Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza di primo grado, la numero 514/06 dei magistrati della terza sezione penale del tribunale di Palermo, presidente Raimondo Loforti e giudice estensore Claudia Rosini.


Quello stesso 14 gennaio, alle ore 6.53, un altro appuntato della sezione, Giuseppe Coldesina, si era appostato, su ordine di Sergio De Caprio, all’interno di un furgone dotato di telecamera di fronte al cancello di ingresso al complesso immobiliare di via Bernini.

L’istruzione dibattimentale ha consentito di accertare le modalità di espletamento del servizio di osservazione: un furgone, dotato di telecamera interna, venne posizionato a circa una decina di metri dal cancello, di tipo automatico, che consentiva sia l’ingresso che l’uscita delle autovetture dalla via principale al viale interno del residence, conducente alle varie villette da cui era costituito.

La telecamera, però, era in grado di riprendere solo per pochi metri il viale interno e dunque non era possibile “seguire” le auto che vi transitavano sino alle singole unità immobiliari, alle quali erano dirette o dalle quali uscivano; pertanto, non era neppure possibile stabilire quante fossero le villette esistenti nel residence (v. dichiarazioni rese dal Coldesina all’ud. del 25.5.05, nonché le deposizioni dei magg. Balsamo e mar.llo Merenda che visionarono le immagini filmate e dei dott.ri Aliquò e Caselli ).

La scelta della tecnologia da impiegare per l’effettuazione delle video riprese era di pertinenza esclusiva del Ros, il quale ritenne che il mezzo più appropriato in considerazione dello stato dei luoghi non fosse una telecamera fissa, che avrebbe avuto bisogno di un adeguato supporto logistico, quale un palo della luce o altro, e di idonea copertura per rendersi invisibile, bensì una mobile, che poteva essere facilmente occultata all’interno di un automezzo; così come era stato fatto anche nell’indagine sui Ganci.

È stato chiarito dal magg. Balsamo, dal cap. Minicucci (sentito all’ud. del 25.5.05) e dai dott.ti Aliquò e Caselli, che i dettagli tecnici relativi a come dovesse essere eseguita l’osservazione non erano noti né alla territoriale né alla Procura, proprio perché rimessi alla valutazione discrezionale della sezione che doveva porre in essere l’attività (v. prossimo par.).

Quel 14.1.93, tutto era stato predisposto per assicurare il controllo ed il pedinamento di Giuseppe Sansone, che era stato individuato all’interno del residence e che il Di Maggio aveva indicato come fiancheggiatore del Riina, nonché l’osservazione di tutti coloro che fossero pervenuti o fuoriusciti dal complesso di via Bernini.

Uno degli uomini della squadra di “appoggio” provvide a parcheggiare il furgone, con all’interno l’app.to Coldesina, nel luogo prestabilito, di fronte al cancello di ingresso, dal quale si allontanò a piedi per essere recuperato da altra autovettura; i mar.lli Pinuccio Calvi e Riccardo Ravera (cfr. deposizione resa all’udienza del 15.6.05), assieme ad altri colleghi della sezione, si occuparono personalmente del pedinamento del Sansone, che fu visto uscire a bordo di una Fiat Tipo.

Presto i predetti si resero conto che sarebbe stato impossibile proseguire il servizio senza essere notati, a causa del comportamento particolarmente guardingo ed accorto del sopra nominato individuo, che procedeva a bassissima velocità e addirittura si fermava per guardare chi vi fosse all’interno delle auto che lo sorpassavano.

La riunione serale

Pertanto, nel pomeriggio, comunicarono al cap. De Caprio la necessità di sospendere le attività di pedinamento per evitare di essere scoperti e fecero rientro in caserma.

Il servizio di video sorveglianza, invece, continuò sino alle ore 16.58, quando un altro componente della sezione andò a prelevare il furgone, al cui interno era celato il Coldesina, per ricondurlo in caserma, ove l’appuntato relazionò il comandante sul servizio svolto, consegnandogli le videocassette delle registrazioni effettuate senza segnalargli nulla di particolare (non conosceva le sembianze fisiche della Bagarella, moglie del Riina, e del Di Marco, che sarebbero stati individuati, poche ore dopo, dal Di Maggio); il cap. De Caprio prese in consegna le cassette e gli ordinò di riprendere il servizio la mattina seguente.

Quella sera stessa, in caserma, (come riferito dai protagonisti) il magg. Domenico Balsamo, su ordine dell’allora vice comandante col. Cagnazzo che gli aveva chiesto di verificare se dal servizio di osservazione fosse emerso qualche elemento utile, il suo collaboratore mar.llo Rosario Merenda, il cap. De Caprio e Baldassare Di Maggio, appositamente convocato per riconoscere nelle persone video riprese eventuali personaggi di interesse investigativo, procedettero alla visione dei filmati.

Non vi partecipò, invece, il comandante del gruppo 1 del nucleo operativo cap. Marco Minicucci, che andò via prima che avesse inizio l’attività a causa – come ha riferito in dibattimento – di non meglio precisate “incomprensioni” maturate con i colleghi sulla gestione del collaboratore, affidata alla sua responsabilità.

In quegli stessi locali dove si trovavano riuniti si affacciò anche il capitano De Donno, allora comandante della II sezione del Ros, che si limitò a salutare i colleghi, senza prendere alcuna parte a quanto vi si stava svolgendo. Giuseppe De Donno era infatti arrivato a Palermo nella stessa giornata, dovendo, la mattina successiva (15.1.93), rendere testimonianza nel cd. processo “mafia appalti”, in corso contro Angelo Siino ed altri.

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