Nel 2013, quando si consumò lo scempio della carica dei “101” che non votarono Romano Prodi nelle elezioni per la presidenza della repubblica, nacque il movimento #OccupyPd.

Furono davvero occupate simbolicamente diverse sedi del Partito democratico, come forma di protesta contro gruppi dirigenti inadeguati o persino complici della fronda. Poi arrivò la bella esperienza di “Possibile”, corrente-non corrente di un congresso: affascinante ma transeunte.

Proprio in quel frangente, amaro e sgradevole, si determinò un nuovo livello di protagonismo da parte di generazioni giovani o comunque estranee alle logiche dell’apparato. E qui entra in scena una giovanissima Elly Schlein.

Chi, per età politica ed anagrafica, ha un po’ di occhio clinico notò subito quella persona visibilmente talentuosa, capace di parlare senza cedimenti alla retorica banale dell’antipartitismo, e tuttavia con un piglio semantico capace di attraversare mondi tra loro spesso in comunicanti: militanti classici e  pacifici arrabbiati, cultori di Marx e figlie o figli della post-modernità un po’ eclettica.

Insomma, una figura culturalmente “ibrida”, prima ancora che una promettente dirigente politica. Attenta ai diritti, a cominciare dalle scelte sessuali, ma senza chiuderli in nicchie estranee ai conflitti generali.

Schlein ha buone letture alle spalle e si capisce dalla sintassi che usa, ma pure una certa qualità rabdomantica nel cogliere i desideri inespressi di mondi arrivati all’impegno civile per vie spesso asimmetriche rispetto ai luoghi canonici.

Non sembri un non richiesto panegirico di una figura che ancora deve dimostrare la forza tranquilla della leadership. Quest’ultima si coglie nell’agone reale, quando si passa da outsider di lusso a centro di gravità di una proposta di valore strategico.

Serve la definizione di una visione in grado di dialogare con coscienze diffuse e moltitudini lontane dalle nicchie privilegiate del discorso pubblico. Parliamo delle aree sociali disagiate sia nelle condizioni materiali sia in quelle dello spirito, di chi è estraneo alla ridondanza dei talk televisivi.

Vediamo se il salto si completerà. Al di là del giudizio sul Pd, c’è bisogno di un vero rinnovamento dei e nei volti cui oggi si lega la speranza di una resurrezione dell’intero universo progressista, malamente sconfitto da una destra brutta e pericolosa.

Certamente, la lista delle illusioni con relative disillusione potrebbe da sola scrivere un romanzo. Quindi, non è lecito avere ottimismi non comprovati dai fatti.

Però, la neo-deputata, già vicepresidente della Regione Emilia-Romagna e già parlamentare europea (si interessava persino – una vera eccezione- di temi ostici come il copyright), infonde qualche speranza.

Poteva essere il riferimento della ricostruzione di una sinistra-sinistra, ma il suo percorso ha preso la rotta del Pd.

Ora vada fino in fondo. Si candidi alle primarie del prossimo congresso stabilito a marzo del 2023 e le vinca. E di lì riapra il percorso verso un grande contenitore riformista dell’età digitale, costruito sul rispetto delle differenze e non su tentazioni maggioritarie.

Forse, proprio per questo, i cattivi (e sono tanti) del Pd scateneranno l’inferno per evitare che ciò possa accadere. L’attuale vicesegretario Giuseppe Provenzano ha chiarito recentemente che o il partito si sposta a sinistra o muore. Con sapienza Rosy Bindi ha sottolineato che se ci si riduce ad una gara di candidature, è meglio sciogliersi. Per questo, il nome - pur autorevole - non è ancora la Cosa. E il tempo stringe.

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