Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà parte del libro Sulle ginocchia, edito da Melampo, riguardo la storia di Pio La Torre scritta dal figlio Franco


 Ne avevamo discusso, in famiglia, del pericolo che comportava il ritorno di mio padre a Palermo e riuscivamo anche a riderci sopra, quando lui raccontava, con un tono incredulo, che aveva deciso di chiedere il porto d’armi, perché avrebbe dovuto comprare e tenere con sé una pistola, che non avrebbe mai imparato ad usare.

Parlare non serviva certo a farsene una ragione, ma per lo meno scacciava l’angoscia.

Non ci rivelava, invece, i segnali che avvertiva. Al massimo li condivideva con mia madre e cercava di condurre una vita normale, la cosa migliore per tutti.

Riusciva a farlo anche perché in quegli anni non venivano adottate le misure di sicurezza, utilizzate oggi per proteggere le persone più esposte, che – anche se non in grado di garantirne l’incolumità – condizionano abitudini e stili di vita di coloro ai quali sono applicate.

Ero consapevole del fatto che mio padre corresse il rischio di essere ucciso dalla mafia, che quel rischio fosse concreto.

Ero anche consapevole del fatto che mio padre avesse valutato il rischio e lo avesse ritenuto accettabile, in nome dell’obiettivo che voleva raggiungere, della responsabilità che si era assunto e dell’impegno che ne derivava, perché non considerava il suo un atto di eroismo ma una scelta politica. 

Tutto ciò mi faceva vivere la sua decisione come naturale, in altre parole rispondente alla sua natura, alla sua coerenza, perché questo era il suo modo di dare un senso alla sua vita.

Avevo conosciuto anche il suo senso di responsabilità e la domanda è: che responsabilità può esserci in una scelta che comprende il rischio di venire uccisi? La responsabilità che deriva dall’assunzione di una scelta che si ritiene possa produrre impatti di straordinaria rilevanza, nella consapevolezza che questi impatti colpiranno interessi di persone che faranno di tutto per evitare che quella scelta produca i risultati attesi.

Nessuno glielo aveva chiesto e molti avevano cercato di fargli cambiare idea.

Io non fui tra quelli, perché sapevo che la cosa non riguardava me ma soltanto lui. Noi figli, ormai, eravamo diventati adulti: mio fratello Filippo, di quasi sei anni più grande di me, avviato alla carriera di medico universitario, aveva messo su famiglia con Alessandra e avevano due figli; io lavoravo da anni in radio e, relativamente autonomo, non davo alcun problema particolare. Mia madre aveva scelto di seguirlo.

Tutto ciò non ha reso più sopportabile il dolore, forse ha mitigato il senso di colpa che mi ha colpito. Non potevo prevedere che sarebbe successo quando ancora avremmo potuto condividere e dirci tante cose. Non abbiamo avuto più l’opportunità di farlo, perché mio padre è stato ucciso quando non aveva ancora compiuto 55 anni.

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