Allora penso che – con il tempo e con il passare degli anni – se si continuerà a portare avanti questa attività, salendo a poco a poco piccoli gradini, si arriverà a liberare la Sicilia da questo flagello. Ci vorrà del tempo, ma dovrà nascere una cultura antimafiosa
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci de “L’illegalità protetta”, il libro edito per la prima volta nel 1990 e ristampato nuovamente da Glifo Edizioni, dedicato a Rocco Chinnici e ai giudici del pool antimafia
A chi gli chiedeva quale fosse il dovere di un magistrato, Rocco Chinnici rispondeva lapidario: «Quello di fare, di lavorare». Questa filosofia del «fare», in una città nella quale ancora incombe lo spirito gattopardesco del «non fare», gli è stata fatale. A sette anni dalla scomparsa del consigliere istruttore e di coloro che ne condivisero la tragica sorte, pubblichiamo una raccolta di interventi – uno dei quali inedito – di Rocco Chinnici.
Il nostro vuol essere un ricordo semplice, ma anche l’occasione per chiedere, ancora una volta di più, che venga fatta verità e giustizia su questo delitto ancora impunito, su questa oscura pagina della nostra storia più recente, di cui – insieme ad altre – a distanza di anni non riusciamo a intravedere la possibile conclusione.
Mistero sugli esecutori, mistero fitto sui mandanti. Ma il movente è chiaro, alla luce del sole.
Sappiamo che Chinnici era magistrato scrupoloso, dotato di un non comune senso della praticità, interessato ad andare fino in fondo alle inchieste che aveva intrapreso e che toccavano alle radici gli interessi più consistenti delle cosche mafiose.
Aveva riunito intorno a sé un pugno di uomini dando vita al «pool antimafia», aveva dato ampio spazio all’attività del giudice Falcone e aveva individuato tutti i canali che avrebbero potuto portare alla collaborazione delle varie forze di polizia, nelle indagini patrimoniali e bancarie. Sappiamo anche della sua insofferenza per le mediazioni e i compromessi, in un ambiente di lavoro asfittico e colmo di insidie, di cui è rimasta testimonianza amara nelle pagine del suo diario personale.
Sappiamo, infine, della umanità e dello spirito di sacrificio che lo accompagnavano fuori dal Palazzo di Giustizia.
Svestiti i panni del giudice, correva nelle scuole, nei licei, nelle sedi di associazioni culturali e ricreative, a cercare i giovani e a parlare loro della tossicodipendenza, della droga, degli sporchi interessi connessi al traffico di stupefacenti, con un trasporto, una carica, uno slancio così forti da fargli assumere posizioni anche estreme; come quella, ad esempio, espressa nel saggio inedito che pubblichiamo in questo libro, in cui Chinnici manifesta il proprio favore per una legislazione in grado di prevedere il recupero coercitivo dei giovani tossicodipendenti.
Posizione, questa, certamente non condivisibile ma che, tuttavia, è il segno della preoccupazione «paterna» di un uomo che vive fino in fondo il dramma delle giovani generazioni e che, a suo modo, pensa di poter contribuire a risolverlo.
Un’attività frenetica, massacrante, che egli riteneva essenziale, nel quadro generale dello scontro tra Stato legale e sistema di potere mafioso: «Occorre che a una sub-cultura mafiosa, che in questi anni è diventata anche cultura, si contrapponga una cultura di classe. Siccome io credo molto nei valori della vera e autentica cultura, allora penso che – con il tempo e con il passare degli anni – se si continuerà a portare avanti questa attività, salendo a poco a poco piccoli gradini, si arriverà a liberare la Sicilia da questo flagello. Ci vorrà del tempo, ma dovrà nascere una cultura antimafiosa».
© Riproduzione riservata