istituzioni, quale era l’on. Moro, all’on.

Lima in epoca successiva all’inserimento di quest’ultimo nella corrente andreottiana. Particolarmente rilevante era, del resto, l’apporto numerico fornito dagli aderenti siciliani alla corrente andreottiana sul piano nazionale.

Precisi elementi di convincimento al riguardo si traggono dalle deposizioni testimoniali dell’on. Sergio Mattarella (il quale in passato ha ricoperto, nella Democrazia Cristiana, le cariche di componente della Direzione Nazionale, di Vice Segretario nazionale e di Commissario Provinciale di Palermo) e dell’on. Giuseppe Campione.

Il teste Mattarella, all’udienza dell’11 luglio 1996, ha riferito quanto segue: “La corrente andreottiana aveva il suo nucleo più forte nel Lazio. Per lungo tempo da quando sorse nel '54, in realtà fu una corrente incentrata nel Lazio con qualche piccola compagine, poi cominciò ad espandersi, via via (...) fino a diventare piuttosto cospicua negli ultimi anni '80, presente anche nelle regioni in cui mai lo era stata (...). L'apporto della componente siciliana (...) se non ricordo male era il secondo dopo quello del Lazio, cioè nell'ambito della corrente andreottiana il contributo congressuale della corrente siciliana è come se fosse dopo quella del Lazio, la più forte”. […].

Il teste on. Attilio Ruffini, all’udienza del 20 giugno 1996, ha chiarito che “la corrente andreottiana in Sicilia aveva una punizione (rectius posizione: n.d.e.) non di maggioranza relativa (...) ma comunque era la seconda, quanto meno la seconda se non la prima la seconda corrente in Sicilia e aveva una percentuale di voti certo superiore alla (...) percentuale di voti nazionali della corrente andreottiana”. Il teste ha aggiunto: “grosso modo mi pare di ricordare che la corrente del Presidente Andreotti sul piano nazionale era (...) dal 12 al 15% ecco, mentre sul piano provinciale e regionale era sul 25%. (...) In Sicilia. (...) Quando ci fu anche Drago. (...) Prima era il 25 o 30% a Palermo, certamente fin dall'inizio perchè poi lì avveniva questo fenomeno che il partito veniva controllato anche con posizioni di percentuali di maggioranza relativa, va be’ che occorre la maggioranza assoluta attraverso gli accordi (...) con altre correnti”.

Per quanto attiene al “peso” della corrente andreottiana sul piano nazionale, un attendibile punto di riferimento è costituito dalle indicazioni fornite dal teste prof. Vittorio Vidotto (coordinatore della Sezione scienze storiche dell’Istituto per l’Enciclopedia Treccani), il quale ha riferito di avere ricevuto dal sen. Andreotti, tramite la figlia di quest’ultimo, un appunto da cui si desumeva che la corrente facente capo al medesimo esponente politico aveva “oscillato tra il 13,0% (1980) e il 17,8% (1989) dei rappresentanti congressuali”.

Dai dati sopra esposti si evince, quindi, che la percentuale dei voti congressuali detenuti dalla corrente andreottiana nella regione siciliana e nella provincia di Palermo era molto superiore alla percentuale nazionale.

I suindicati elementi di convincimento evidenziano che l’on. Lima, per il suo rapporto fiduciario con il sen. Andreotti e per la rilevante percentuale di voti congressuali di cui poteva disporre nell’ambito della corrente andreottiana, aveva acquisito una forte posizione di potere politico, ben nota ai più elevati rappresentanti delle istituzioni.

Il ruolo dominante assunto nella provincia di Palermo dalla corrente andreottiana, capeggiata a livello locale dall’on. Salvo Lima, è evidenziato dalle seguenti affermazioni compiute dal teste on. Vito Riggio all’udienza del 26 novembre 1996:

P.M.: Senta passiamo ora alla corrente andreottiana. (…) lei sa se la corrente andreottiana a Palermo è stata maggioritaria se si in quali periodi?

RIGGIO V.: Si, fino al 1985 il segretario del partito era andreottiano tant'è che fu commissariato suscitando (...) le proteste dei rappresentanti nazionali in direzione, andreottiani e fu commissariato il segretario di Palermo e credo nel...

P.M.: Chi era?

RIGGIO V.: Era stato Michele Reina e poi era stato (...) ucciso nel 1979, e nel 1984 (...) era (...) Nicola Graffagnini, (...) che (...) faceva pubblicamente riferimento al gruppo andreottiano (...).

P.M.: Senta qual'era la percentuale di tessere della corrente andreottiana? Glielo chiedo perchè lei l'ha già indicata.

(...)

PRESIDENTE: Dico in Sicilia o (...) Palermo?

P.M.: Palermo.

RIGGIO V.: Palermo, no perchè era molto diseguale tra Palermo e la Sicilia evidentemente. Cioè a

Palermo c'era una presenza rilevante perchè il gruppo andreottiano in quanto esprimeva il segretario provinciale perchè io penso si aggirasse attorno al 25/30% insomma, un terzo del partito.

P.M.: E vi erano esponenti politici ufficialmente diciamo inseriti in altre correnti diverse dalla corrente andreottiana che però diciamo erano in un rapporto di quasi subordinazione rispetto alla corrente andreottiana, si potevano considerare insomma inserite nella corrente andreottiana?

RIGGIO V.: Beh, guardi, qui è un pò difficile dire nel senso che sul piano formale l'appartenenza alle correnti veniva registrata proprio perchè quello era il modello organizzativo. Naturalmente in termini di governo del partito il gruppo maggiore aveva poi, come dire, delle simpatie all'interno dei gruppi che facevano maggioranza, quindi si può in questo senso dire che partendo da una base del 25/30 % si faceva maggioranza perchè si convincevano le altre correnti ad aderire ad un programma o ad una... e quindi questa opera di convincimento riusciva meglio se all'interno di ciascun gruppo

c'era chi era, come dire, per l'unità e poi per l'unità significava sostanzialmente per il gruppo di maggioranza insomma.

P.M.: Ad esempio l'Onorevole Franz Gorgone che rapporto aveva con la corrente andreottiana?

RIGGIO V.: beh questo ufficialmente l'Onorevole Franz Gorgone faceva parte di un gruppo diverso dal gruppo andreottiano però insomma lui era uno di quelli che poi convergeva diciamo dal punto di vista...

PRESIDENTE: Di quale gruppo faceva parte?

RIGGIO V.: Credo fosse doroteo (...)

P.M.: Convergeva con la corrente andreottiana.

RIGGIO V.: Si, perchè c'era una maggiora... vede non si riusciva a fare maggioranza senza queste

convergenze perchè se si parte dal 25% è indispensabile arrivare almeno al 51.

P.M.: Lei può fare una geografia degli enti delleistituzioni che venivano controllate a Palermo dalla corrente andreottiana?

RIGGIO V.: Beh parliamo sempre di prima del 1985 perchè appunto c'è questa cesura e quando siamo arrivati noi direi così che l'ospedale cittadino maggiore è l'Ospedale Civico era sempre diciamo in qualche modo in area andreottiana.

P.M.: E chi sono stati i presidenti dell'Ospedale Civico?

RIGGIO V.: E quelli che mi ricordo io c'è stato Martellucci che era una personalità indipendente, ma che fu poi candidato dall'Onorevole Lima quindi aveva dei rapporti sicuramente non so se personali o poi politici con quel gruppo e l'Onorevole Purpura che poi diventò appunto deputato e poi non me ne ricordo altri, però voglio dire almeno per un paio di occasioni si può dire che fosse designato il presidente dal gruppo di maggioranza peraltro.

P.M.: E che rilievo aveva, se aveva un rilievo, ai fini dell'acquisizione del consenso alla Presidenza di un ospedale pubblico?

RIGGIO V.: Ma, guardi, questo in generale il governo di tutti gli enti e segnatamente di quelli che hanno un rapporto diffuso, di massa come è negli ospedali naturalmente consente una quantità (...) di rapporti che evidentemente è rilevantissimo ai fini del consenso, quindi direi che era la maggiore

industria cittadina insieme al Teatro Massimo insomma che era un altro luogo nel quale evidentemente il partito di maggioranza designava in generale persone che erano vicine all'esperienza del gruppo andreottiano, se magari tecnici se era il caso o direttamente politici, ma diciamo che la vita della città dal punto di vista delle relazioni si basava su questi due grandi enti l'Ospedale Civico da una parte e il Teatro Massimo dall'altra e lì la presenza (...) del personale politico andreottiano era rilevante fino al 1985. […].

Dalla deposizione del teste Riggio si evince, dunque, che a Palermo la corrente andreottiana non solo deteneva la maggioranza relativa dei voti congressuali, ma riusciva a conseguire la maggioranza assoluta attraverso la convergenza con esponenti politici appartenenti ad altre correnti, esprimeva fino al 1984 il segretario provinciale del partito e collocava propri rappresentanti al vertice di alcuni dei più importanti enti pubblici.

Anche il teste on. Sergio Mattarella ha specificato che l’on. Lima riusciva a dominare il Comitato Provinciale di Palermo della Democrazia Cristiana, in quanto “pur non avendo la maggioranza assoluta, (...) comunque l'intreccio delle relazioni, dei rapporti con gli altri gruppi era tale da consentirgli (...) il pieno controllo del partito come (...) un pacchetto di controllo azionario della società (...), l'influenza che esercitava andava al di là della dimensione del gruppo maggioritario che era (...) in maggioranza relativa”.

La capacità della corrente andreottiana siciliana di assumere la leadership di un’area politica molto più vasta, comprendente anche esponenti di primaria importanza di altre forze politiche, è stata sottolineata anche dal teste Campione, il quale ha affermato quanto segue: «la corrente andreottiana era una corrente guida di un'area molto più vasta in cui in una logica che era tutta la stessa poi le persone si differenziavano rispetto ai loro riferimenti romani, per cui c'erano quelli del centro che magari poi discutevano con Piccoli, però alla fine avevano questo rapporto privilegiato con Andreotti. Addirittura la corrente di Andreotti finiva con il condizionare anche il comportamento di altre forze politiche, per esempio non so i repubblicani di Gunnella, ecco, sono molto vicini alla corrente andreottiana a Lima, in particolare, in passato erano stati vicini alla corrente di Gioia, e spesso venivano utilizzati per fare delle cose che le correnti all'interno del partito, o all'interno delle istituzioni non riuscivano a fare, ecco. Si ricorreva a questi supporti esterni che finivano con l'essere dipendenti da questa egemonia palermitana. Così come (...) il partito di Vizzini, era tutto collegato alla corrente andreottiana, addirittura avremo degli episodi nel '1991 di alcuni candidati che sono impresentabili nella corrente andreottiana in sede regionale e che vengono smistati dall'on.le Vizzini che si presta a metterli in lista per farli eleggere».

L’on. Campione ha, inoltre, evidenziato che dopo le elezioni europee del 1984 l’on. Lima svolse consapevolmente il ruolo di “portavoce” del sen. Andreotti all’interno della Direzione nazionale della Democrazia Cristiana; sul punto, il teste ha reso le seguenti dichiarazioni:

P.M.: Senta, dopo le elezioni del 1984, (...) De Mita cercò in qualche modo di ridimensionare il peso di Lima all'interno della D.C.? Quale fu il comportamento di Lima?

CAMPIONE G.: Ma Lima, di fronte a per esempio questi episodi di commissariamenti di De Mita, Lima per conto della corrente andreottiana era quello che polemizzava di più con De Mita, si faceva accompagnare da Evangelisti però di fatto era lui che prendeva le redini di una posizione quasi frontale con De Mita, non ufficialmente in direzione, ma poi al di fuori della direzione. Quindi Lima era consapevole di avere questo ruolo di portavoce all'interno della direzione, portavoce dell'on.le Andreotti all'interno della direzione del partito, tra l'altro ormai Evangelisti si andava appannando, ecco.

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